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Il rimedio del c.d mandatario ad hoc Teoria e critica

LA DELIBERA NEGATIVA E LE SANZIONI IN MATERIA DI ABUSO DI MINORANZA

6. L’annullamento e il rimedio della sostituzione della delibera rigettata con il provvedimento del giudice

6.1 Il rimedio del c.d mandatario ad hoc Teoria e critica

Se la dottrina prevalente, da noi finora condivisa, ritiene che, seppur con qualche adattamento, sia da preferire l’impostazione tedesca a quella francese, vi è una dottrina minoritaria che prendendo le mosse dagli studiosi transalpini ha elaborato una tesi che riteniamo di dover trattare in maniera sommaria. L’orientamento a cui facciamo riferimento elabora la teoria del c.d. mandatario ad hoc nominato dal giudice, che alcuni Autori279 hanno provato ad adattare al nostro ordinamento, attraverso un articolato ragionamento giuridico volto a riscontrare, in primo luogo, gli strumenti processuali adoperabili, in secondo luogo, la conformità del rimedio al diritto sostanziale delle società e da ultimo la possibilità di funzionamento del rimedio anche prescindendo dall’interesse sociale, centrale nelle ipotesi di abuso per la dottrina francese, ma non per quella italiana.

La teoria giunge a concludere che il rimedio in questione consisterebbe nella nomina di un terzo che, in sostituzione del socio e per fini limitati quali l’esercizio del diritto di voto in assemblea, dia esecuzione al contratto sociale tenendo presente sia l’interesse del socio che va a sostituire, sia le regole di buona fede e correttezza. Il c.d. commissario ad acta andrebbe a svolgere un’attività in parte simile a quella generalmente affidata al mandatario (nel rispettivo contratto ex art 1703 c.c.).

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L’esercizio di tale prerogativa sociale, da parte di un terzo non socio, viene ad essere giustificata attraverso il richiamo a varie disposizioni del codice civile; in primo luogo l’art. 2058 c.c., considerato come la disposizione che prevede nel nostro ordinamento un diritto generale al risarcimento del danno in forma specifica anche all’interno dei rapporti contrattuali, nonostante la sua collocazione sia nell’alveo dei rapporti extra contrattuali280

; in secondo luogo, l’art. 2352 c.c., il quale in caso di pegno, usufrutto e sequestro delle azioni, attribuisce il diritto di voto al creditore pignoratizio, all’usufruttuario o al custode. Con il riferimento a questo articolo si evidenzia come vi siano già altre disposizioni all’interno dell’ordinamento che prevedono la possibilità da parte di un giudice di impartire specifiche prescrizioni e di controllare l’attività di un terzo titolare provvisorio, per legge, di una prerogativa sociale quale il diritto di voto. La dottrina ritiene che questa fattispecie sia applicabile, in via analogica, anche alle ipotesi di abuso oggetto di questo studio, situazioni che, però, sottolineiamo fin da subito, non vedono un conflitto sulla titolarità delle azioni, ma piuttosto un conflitto tra gli interessi economici delle controparti sociali281.

Infine, da ultimo, la teoria richiama le disposizioni in materia di buona fede e correttezza, qualificandole come parametro di valutazione degli interessi dei soci in conflitto. Essi ritengono che le ipotesi di abuso si sviluppino sul piano orizzontale, tra i soci, non su quello verticale, soci – società, così sostituiscono

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PISANI MASSAMORMILE, op. cit., pp. 163 ss.

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all’interesse sociale, adoperato come elemento di valutazione nella dottrina francese, i principi di solidarietà suddetti282.

Quanto finora esposto conduce l’Autore a concludere che, nelle ipotesi di delibera negativa da noi studiate, il mancato voto favorevole del socio di minoranza, nel momento in cui risulti all’esito di un procedimento giudiziale integrare un’ipotesi di abuso, debba vedere uno strumento di tutela per i soci di maggioranza che non si limiti ad un risarcimento di natura pecuniaria. Piuttosto, come inizialmente detto, la tutela si dovrà coltivare sul piano del risarcimento in forma specifica, applicando in via analogica istituti quali quello previsto dall’art. 2352 c.c. che permettono così la nomina di un mandatario ad hoc da parte del giudice che dovrà sostituirsi nell’esercizio del diritto di voto al socio, cercando di bilanciare il suo interesse con quello della maggioranza ed utilizzando, come parametro valutativo, i principi di buona fede e correttezza.

Seppur questa tesi sia ben costruita, non si può che evidenziarne i punti deboli e giungere a concludere per la sua non applicabilità all’interno del nostro ordinamento. Possiamo partire dalla considerazione che l’Autore in questione, di fatto, ha aggirato i principi di diritto che molti hanno ritenuto a fondamento dell’esclusione della possibilità per il giudice di sostituire la delibera rigettata con il proprio provvedimento. Infatti, nonostante la puntuale argomentazione e l’attento ragionamento giuridico seguito, si viene in sostanza a prevedere che la prerogativa sociale per eccellenza, il diritto di voto, sia “sottratto” al suo titolare che ha il diritto di esercitarlo secondo i propri interessi, per essere attribuito ad un terzo che, seppur entro certi limiti e secondo determinate indicazioni,

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eserciterebbe un’attività, come quella imprenditoriale che ha natura discrezionale, senza che nessuna disposizione di diritto positivo lo preveda espressamente.

Inoltre, viste le conclusioni sopra effettuate, che ci hanno portato a distinguere nella prassi, tra delibere negative aventi oggetti che richiedono una discrezionalità imprenditoriale minore, se non nulla (ad esempio quelle di approvazione del bilancio di esercizio) e delibere negative aventi oggetti che invece richiedono una discrezionalità imprenditoriale ampia (ad esempio quelle di aumento del capitale sociale); visto che abbiamo ritenuto nelle prime ipotesi, che il giudice possa scomputare i voti illegittimi e procedere perciò al riconteggio del

quorum (dato che si sviluppano in sede di assemblee ordinarie dove è possibile

secondo alcuni non conteggiare i soci astenuti come base per la maggioranza) mentre, nelle seconde, abbiamo ritenuto che ciò non sia possibile sia per le regole che riguardano i quorum sia per la presenza della suddetta discrezionalità283. Possiamo concludere che un tale rimedio non è al momento accettabile anche in considerazione del fatto che, nel nostro ordinamento, ipotesi di nomina di un commissario giudiziale, che si ingerisca nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, sono unicamente previste all’art. 185 l. fall. e, quindi, da una disposizione espressamente delineata dal legislatore284.

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Soluzioni alle quali siamo pervenuti allineandoci alle teorie di Cian, il quale, in relazione all’ipotesi della richiesta al giudice di nominare, annullata la delibera negativa, una sorta di commissario ad acta, ritiene che essa appaia estranea al nostro sistema di tutele e che non abbia mai suscitato l’interesse della nostra giurisprudenza e della nostra dottrina vedi CIAN, La

mistificazione del carattere vincolante della delibera assembleare, cit., p. 349. 284

Per un approfondimento delle disposizione vedi PINTO, Concordato preventivo e

organizzazione sociale, in Riv. Soc., I, 2017, nel quale l’autore ritiene che “come ulteriore, se si

Perciò, ad oggi, per le ipotesi in cui non sarà possibile, in seguito all’annullamento della delibera negativa, prevedere un risarcimento in forma specifica, dovremo “accontentarci” di un risarcimento del danno per equivalente pecuniario.