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2. GLI ANNI CINQUANTA: LO STATO MOTORE DELLO SVILUPPO

2.3 Una Cassa per lo sviluppo industriale

Nella contrapposizione tra liberisti e pianificatori, l’approvazione della legge 646 del 10 agosto 1950 che istituiva la Cassa per il Mezzogiorno segnò l’inizio di una svolta a favore di coloro che sostenevano la necessità di una programmazione dell’intervento pubblico per l’attuazione di politiche di sviluppo232.

Nella prima metà degli anni Cinquanta ebbero luogo diverse iniziative che testimoniavano la posizione di forza progressivamente assunta da questo schieramento. Si pensi al Convegno sulla piena occupazione indetto dalle Acli nell’ottobre del 1952, dove Francesco Vito, Pasquale Saraceno e Siro Lombardini sostennero l’esigenza di passare da una politica anticongiunturale di lotta alla disoccupazione, all’elaborazione di politiche keynesiane che puntassero allo sviluppo omogeneo del Paese233.

Un altro momento importante per la definitiva affermazione dell’orientamento favorevole all’intervento pubblico è costituito dalla relazione sulla “pianificazione indicativa” tenuta dall’altro maestro di Di Nardi, Giuseppe Ugo Papi, all’accademia dei Lincei nel febbraio 1953. Come evidenzia Barucci, questo intervento rappresentò una «rottura nel fronte antipianificatorio»234. L’avvio dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno costituiva un successo proprio dei sostenitori della pianificazione. Come ha sottolineato Simone Misiani, esiste una linea di continuità tra la cultura economica degli anni Trenta, le esigenze di pianificazione poste dal piano Marshall e, infine, la nascita della Cassa per il Mezzogiorno:

La nascita dell’intervento straordinario doveva inaugurare una linea di piano che non rompeva con le premesse di politica economica fissate nel 1947. Questa posizione eterodossa, le cui ascendenze lontane erano negli istituti di Beneduce e il riferimento recente nella politica a favore delle zone depresse, poggiava, in sintesi, sui piani economici elaborati in vista della concessione del prestito Usa235.

232 La bibliografia sull’intervento straordinario nel Mezzogiorno è molto ampia. Per una visione di insieme si rimanda a

L. D’Antone, Radici storiche ed esperienza dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, Bibliopolis, Napoli 1996; S. Cafiero, Storia dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno (1950-1993), Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2000. Più in generale sullo sviluppo economico dell’Italia negli anni Cinquanta cfr. G. Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture,

identità, trasformazioni fra gli anni cinquanta e sessanta, Donzelli, Roma 1996. Sulla nascita della Casmez cfr. S.

Cafiero, La nascita della «Cassa», in Aa.Vv., Studi in onore di Pasquale Saraceno, Giuffré, Milano 1975.

233

D. Parisi, Towards the planning era in Italy. Pasquale Saraceno, Vera Lutz e la Rockefeller Foundation negli anni

Cinquanta, in A. Cova, G. Fumi, L’intervento dello Stato nell’economia italiana, cit., p. 373.

234 P. Barucci, Ricostruzione, pianificazione, Mezzogiorno, cit., pp. 253-255.

235 S. Misiani, I numeri e la politica. Statistica, programmazione e Mezzogiorno nell’impegno di Alessandro Molinari,

cit., p. 195. Anche Salvatore Cafiero sottolinea la continuità tra gli istituti Beneduce e la Cassa per il Mezzogiorno «[…] Fu in particolare Vanoni a sostenere presso De Gasperi il progetto che Menichella e Giordani erano andati maturando di

Se all’inizio degli anni Cinquanta la ricostruzione poteva infatti dirsi conclusa, ora la sfida consisteva nel colmare l’enorme divario economico tra Nord e Sud che rischiava di destabilizzare il Paese.

