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Giovanni Demaria aveva trasmesso a Di Nardi una formazione liberale. Dalla seconda metà degli anni Trenta Di Nardi cominciò a coniugare i principi del liberalismo con l’affermazione di un ruolo attivo dello Stato e del sistema bancario nelle politiche di sviluppo. Da questo punto di vista fu fondamentale l’ingresso nell’Ufficio studi della Banca d’Italia, in quegli anni guidato da Vincenzo Azzolini.

70 Ivi, lettera di G. Demaria a G. Di Nardi del 15 dicembre 1936. 71

«Chiarissimo Professore, attendo con vivo interesse lo studio di dinamica che Lei mi promette. Ề un mio antico desiderio di intraprendere decisamente gli studi di dinamica, ma finora non mi sono ancora deciso nella speranza di sbarazzarmi prima di alcune preoccupazioni spirituali. Come le accennai nella mia lettera precedente io non ho mai tralasciato gli studi, che formano ancora la mia attività dominante pure nel trambusto di questa vita tumultuosa che lascia limitato campo alla serena meditazione. Sono però incorso nell’errore – e per mia disgrazia continuo a persistervi – di sbandare, compiendo peregrinazioni in campi diversi. Lo studio dei problemi economici mi è parso arido ed insoddisfacente finché è compiuto col metodo tradizionale, che direi empirico. Ho voluto rendermi conto del metodo, cercando nuove ispirazioni nello studio della filosofia e della storia, ma non sono ancora pervenuto ad alcun risultato utile, salvo l’ampliamento della cultura ed un più sicuro possesso degli strumenti generali di investigazione. Il nuovo punto di vista necessario per dare più vivido colore ai problemi particolari di economia ai quali devo rivolgere la mia attenzione, non si è ancora nitidamente formato, ma Lei sa quanto sia difficile pervenire a risultati rapidi e sicuri per questa via. Ritengo utile perseverare in questi studi, che sono un’intima necessità del pensiero che vuol risalire ai primi motivi della conoscenza. Mi assilla, d’altra parte, la preoccupazione di scrivere qualcosa, poiché mi son reso conto che le prolungate assenze dall’agone letterario sono assai nocive alla opinione che il volgo si forma di noi. Riprenderò i miei appunti e scriverò qualche articolo sulla vecchia falsariga, fino a quando non mi sarò formato più salde convinzioni personali intorno al metodo. Ề una eccessiva pretesa questa? Credo però che sia il problema che ogni studioso coscienzioso si ponga e tenti di risolvere per proprio conto. Se Ella verrà a Roma sarà per me una grande gioia di rivederLa. Io parto per Bari domani, 24, e vi resterò sino a tutto il 27. Per la Sua sottoscrizione al P.N.F. mi mandi la vecchia tessera e due fotografie qui a Bari (via Melo 167) ed io provvederò a tutto, comunicandole dopo la spesa. Colgo l’occasione per esprimerLe i più fervidi auguri per il Natale ed il Nuovo Anno. Suo Devoto, Giuseppe Di Nardi». Ivi, copia della lettera di Giuseppe Di Nardi a Giovanni Demaria del 23 dicembre 1936.

Azzolini si era laureato nel 1904 in Giurisprudenza all’Università di Napoli sotto la guida di Francesco Saverio Nitti, che vi insegnava Scienze delle Finanze. Dopo la laurea entrò nel ministero del Tesoro, dove sarebbe stato nominato Direttore generale nel 1927, prima di diventare Direttore generale della Banca d’Italia nel 1928 e quindi Governatore della stessa nel 193173, concentrando progressivamente una serie di cariche anche in altri enti economici. Nel 1936, in quanto Governatore della Banca d’Italia, Azzolini divenne anche capo del neo istituito Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizi e presidente del Consorzio per sovvenzioni sui valori industriali (Csvi), mentre sempre nello stesso anno fu nominato Presidente dell’Imi e nel 1940 del Crediop, dell’Icipu e dell’Istituto di credito navale.

