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Le minoranze nelle società quotate e nelle società non quotate

2. Una particolare forma di abuso: quello della minoranza

2.2 Le minoranze nelle società quotate e nelle società non quotate

Per prima cosa dobbiamo menzionare le due riforme che hanno investito il diritto delle società per azioni; da una parte per le società quotate, la “riforma Draghi”104, dall’altra per le società non quotate, il d.lgs. del 17 gennaio 2003, n. 6.

102

In realtà come evidenziato da OPPO, Maggioranza e minoranza nella riforma delle società

quotate, in Riv. dir. civ., 1999, II, pp. 231 ss., “alcuni strumenti endosocietari possono essere

utilizzati sia a fini di governo, sia a fini di opposizione e per questo motivo è più corretto parlare, soprattutto nelle società quotate di minoranze e non di minoranza”

103

PISANI MASSAMORMILE, op. cit., p. 13, Ad esempio, “sono soci di minoranza coloro che, se individualmente considerati, rappresenterebbero la maggioranza dal punto di vista aritmetico, ma che non hanno un’organizzazione adeguata a farne un gruppo”

104

La prima, con l’introduzione del “Testo unico della finanza”, ha previsto nuove norme a tutela delle minoranze105; disposizioni che hanno, però, fatto sorgere incertezza su quali siano le minoranze destinatarie di queste nuove norme, tenendo in considerazione, che ognuno di questi istituti, può essere utilizzato in modo abusivo da parte dei soci non al comando106.

La seconda riforma, invece, ha delineato nelle società non quotate, il ruolo di governo attribuito alla maggioranza, diminuendo i “poteri” delle minoranze e le possibilità di queste di esercitare iniziative di disturbo.

Questa differenza di disciplina, poi limata dalle successive riforme107, ci porta ad analizzare le differenze di interessi tra le minoranze presenti nelle due tipologie societarie.

Nell’ambito delle società per azioni non quotate, si hanno prevalentemente interessi personali ed egoistici del socio108. Qui i casi di abuso di minoranza possono dirsi meno frequenti e meno probabili, ma non assenti; infatti i meccanismi che portano al manifestarsi delle ipotesi abusive, nascono nei sistemi tradizionali e, solo dopo, sono traslati anche all’interno delle società quotate109.

105

Quali: la convocazione dell’assemblea a richiesta della minoranza, l’azione di responsabilità, la nuova disciplina dei quorum dell’assemblea straordinaria e così via.

106

PISANI MASSAMORMILE, op. cit., p. 19.

107

Riforme che hanno in parte abrogato alcune disposizioni del T.U.F. rinviando alle disposizioni del codice civile.

108

PISANI MASSAMORMILE, op. cit., p. 22.

109

Proprio in relazione a quest’ultime110

possiamo dire che le minoranze a cui si rivolge il T.U.F. sono per lo più costituite da investitori istituzionali, che agiscono nell’interesse dei risparmiatori. Non deve perciò meravigliare la diversità di scopo e di tutela delle minoranze; nelle società quotate si vuole evitare che l’investitore istituzionale esca dalla società per i risultati deludenti e si decide così di attribuirgli più poteri di controllo e correttivi111. Maggiori poteri, però, implicano maggiori possibilità di abusi.

Per comprendere meglio la natura della minoranza all’interno delle società quotate, possiamo far riferimento al saggio di Mazzoni. In questo, a differenza del diritto societario classico, egli considera gli azionisti di minoranza (delle società quotate) come “cittadini del mercato mobiliare”112

. Spesso, rispetto alle società di cui detengono le azioni, le minoranze sono maggioranze numeriche accomunate da un elemento: tutte hanno l’interesse alla valorizzazione del proprio investimento in un mercato che risulti trasparente. Questo interesse, che consiste nel corretto funzionamento del mercato, tende a coincidere con quello di tutti i partecipanti a questo.

Secondo l’Autore, emerge così, una distinzione tra maggioranza e minoranza che si basa sulla considerazione dell’interesse sociale; questo seppur dovrebbe essere astrattamente comune a tutti i soci, può essere interpretato in modo diverso dalle due compagini societarie. Per la maggioranza il mercato mobiliare è solo un mezzo parziale per valorizzare il proprio investimento, mentre, per le minoranze,

110

Per un approfondimento vedi MAZZONI, op. cit., pp. 485 ss. Articolo al quale abbiamo più volte fatto riferimento nell’analisi del suddetto problema.

111

PISANI MASSAMORMILE, op. cit., p. 21.

112

il mercato è l’unico mezzo e il fine attraverso cui realizzare la valorizzazione del loro investimento113.

La riforma del testo unico sull’intermediazione finanziaria non ha fatto altro che ribadire questo orientamento: le maggioranze e gli amministratori non potranno invocare un interesse sociale “superiore” che sacrifichi l’interesse sociale comune a tutti i soci; quest’ultimo sarà presidiato, da un lato, dal principio di tutela delle minoranze e, dall’altro, dall’interesse generale al corretto funzionamento del mercato114. Si è così trovato un equilibrio, che senza seguire una strada “pro– minoritaria”, può intravedersi, da un lato, dall’assenza nel testo di norme che richiedano una rappresentanza della minoranza nel consiglio di amministrazione e, dall’altro, dalla presenza di più norme volte ad aumentare i poteri di controllo dei soci di minoranza sugli amministratori115.

In sintesi il modello del T.U.F. successivo alla riforma, vede la maggioranza governare tramite un consiglio di amministrazione omogeneo e, la minoranza, controllare la prima con poteri di prevenzione e repressione maggiori116.

Infine, se non sono soddisfatte dalle garanzie previste dalla legge, le minoranze potranno rimettersi all’autonomia statutaria; quest’ultima ha, infatti, acquisito una rilevanza maggiore, soprattutto, successivamente alla riforma delle società del 2003.

113

MAZZONI, op. cit., p. 487.

114

MAZZONI, op. cit., p. 488.

115

Ad esempio, le norme che rafforzano i poteri dei sindaci, le quali però sono criticate da MAZZONI, op. cit., p.

116

Con questo intervento il legislatore ha sì rafforzato il ruolo di governo attribuito alla maggioranza e diminuito i poteri della minoranza, ma ha anche aumentato l’autonomia statutaria, introducendo il fenomeno c.d. di “concorrenza statutaria”, che potrebbe riservare un trattamento ai soci minoritari più ampio rispetto a quello previsto dal diritto positivo117.

Il fatto di aver compreso che le minoranze nelle società quotate possono disporre di una maggiore influenza nelle politiche sociali, non ci può portare ad escludere che, anche nelle società non quotate, possano manifestarsi ipotesi di comportamenti abusivi. Sarà, perciò, necessario per chiunque affronti questi temi, conoscere sì la diversa composizione delle minoranze, ma analizzare i loro abusi a prescindere del ricorso o meno al mercato mobiliare.