Il Sud, che occupa un’area pari al 41% del territorio nazionale e all’inizio degli anni Cinquanta ospitava una popolazione pari al 37% di quella complessiva, registrava un reddito del 47% della media nazionale, inferiore del 60% al Nord. La natalità era più alta (25,5% contro il 15,5% del Nord), producendo un incremento della popolazione meridionale del 15,4% annuo, contro il 5,5% del Nord. A fronte di una maggiore pressione demografica, la distribuzione della terra privilegiava pochi grandi latifondisti, determinando le condizioni per un conflitto sociale che sfociò nell’occupazione delle terre.

Lo Stato si impegnò innanzitutto nel tentativo di risolvere la questione agraria. Nel 1950 furono varate tre leggi, essenzialmente dirette a territori dell’Italia meridionale (la legge Sila del 12 maggio 1950, la legge stralcio del 21 ottobre 1950, la legge di riforma per la Sicilia del 27 dicembre 1950). Strettamente collegata alla riforma agraria fu l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, che avrebbe dovuto coordinare un piano di sviluppo del meridione. Il modello di riferimento era la Tennessee Valley Authority, che negli anni Trenta aveva gestito lo sviluppo agricolo e industriale della valle del Tennessee. L’intervento della Cassa era programmato su un arco temporale di dieci anni. La programmazione – ovvero la previsione di impegni pluriennali di spesa – costituiva la “straordinarietà” dell’intervento della Cassa nel Mezzogiorno rispetto agli altri organi della pubblica amministrazione.

La nuova istituzione avrebbe agito sotto il diretto controllo della Presidenza del Consiglio dei ministri, facendo riferimento ad uno specifico ministro per l’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Oltre al carattere programmatorio della sua attività, la Cassa godeva di altre due peculiarità: la sua azione era intersettoriale e si rivolgeva ad un territorio (il Mezzogiorno), non coincidente con nessuna classificazione amministrativa. Il Consiglio dei ministri formulava il piano generale delle opere dirette al progresso economico e sociale dell’Italia meridionale, mentre la Cassa era incaricata di predisporre i programmi di intervento, reperire il finanziamento ed eseguire le opere relative al piano.

un ente pubblico cui affidare la realizzazione di quel programma organico di interventi nel Mezzogiorno, che i prestiti della Birs avrebbero dovuto coprire dal lato del fabbisogno di importazioni. Il progetto rifletteva l’esperienza compiuta da Menichella e Giordani negli anni Trenta a fianco di Beneduce all’Iri nel solco di quella tradizione delle “amministrazioni parallele” che erano nate in età giolittiana per rispondere alla rapida espansione delle responsabilità di intervento dello Stato nella vita economica e sociale della Nazione»; S. Cafiero, Storia dell’intervento straordinario nel

L’obiettivo delle opere attuate dalla Cassa consisteva nel promuovere il «progresso economico e sociale del Mezzogiorno» (art. 1 della legge 646), senza che però fosse indicato l’obiettivo di un determinato tasso di sviluppo da raggiungere, né esplicitato come fine la riduzione del gap con l’Italia centro-settentrionale. Il motivo era semplice: lo sviluppo del Mezzogiorno doveva servire da propulsore alla crescita dell’intera economia nazionale, non porre in competizione diverse aree del Paese. Si trattava di una politica pensata specificamente per il Sud ma in vista di un beneficio generale per tutto il Paese, come si preoccupò di sottolineare ripetutamente Di Nardi236.

Almeno inizialmente, si riteneva che l’obiettivo dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno dovesse limitarsi alla creazione del capitale fisso sociale necessario a stimolare investimenti da parte dei privati. In questo senso, si decise di procedere con opere infrastrutturali (strade, acquedotti, ferrovie) o interventi, per lo più collegati all’attuazione delle leggi di riforma agraria (bonifiche, estensioni di superfici irrigate mediante la concessione di crediti agli impianti industriali, sussidi per le trasformazioni agrarie, realizzazione di acquedotti, elettrodotti, sistemazioni montane ecc.). Il piano di interventi straordinario prevedeva un investimento complessivo di 1.000 miliardi di lire su un arco di dieci anni. Nel 1952 il piano fu ampliato, portando la dotazione finanziaria a 1.280 miliardi di lire ed estendendo il periodo a 12 anni.