La riforma bancaria del 1936 che estendeva i poteri della Banca d’Italia soprattutto nell’ambito della vigilanza del sistema bancario richiese un potenziamento della sezione “Studi” della Banca d’Italia, come caldeggiato presso Azzolini da Mortara e Beneduce. Fino ad allora la sezione studi era equiparabile ad un ufficio stampa74. Nel 1936 fu riorganizzata per divenire «il vero Servizio Studi», al fine di svolgere compiti di ricerca economica anche per l’Ispettorato per la difesa del credito e l’esercizio del risparmio, attraverso il quale si estendeva il potere di vigilanza dell’Istituto centrale75. L’Ufficio studi fu suddivio in due sezioni: Italie e Estero, mentre la sezione “Stampa” fu scorporata e aggregata al Gabinetto del Direttore generale.

Di Nardi cominciò a collaborare con l’Ufficio il 20 marzo 193676, unendosi ad altri brillanti giovani studiosi, quali Paolo Baffi, Alberto Campolongo, Agostino De Vita, che si aggiunsero ad Armando Pescatore e Giannino Parravicini, entrati in Banca d’Italia rispettivamente nel 1934 e nel 193577. Fu inserito nella sezione Italia con il compito di studiare in particolare l’andamento dei mercati agricoli, l’industria alimentare, l’organizzazione corporativa, le condizioni del mercato del lavoro, l’impresa pubblica e le altre forme di imprese, l’economia dell’Italia meridionale e della Sicilia78. Nel 1939, quando fu istituito l’Istituto nazionale di finanza corporativa (Infc – operativo però dal 1941), in compartecipazione tra Banca d’Italia, Università di Pavia, Ina e alcune importanti banche

73 Sul ruolo di Azzolini come governatore della Banca d’Italia cfr. A. Roselli, Il governatore Vincenzo Azzolini: 1931-

1944, Laterza, Roma-Bari 2001. Più ampiamento sulla storia della Banca d’Italia tra le due guerre cfr invece A.

Caracciolo, La Banca d’Italia tra l’autarchia e la guerra (1936-1945), Laterza, Roma-Bari 1992; F. Cotula, L. Spaventa, La politica monetaria tra le due guerre, 1919-1935, Laterza, Roma-Bari 1993, G. Toniolo, G. Guarino (a cura di), La Banca d'Italia e il sistema bancario. 1919-1936, Laterza, Roma-Bari 1993.

74

Così la definì Giannino Parravicini, giovane componente della sezione studi. Cfr. E. Tuccimei, La ricerca economica

a Via Nazionale. Una storia degli “Studi” da Canovai a Baffi (1894-1940), in «Quaderni dell’Ufficio Ricerche

Storiche», n. 9, settembre 2005, p. 33.

75 Ivi, p. 10. 76

Afus, Adn, busta 85, fascicolo 610, lettera dell’Ufficio segreteria e ammissione agli impieghi della Banca d’Italia a G. Di Nardi dell’11 maggio 1936.

77 A. Gigliobianco, Via Nazionale. Banca d'Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, Donzelli, Roma 2006, pp.

313-314.

78

E. Tuccimei, La ricerca economica a Via Nazionale. Una storia degli “Studi” da Canovai a Baffi (1894-1940), cit., p. 41.

e centri di ricerca – a testimonianza di come l’Istituto di via Nazionale fosse interessato a collegarsi con il mondo accademico e proporsi come centro proulsore della cultura economica e finanziaria del Paese – Di Nardi fece parte del personale messo a disposizione dell’Infc dalla Banca79. Negli anni trascorsi all’Ufficio studi Di Nardi collaborò alla redazione de L’Economia italiana nel

