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2. GLI ANNI CINQUANTA: LO STATO MOTORE DELLO SVILUPPO

2.2 L’Italia tra liberisti e pianificatori (1943-1950)

Nell’Italia dell’immediato secondo dopoguerra gli economisti si divisero tra coloro che ritenevano indispensabile il ricorso alla pianificazione per operare la ricostruzione economica del Paese (Francesco Coppola D’Anna e Alberto Campolongo), coloro che – nel tentativo di sottrarre i principi della programmazione economica al perverso legame con i regimi totalitari – parlavano di pianificazione “democratica” da adottare anche per un periodo successivo alla ricostruzione (Alberto Bertolino, Federico Caffè, Giuseppe Ugo Papi), ed infine coloro che si appellavano alla superiorità dei principi del libero mercato (Luigi Einaudi e Giovanni Demaria)192.

Dopo un primo parziale sucesso riportato con l’elaborazione del “Piano di primo aiuto” nel 1945 – redatto su indicazione del governo americano per finanziare le importazioni italiane di materie prime e materiali da utilizzare per rilanciare la produzione industriale – negli anni della ricostruzione non fu la posizione dei “pianificatori” a prevalere. Come nota Piero Barucci, «la proposta di ricostruire con un piano non passò perché la nostra politica economica fu completamente presa dall’impegno di risolvere i problemi congiunturali e di accelerare al massimo i tempi della ricostruzione da intendere in un modo esclusivamente economicistico: come, cioè, riottenere i livelli di reddito pro capite dell’ultimo anno prebellico»193.

A scapito dei “pianificatori”, a guadagnare spazio fu la cosiddetta “linea Einaudi-Pella”, ispirata a principi liberisti. Einaudi riuscì a sostenere la sua posizione dall’alto degli incarichi di governatore della Banca d’Italia dal 1945 al 1948 e di ministro del Bilancio e vicepresidente del Consiglio nel IV governo De Gasperi (1947-48). In questi anni l’Italia realizzò la graduale liberalizzazione del commercio estero e del credito (marzo 1946), poi entrò nelle istituzioni di Bretton Woods (2 ottobre 1946). Certamente non mancarono alcune marce indietro. La liberalizzazione del commercio estero e del credito determinarono una impennata dell’inflazione fermata nel settembre 1947 da una stretta

192 P. Barucci, L’Italia del dopoguerra: la ricostruzione economica 1943-1947, Le Monnier, Firenze 1978, pp. 33-50.

Sul dibattito intorno alla programmazione economica nel dopoguerra cfr. A. Fiaccadori, Studi italiani dal 1944 al 1960

sul problema della programmazione, in «Economia e Storia», n. 3, 1960; F. Sullo, Il dibattito politico sulla programmazione economica in Italia dal 1945 al 1960, in «Economia e Storia», n.3, 1960; S. Lombardini, La programmazione, idee, esperienze, problemi, Einaudi, Torino 1967; P. Saraceno, Ricostruzione e pianificazione, 1943- 1948 (a cura di e con introduzione di P. Barucci), Laterza, Bari 1969; P. Barucci, Ricostruzione, pianificazione, Mezzogiorno, cit.; P. Roggi, Scelte politiche e teorie economiche in Italia nel quarantennio repubblicano, Giappichelli,

Torino 1987; M. Arcelli (a cura di), Storia, economia e società in Italia, 1947-1997, Laterza, Roma-Bari 1997 e in particolare A.M. Fusco, Gli studi di economia in Italia: momenti di riflessione teorica (1946-1996), in Ivi, pp. 71-126; R. Faucci, Dall’”economia programmatica” corporativa alla programmazione economica: il dibattito fra gli

economisti, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno» n.1, 1999, pp. 9-58; R. Faucci (a cura

di), Economic policy during the planning era in Italy. Theories, history and document, in «History of economic ideas» n. 1-2, 2008 (numero speciale); A. Cova, G. Fumi (a cura di), L’intervento dello Stato nell’economia italiana.

Continuità e cambiamenti (1922-1956), Franco Angeli, Milano 2011.

creditizia decisa proprio da Luigi Einaudi, che adottava dunque uno strumento contrario all’orientamento liberista.

Nel quadro di questa dialettica, Di Nardi continuò a sostenere l’esigenza di un intervento pubblico, che però si ispirasse a criteri democratici. Pur avendo partecipato ai dibattiti dell’Incf fino all’aprile del 1943, dopo la caduta del fascismo la sua scelta in favore di una svolta democratica era stata infatti chiara.