La ripartizione delle spese era la seguente: 466,5 miliardi per spese di bonifica e per sussidi al miglioramento fondiario; 163,5 per i bacini montani; 280 miliardi per la riforma agraria e dunque gestiti dagli Enti di riforma; 115 miliardi per opere stradali e di viabilità ordinaria; 150 miliardi per acquedotti; 30 miliardi per opere di interesse turistico; 70 miliardi per opere ferroviarie. Il 71% delle spese era costituito dunque da spese per agricoltura.

Inizialmente, si ritennero prioritari dunque interventi di “preindustrializzzione” del Mezzogiorno, per una molteplicità di motivi. Il primo era legato all’assenza di infrastrutture capaci di sostenere un processo di industrializzazione. Il secondo riguardava la tipologia della disoccupazione nel Mezzogiorno, concentrato nelle categorie dei braccianti e dei generici, che non avrebbero tratto benefici da un programma di investimenti industriali. Inoltre, si riteneva che nel 1950 il sistema economico presentasse ancora margini di sviluppo industriale nelle aree del centro-nord, per cui si temeva che un intervento di industrializzazione al Sud potesse portare all’installazione di impianti sostenuti dall’intervento pubblico ma incapaci di integrarsi con la naturale dinamica economica

236 Di Nardi si soffermò spesso su questo aspetto dell’intervento straordinario. Una delle prime occasioni fu a Bari, in

occasione di un Convegno dedicato alla disoccupazione, quando parlando della nascita della Cassa per il Mezzogiorno disse «[…] L’ispirazione è venuta dalla necessità di dare nuovo impulso a tutta l’economia nazionale e nel porre mano a un tentativo di generale risolleva mento si è cominciato dalla zone che tecnicamente appare la più suscettibile di rapidi progressi. Oso dire che se non ci fosse stato il “problema meridionale” lo si sarebbe dovuto inventare. Voglio dire che per attuare un programma di sviluppo economico si sarebbe dovuta cercare la zona più depressa del Paese, per iniziare da quella zona il metodico intervento stimolatore della spesa pubblica […]»; Afus, Adn, busta 25, fascicolo 228, Manoscritto della relazione tenuta da Giuseppe Di Nardi al “Convegno di studi sulla mano d’opera”, Bari, 9-10 settembre 1951, p. 22.

delle regioni meridionali. Ciò avrebbe rischiato di generare un basso “moltiplicatore” di domanda nel Sud, accompagnato però da una forte richiesta di attrezzature tecniche indirizzata verso le imprese del Nord237.

Giuseppe Di Nardi, che dopo il passaggio attraverso gli ambienti liberali era approdato in area Dc, ebbe da subito un ruolo centrale nella vita della Cassa. Fu infatti nominato capo dell’Ufficio studi, prevalendo sulla candidatura di Bruno Rossi Ragazzi, che comunque assunse il ruolo di consulente238, con il compito di organizzare il reparto statistica239. La scelta di Di Nardi è da ricondurre sia al suo ambito di riferimento politico (come abbiamo detto la Dc) che geografico. La Puglia poteva infatti contare sul vicepresidente Nicola Tridente, che come abbiamo visto era già in contatto con Di Nardi dalla seconda metà degli anni Trenta nell’ambito della Fiera del Levante240. Quella di direttore dell’Ufficio studi era un ruolo strategico. Posto alle dirette dipendenza della Direzione generale, all’epoca guidata da Giuseppe Orcel, l’Ufficio aveva il compito di condurre indagini sulla cui base dovevano essere programmati gli interventi della Cassa241.