sessennio 1931-36 e preparò diverse relazioni destinate al governatore Azzolini80. In questo ambito si occupò anche del finanziamento dell’autarchia, analizzando l’applicabilità in Italia del modello tedesco. In una relazione per il Governatore della Banca d’Italia del 1938, Di Nardi affermava che l’esperienza della Germania sembrava giunta «al suo punto d’arresto», poiché l’accresciuta domanda di beni di consumo aveva creato tensioni sul mercato del credito, inducendo le autorità a misure restrittive. Si trattava di una situazione profondamente diversa dal caso italiano, caratterizzato «da una economia povera, che manca di molti elementi indispensabili al suo sviluppo in circuito chiuso ed incontra resistenze sempre maggiori nella sua espansione all’estero», nel quale dunque l’intervento pubblico per la creazione di capitali fissi avrebbe potuto procedere con decisione81. Azzolini fece sue queste conclusioni di fronte alla Corporazione della previdenza e del credito in una seduta del 20 settembre 1938, discostandosi tuttavia per la parte finale della relazione, che riguardava invece il reperimento delle risorse per il finanziamento dell’autarchia in Italia. Di Nardi riteneva che il mercato del credito potesse assorbire eventuali emissioni di obbligazioni con il suo capitale di esercizio, senza gravare sul risconto della Banca d’Italia e dunque

79 Ivi, pp. 53-54. Come sottoline Tuccimei, non si conosce l’apporto dato dal personale della Banca d’Italia al nuovo

istituto perché dopo pochi mesi dall’entrata in funzione del nuovo Istituto, Di Nardi e gli altri impiegati messi a disposizione dalla Banca d’Italia furono richiamati alle armi.

80

Afus, Adn, busta 85, fascicolo 609. Nel triennio 1936-1939 Di Nardi preparò per il governatore delle relazioni che avevano per oggetto “Crisi ed assestamento del mercato mondiale del grano”; una serie di relazioni su “Il funzionamento degli ammassi granari”, “Statistica sugli ammassi frumentari”, “Andamento degli ammassi granari nella campagna 1937-38” e “Statistica del grano”; una relazione senza titolo ma dedicata ad una panoramica internazionale delle revisioni legislative in ambito bancario a seguito delle crisi degli anni Venti; “Per il conseguimento dell’autarchia economica”; “Il credito agrario in Italia”; “Le giornate di contrattazione ed i convegni economici all’VIII Fiera del Levante”. Afus, Adn, busta 85, fascicolo 609.

81 Asbi, Banca d’Italia, Direttorio Azzolini, pratiche, n. 1, fasc. 1, sfasc. 5, Relazione del dr. Di Nardi sul finanziamento

dei piani autarchici, in particolare si vedano pp. 9-10. Nell’aprile 1939 Di Nardi avrebbe poi pubblicato su «Critica fascista» un articolo elogiativo dei risultati raggiunti dalla Germania, criticando quanto invece affermato dal settimanale britannico «The Economist». Tuttavia, non bisogna dimenticare che l’articolo usciva in un clima di forte avvicinamento tra Italia e Germania, che sarebbe stato suggellato di lì a poche settimane con la firma del Patto d’acciaio (22 maggio 1939). Riportiamo un passaggio di quell’articolo che è comunqe interessante per evidenziare la concezione del ruolo dell’intervento pubblico in economia nel perio della formazione di Di Nardi: «[…] L’Economist smentisce che l’esperienza tedesca possa ricondursi nel quadro della teoria keynesiana, ma, contro i suoi rilievi, è innegabile che il metodo di ricostruzione economica seguito dalla Germania col suo primo piano quadriennale e col secondo, tuttora in corso di attuazione, possa considerarsi ispirato, se non proprio esattamente alle teorie del Keynes, alle più moderne concezioni della politica monetaria, che si sono liberate da molti vincoli ideologici e spiegano, secondo un’accettabile costruzione logica, come la formazione della ricchezza possa stimolarsi scontando il risparmio futuro, senza incorrere fatalmente, come pensavano gli economisti del secolo passato, in un regime di inflazione. Il Nazionalsocialismo tedesco seguì arditamente questa politica con la impostazione del primo piano quadriennale: creò lavoro per i sei milioni di cittadini disoccupati, riattivando fabbriche, costruendo strade, migliorando l’attrezzatura industriale della nazione. Se si fossero voluti seguire i metodi classici di finanziamento, basati sulla reale disponibilità di risparmio pronto ad immobilizzarsi, nessuno dei gravi problemi sociali che il regime dovette affrontare nel momento dell’avvento al potere sarebbe stato risolto […]». G. Di Nardi, La politica dell’autarchia nella letteratura internazionale, in «Civiltà fascista», n. 4, aprile 1939, pp. 358-359.

senza influire sulla massa monetaria, cosa che avrebbe generato inflazione. Azzolini, riteneva invece che l’autarchia potesse essere finanziata solo attraverso un aumento dell’inflazione prodotto dall’intervento della Banca d’Italia82.

A contatto con l’ambiente di Palazzo Koch, Di Nardi cominciò inoltre ad approfondire anche il ruolo dello Stato in rapporto al funzionamento dei vari sistemi bancari. In una relazione per Azzolini senza titolo del 193783, Di Nardi sintetizzava gli elementi comuni alle revisioni legislative successive alla Grande crisi. In particolare, prendeva in esame la legge federale svizzera dell’8 novembre 1934 sulle banche e le casse di risparmio, la legge bancaria tedesca del 5 dicembre 1934 e il decreto reale del 9 luglio 1935 sul controllo delle banche e sul regime delle emissioni dei titoli e valori nel Belgio. Tre provvedimenti che, a suo modo di vedere, presentavano caratteri comuni anche rispetto alle revisioni legislative italiane del 12 marzo 1936 e del 17 luglio 1937.

Il minimo comun denominatore era costituto dall’estensione dell’intervento pubblico nel sistema bancario, in particolare attraverso la creazione di organi di vigilanza, anche se con alcune differenze.

In Svizzera la vigilanza non fu infatti affidata allo Stato, ma ad istituti di revisione indipendenti dalle banche controllate ma sottoposti, nell’esercizio delle loro funzioni, ad una Commissione bancaria nominata dal Consiglio federale. In Belgio, le banche erano invece state obbligate a nominare dei revisori giurati a loro volta soggetti al gradimento della Commissione bancaria, un organismo con componenti nominati per decreto reale. In Germania l’intervento dello Stato si manifestava invece con più decisione. Esso si era tradotto, con legge del 5 novembre 1934, nella creazione di un Istituto di vigilanza, ma si prevedeva che anche il Commissario del Reich potesse chiedere in qualunque momento agli istituti di credito l’esibizione dei bilanci. Di Nardi notava come anche in Italia l’intervento pubblico fosse ormai evidente, dal momento che erano stati accentrati nel Consiglio dei ministri tutti i poteri affidati ai vari organi dello Stato per la vigilanza sulle diverse categorie di aziende di credito, fatte salve le attribuzioni del Ministero delle finanze per la vigilanza sull’Istituto di emissione. Inoltre, in Germania e in Italia la tutela del risparmio si inquadrava nel complesso della politica creditizia, per cui era compito degli organi di vigilanza non solo controllare le banche ma anche coordinare la politica del credito con le direttive della politica economica generale dello Stato.

82 Sugli studi dedicati da Di Nardi al finanziamento dell’autarchia tedesca nell’ambito dell’ufficio studi della Banca

d’Italia cfr. anche G. Farese, Dare credito all’autarchia. L’Imi di Azzolini e il governo dell’economia negli anni

Trenta, cit., pp. 124-132. In particolare sulle differenze tra la relazione Di Nardi e la relazione presentata da Azzolini il

20 settembre 1938 alla seduta della Corporazione della previdenza e del credita cfr. G. Farese, Giuseppe Di Nardi e

l’autarchia come intervento pubblico nell’economia, relazione tenuta in occasione del convegno “Liberalismo e

intervento pubblico. Giuseppe Di Nardi nella storia italiana del Novecento”, Roma, Abi 7 novembre 2011, copia dell’intervento messa a disposizione da parte dell’Autore.