Al riguardo è interessante notare come l’Ufficio studi fosse stato istituito solo dopo l’entrata in funzione della Cassa, tanto che nel corso del primo anno i piani di intervento furono approvati caso per caso, senza una visione generale delle opere da compiere. La creazione dell’Ufficio studi era funzionale proprio a superare questa estemporaneità242.

237

G. Di Nardi, Precettistica intuitiva e valutazione econometria per lo sviluppo delle aree depresse (1952), in Id.,

L’economia a una svolta critica, volume IV, Giuffré, Milano 1985, pp. 30-31.

238 Acs, verbali del cda della Casmez, verbale del cda del 24 aprile 1951, p. 583. L’ufficio, alle dirette dipendenza della

Direzione generale, sarebbe stato composto da 4 funzionari, 3 impiegati di concetto e 2 impiegati d’ordine. Inoltre, si sarebbe dovuto valere di collaboratori esterni, non potendo assolvere con i soli suoi mezzi ai compiti attribuitigli. I compiti riconosciutigli erano: 1) analizzare gli effetti della spesa effettuata dalla Cassa sulla struttura economica del Mezzogiorno; 2) imprimere un orientamento a tutta l’attività di trasformazione agraria, valutando le condizioni dei mercati agricoli. In particolare in funzione di questo secondo obiettivo, l’Ufficio piani del servizio bonifiche fu unificato con l’Ufficio studi. Casmez, Verbali del cda della Casmez, vol. 11, verbale del cda del 2 aprile 1952, p. 2193.

239 Acs, verbali del cda della Casmez, vol. 6, verbale del consiglio d’amministrazione del 17 ottobre 1951, p. 467. 240 Il primo cda della Cassa era composto da Ferdinando Rocco (presidente), Nicola Tridente (vicepresidente), Giulio

Rocco (vicepresidente) e dai consiglieri Giovanni Cassandro, Vittorio Ciarrocca, Michele Cifarelli, Giacinto Froggio, Antonio Monni, Belardino Polcaro, Francesco Selvaggi, Nallo Mazzocchi-Alemanni, Santi Serafini e Giuseppe Orcel, direttore generale. Acs, verbali del cda della Casmez, vol. 1, verbale della prima seduta del 4 ottobre 1950. Direttore generale fu nominato Alfredo Scaglioni, con primo collaboratore Aldo Ramadoro (Ivi, verbale del 14 ottobre 1950).

241 Acs, verbali del cda della Casmez, vol. I, verbale del cda del 21 dicembre 1950, p. 171. Sui compiti dell’Ufficio studi

cfr. C. Pace, L’attività di studio, in Cassa per il Mezzogiorno. Dodici anni (1950-1962), vol. I “La Cassa e lo sviluppo del Mezzogiorno”, Laterza, Bari 1962, pp. 411-433. Più in generale sull’organizzazione della Cassa cfr. invce L. Tracanna, in Ivi, pp. 29-106.

242 Questo elemento emerge dal verbale del cda della Casmez del 9 novembre 1950. Nel verbale è riportato l’intervento

di Cifarelli, il quale «premesso che non ha alcuna intenzione, né motivo di avanzare critiche sia verso la Cassa – nel suo complesso – e tanto meno verso il Presidente afferma la necessità che le relazioni sui progetti siano esaminate con maggiore ponderatezza; tale necessità assume per lui non solo valore tecnico, ma anche morale. Aggiunge che è indispensabile che il Consiglio d’Amministrazione conosca tempestivamente il programma decennale per non essere costretto ad esaminare i singoli progetti al di fuori di un quadro di insieme, ed a deliberarli soltanto per il rispetto formale della legge». Il presidente Rocco rispose sottolineando le difficoltà in cui aveva cominciato ad operare la Cassa: «concorda con quanto esposto dall’avv. Cifarelli circa la definizione dei diritti e dei doveri del Consiglio e dei Consiglieri; ma non dimentica che la Cassa attraversa una fase iniziale di carenza di attrezzature e di mezzi e che in tali condizioni bisogna pur procedere verso rapide realizzazioni, secondo gli impegni presi dal Parlamento e dal Governo. La responsabilità di questi Organi verso il Paese non elimina o riduce quella del Consiglio di Amministrazione della