L’altro aspetto che in questi anni interessava Di Nardi era il progressivo accentramento delle funzioni monetarie in una unica banca di emissione ed il rafforzamento dei suoi poteri. Il tema consentiva a Di Nardi di avviare anche la ricostruzione della storia bancaria italiana, cui aveva cominciato a mettere mano nel 1937 per la redazione della voce “Credito” da pubblicare sul Dizionario di politica curato dal Pnf – pubblicata nel primo volume edito nel 1940 – e poi con il contributo Le banche e lo Stato84, uscito sul fascicolo dell’«Economia nazionale» di agosto- settembre 1937. I due lavori sfociarono nella pubblicazione Il sistema bancario nell’ordine

corporativo85, che si inseriva in un settore di studi molto limitato sull’evoluzione del sistema bancario italiano e che comunque non aveva ancora ragionato in termini di collegamento tra il sistema bancario e in generale l’ordine corporativo86.

Nel volume Di Nardi criticava quanto affermato da un liberale quale Antonio De Viti De Marco in

La funzione della Banca, che richiamava alla neutralità il sistema bancario, sostenendone invece il

coinvolgimento nei processi di sviluppo economico. Nell’ambito della politica autarchica Di Nardi riconosceva tre funzioni del sistema bancario. Innanzitutto facilitare i pagamenti in senso stretto (funzione che per De Viti De Marco esauriva i compiti della banca). In secondo luogo facilitare gli investimenti, cioè il trapasso del risparmio da chi non ha modo di impiegarlo produttivamente a chi invece avverte penuria di capitali. Infine promuovere le trasformazioni del sistema produttivo, anticipando e stimolando le decisioni degli imprenditori87.

La seconda e soprattutto la terza funzione affidavano alla banca un compito “propulsivo” del sistema economico, necessario per i problemi che essa doveva risolvere in un sistema autarchico, consistenti nell’accertare le disponibilità e le esigenze del sistema economico al fine di programmare un flusso di credito adeguato a soddisfare gli obiettivi di trasformazione del settore industriale e, più ampiamente, il successo dei piani autarchici88.

Di Nardi mostrava dunque di riprendere la teoria del risparmio forzato elaborata da Schumpeter, la quale prevedeva il trasferimento di risorse dal consumo all’investimento attraverso il credito, e quindi l’inflazione. Tuttavia, il livello di inflazione così prodotto doveva essere tenuto sotto

84 G. Di Nardi, Le banche e lo Stato, in «Economia nazionale», agosto-settembre 1937, pp. 39-41. 85

G. Di Nardi,Il sistema bancario nell’ordine corporativo, in «Annali della Facoltà di Economia e Commercio della

R. Università di Bari», vol. 1, 1938, pp. 67-132.

86 T. Canovai, Le banche di emissione in Italia. Saggio storico critico, Casa Editrice Italiana, Roma 1912;B. Stringher,

Memorie riguardanti la circolazione e il mercato monetario, Tipografia della Banca d’Italia, Roma 1925;A. De Viti De Marco, La funzione della banca, Einaudi, Torino 1934; M. Alberti, V. Cornaro, Banche di emissione, moneta e politica

monetaria in Italia dal 1849 al 1929, Guf, Milano 1931;C. Supino, Storia della circolazione cartacea in Italia dal

1860 al 1928, Sei, Milano 1929; G. Borgatta, Le imprese bancarie italiane durante e dopo la guerra, in «Rivista bancaria», 1921; F. Danesi, Gli istituti di credito parastatali in Italia, Zanichelli, Bologna 1933; N.Tridente, La

concentrazione bancaria dalla guerra europea ai giorni nostri, Macrì editore, Bari 1936;G. Nicotra, Il concentramento

delle casse di risparmio, in «Rivista bancaria», n. 9, 1928; R. Fubini, voce “Banche di credito” in «Enciclopedia italiana».