L’idea di pianificare gli interventi pubblici sulla base di analisi e studi economici e statistici era tipica della cultura economica che abbiamo visto nascere negli anni Trenta – tanto che nella seduta del 21 dicembre fu deciso che la denominazione dell’Ufficio affidato a Di Nardi sarebbe stata “Ufficio studi economici e statistici”243 – e permeava un altro istituto impegnato nelle politiche di sviluppo per il Sud. Si tratta della Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, o Svimez, nata nel 1947. Anche la Svimez aveva provveduto ad istituire un proprio ufficio studi, affidato ad Alessandro Molinari, sempre con l’intento di condurre ricerche in vista di una pianificazione organica degli interventi da attuare nelle regioni meridionali244. Facendo perno su questo stesso orientamento culturale, i due uffici avrebbero in seguito collaborato in maniera molto stretta nell’analisi dell’intervento straordinario.

Dall’Ufficio studi della Casmez, Di Nardi trovò il modo di influire direttamente sulle decisioni dei consiglieri vedendo accettata la proposta della redazione di note informative «che dovranno essere diramate ai Consiglieri dall’Ufficio Studi e nelle quali dovrà essere espresso il pensiero dello stesso Ufficio sui problemi di maggiore interesse della Cassa e di interesse economico generale»245. L’Ufficio studi si qualificava come la struttura pensante della Cassa, che nasceva non solo con l’intento di studiare la situazione del Mezzogiorno, ma, sulla base di queste analisi, elaborare direttamente una organica strategia di sviluppo per l’Italia meridionale.

Sulla base delle indagini condotte, Di Nardi e il suo Ufficio studi avanzarono proposte per orientare l’intervento straordinario nella direzione più utile a risolvere le questioni ritenute centrali per promuovere lo sviluppo del Mezzogiorno: il basso livello di reddito procapite e l’alto livello di

Cassa, esposto al diretto giudizio dell’opinione pubblica la quale spinge per le immediate realizzazioni delle opere. Se è vero che il Comitato dei Ministri ha il compito di formulare il piano decennale, è pur vero che il Consiglio di Amministrazione dovrebbe formulare il programma annuale»: Acs, verbali del cda della Casmez, vol. 1, verbale del 9 novembre 1950, pp. 5-56. Nella seduta del 10 novembre Il presidente confermò che «per il primo anno non si può procedere alla compilazione del programma annuale, e che quindi è necessario esaminare i progetti di mano in mano presentati». Proseguendo il discorso, aggiunse «che è necessario far funzionare l’Ufficio Studi allo scopo di raccogliere un complesso organico di studi informativi e porre così a disposizione degli stessi consiglieri idonei mezzi per i lavori di competenza» Ivi, p. 75. Tuttavia, anche per il secondo anno si riscontrarono problemi nell’elaborazione di un piano annuale, come evidenziava il direttore generale nella seduta del 30 giugno 1951, affermando che «era suo intendimento di organizzare i lavori in guisa da consentire uno studio preventivo completo sulla coordinazione delle opere» ma «ciò è stato possibile soltanto per la Puglia a seguito anche delle ispezioni compiute dagli ingg. Nasi e Steccanelli» quindi «per le altre regioni non si possono che adottare i criteri già seguiti nell’anno precedente»;.Acs, verbali del cda della Casmez, vol. 4, verbale del 30 giugno 1951, p. 1141. Non fu possibile una elaborazione sistematica degli interventi, anche se alla fine il cda approvò il programma biennale 1950-51 e 1951-52 nella seduta del 10 luglio 1951. Acs, verbali del cda della Casmez, vol. 5, verbale del 10 luglio 1951, p. 9. Una integrazione del programma per il biennio in questione fu presentata da Nallo Mazzocchi-Alemanni nella seduta del 13 novembre 1951, a seguito della visita, oltre che in Puglia, anche in Calabria, Sicilia, Campania, Lazio, Abruzzo e Molise. Non erano stati invece effettuati sopralluoghi in Lucania e Sardegna. Acs, verbali del cda della Casmez, vol. 7, verbale del 13 novembre 1951, p. 666.

243 Acs, verbali del cda della Casmez, vol. 1, verbale del consiglio d’amministrazione del 21 dicembre 1950, p. 182. 244

S. Misiani, I numeri e la politica, cit. p. 190.

245 Acs, verbali del cda della Casmez, vol.6, verbale dell’8 ottobre 1951, pp. 434-435. La proposta di Di Nardi era più

articolata e prevedeva la redazione di un bollettino di informazioni economiche sui fatti di maggior interesse esposti dalla stampa italiana ed estera, corredato da note informative prodotte dall’Ufficio studi. Il cda escluse la redazione del bollettino con le notizie della stampa perché reperibili direttamente su quegli organi, ma accolse la redazione di note informative.

disoccupazione. Per contrastare entrambi i fenomeni, Di Nardi ritenne insufficiente la tipologia di intervento adottata inizialmente dalla Cassa per il Mezzogiorno.

In base ad una nota informativa sulla disoccupazione nel Mezzogiorno redatta da Vincenzo Ullo, dell’Ufficio studi, per il Direttore generale della Casmez Giuseppe Orcel, al momento dell’avvio dell’intervento straordinario il reddito medio nell’Italia meridionale era pari al 56,3% di quello dell’Italia settentrionale. Non solo, nel 1951, il reddito del Mezzogiorno risultava inferiore anche al reddito medio dei paesi del sud-est europeo come Bulgaria, Romania, Jugoslavia e Grecia, che nel giugno del 1949 erano stati inseriti nella categoria dei paesi “sottosviluppati” da parte del consiglio economico dell’Onu246.

La causa di questa situazione andava rintracciata nel prevalere dell’economia agricola. Se nel Mezzogiorno essa concorreva per il 45% alla formazione del reddito, contro il 19,8% dell’industria e il 32,5% delle altre attività, nel Nord Italia le percentuali erano rovesciate, con una agricoltura che concorreva per il 29,6% alla formazione del reddito, contro il 39,8% dell’industria247. Nel Mezzogiorno il 59% della popolazione attiva era dedita all’agricoltura e solo il 19,2% all’industria, mentre al Nord gli addetti all’industria erano il 64,6%248.

La ripartizione settoriale dell’occupazione determinava il basso livello del reddito pro-capite nel Mezzogiorno. Ma ad incidere era anche l’alto livello di disoccupazione, riflesso da una parte della scarsa qualificazione della manodopera – in una economia prevalentemente agricola costituita in massima da parte da braccianti generici – e dall’altra di un sistema imperniato esclusivamente su una miriade di piccole e piccolissime imprese, per cui «sia il commerciante che il piccolo industriale – come è noto – di fronte all’aumento della domanda, preferisce ricorrere a un’intensità di lavoro, aumentando gli orari di lavoro per sé, per i familiari e per gli eventuali dipendenti»; così come il piccolo proprietario terriero o il mezzadro in agricoltura, «anziché ricorrere a mano d’opera estranea, preferiscono assoggettarsi ad una fatica massacrante, sia pure con danni notevoli alla produzione»249.

Per contrastare questo stato di cose, già dall’inizio degli anni Cinquanta Di Nardi, proponeva di ridurre la quota di interventi della Cassa destinati al comparto agricolo per favorire la rapida