87

G. Di Nardi, Il sistema bancario nell’ordinamento corporativo, Cressati, Bari 1938, p. 56.

controllo attraverso uno stretto coordinamento tra autorità pubbliche e istituzioni bancarie. L’economista di Spinazzola proseguiva infatti scrivendo che «l’azione imitatrice del credito, nella scelta degli obiettivi tecnici, non è determinata dalla disponibilità di risparmio-capitale ma dalla possibilità per il sistema bancario di creare potere di acquisto e dai limiti che a questa creazione si impongono»89. L’obiettivo da conseguire era che «le merci prodotte col credito realizzino sul mercato il prezzo previsto al momento in cui l’imprenditore ha utilizzato il potere d’acquisto ricevuto dalle banche»90. Il regime autarchico sarebbe stato in grado di evitare l’inflazione grazie alla disciplina collettiva della produzione, al controllo dei prezzi e, soprattutto come già accennato, alla attenta valutazione della quantità e qualità del credito erogato dalle banche91.

Di Nardi continuò ad affrontare il tema della funzione della banca nell’ordinamento corporativo con un articolo per «Il lavoro impiegatizio» del gennaio 1939, dal titolo La Banca di emissione

nell’economia autarchica della Nazione.

In questo scritto sottolineava che il regime della pluralità dell’emissione nell’Italia post-unitaria testimoniava, oltre che l’eredità lasciata dagli Stati annessi, una concezione della banca di emissione come pura fabbrica di biglietti in surrogazione della moneta metallica. Si trattava di una visione già superata dal resto del mondo – negli Stati Uniti in particolare con la riforma del 1913 – che procedeva verso un’idea della banca come istituto di riserva monetaria del Paese più che come istituto di emissione. A questa funzione, soprattutto dopo la crisi del 1929, la banca aggiungeva un ruolo attivo nel credito per impedire le brusche variazioni del ciclo economico, secondo una concezione propria «di un regime di nazionalismo monetario che non esclude la collaborazione internazionale fra le grandi banche di emissione, ma la subordina all’adempimento delle esigenze poste dall’economia nazionale». La Banca d’Italia, il cui nuovo statuto era stato promulgato nel marzo 1936, rispondeva a queste esigenze, traducendo le esigenze di un paese impegnato nello sviluppo della politica autarchica. Scriveva infatti Di Nardi che «l’autarchia non può concepirsi senza l’ausilio di una politica monetaria complementare, adeguata alle necessità poste dalla trasformazione della struttura economica interna», per cui «all’istituto di emissione incombe la responsabilità di interpretare questi bisogni e di orientare l’attività creditizia per provvedervi»92. Di Nardi aveva dunque introiettato un orientamento che coincideva con gli indirizzi dell’epoca e che Azzolini stava traducendo sia alla guida della Banca d’Italia che dei molti altri istituti da lui

89 Ivi, p. 62. 90

Ivi, p. 64.

91 Ivi, p. 66.

92 G. Di Nardi, La Banca di emissione nell’economia autarchica della Nazione, in «Il lavoro impiegatizio nelle banche,

nelle assicurazioni e nei servizi di esazione», gennaio 1939. Non è stato possibile reperire direttamente il fascicolo in questione, per cui il contributo è stato consultato nella versione pronta per la stampa conservata in Afus, Adn, busta 18, fascicolo 199.4.

guidati, secondo cui la politica autarchica doveva tradursi nello sviluppo industriale del Paese attraverso una erogazione di credito orientata dalla mano pubblica.