Al momento della formazione del governo di Salò egli rifiutò una richiesta di trasferimento al Nord. Con r.d 25 giugno 1943 Di Nardi era stato nominato Capitano di complemento del corpo di commissariato aeronautico, con ruolo di commissario, e assegnato in forza al comando della 3° squadra aerea territoriale con sede a Roma194, tra l’altro insieme ad Aldo Moro, con cui sarebbe entrato in uno stretto rapporto di amicizia195. In queste vesti, a partire dal 12 ottobre 1943 avrebbe dovuto rispondere alla richiesta di trasferimento di tutto il personale aeronautico tra le file della Repubblica sociale italiana ordinata dal ministro della Difesa della Rsi Graziani. Ma Di Nardi non rispose alla chiamata. Non solo, da un documento del 6 dicembre 1944, che attesta l’inquadramento dell’economista nei ranghi della Regia aeronautica (sempre come ufficiale di complemento), emerge una sua dichiarazione secondo cui avrebbe fatto parte del Comitato di liberazione nazionale come appartenente al Partito liberale «partecipando a comitati di studio e diffondendo opuscoli e stampa clandestini»196.

Nel frattempo proseguì la sua collaborazione con la Banca d’Italia e avanzò nella carriera accademica, ottenendo la nomina a ordinario di economia politica nel 1948197. Insegnò a Bari fino al 1953, per poi trasferirsi all’Università di Napoli.

Sull’esempio di Beveridge – di cui Di Nardi certamente lesse con attenzione i rapporti, conservati nel suo archivio – e del suo maestro Papi, l’economista di Spinazzola sostenne l’esigenza di promuovere in Italia una politica economica ispirata ai principi di una «pianificazione democratica». Secondo Di Nardi, questi principi erano «più conformi alla dignità e alla salvaguardia della persona umana», ed inoltre

lasciano inalterate la libertà di scelta del consumatore, la iniziativa e la responsabilità dell’impresa privata, l’assetto concorrenziale del mercato, ma presuppongono una vigile ed efficiente e continua azione di governo

194 Afus, Adn, busta 131, missiva del ministero dell’Aeronautica – direzione generale del personale militare a Giuseppe

Di Nardi del 26 agosto 1943.

195 Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Aeronautica, 28 agosto 1943. 196

Afus, Adn, busta 131, Documento della Regia aeronautica riflettente la posizione di Giuseppe Di Nardi, 6 dicembre 1944.

197 Di Nardi vinse un concorso all’Università di Modena. In commissione figuravano i suoi due maestri Giovanni

Demaria e Giuseppe Ugo Papi, oltre a Marco Fanno, Angelo Fraccacceta e Francesco Maria Vito. Di Nardi risultò primo con quattro voti, precedendo in seconda posizione Mario De Luca e in terza Luigi Federici. Afus, Adn, busta 116, fascicolo 810.

diretta ad impedire gli squilibri ricorrenti del sistema, ad attenuare comunque le oscillazioni cicliche. La pianificazione assume in questo caso come suo obiettivo principale la “stabilità” economica e il “pieno impiego” delle risorse disponibili198.

Il primo ambito nel quale Di Nardi ebbe modo di far pesare questo suo orientamento fu il settore creditizio. L’esperienza in questo ambito si ricollegava alla collaborazione con la Banca d’Italia iniziata alla metà degli anni Trenta, che si andava ora a concludere con la realizzazione di uno studio dedicato a Le banche di emissione in Italia nel secolo XIX.

Il lavoro nasceva da un incarico ricevuto nel 1945 da Luigi Einaudi, per un volume commemorativo del primo cinquantenario dell’istituto di via Nazionale. La proposta di Einaudi giungeva su un tema a cui Di Nardi aveva già cominciato a ragionare dal 1941199 e consisteva nel ricostruire la storia degli istituti di emissione italiani dal 1844 al 1893. Successivamente, Di Nardi propose ad Einaudi di estendere la ricerca ad un secondo volume che arrivasse al 1943200, ampliando i contenuti di una memoria letta in occasione del cinquantenario dell’istituto di Via Nazionale201.

Nel disegno di Di Nardi, uno degli obiettivi principali del lavoro era seguire «l’evoluzione dei rapporti fra banche d’emissione e governo»202. Da questo punto di vista, i due volumi avrebbero dovuto evidenziare una differenza fondamentale.

La prima parte del lavoro – pronta per la stampa nel 1947 – ripercorreva il processo di progressiva conquista dell’indipendenza da parte degli istituti di emissione nei confronti del governo.

In origine gli istituti bancari erano infatti nati a Genova e Torino su iniziativa del governo piemontese per «il legittimo desiderio di combattere l’usura e favorire col credito lo sviluppo dei traffici e della ricchezza del paese», tanto che «nei primi anni l’erario piemontese perfino aiutò le

198 G. Di Nardi, Condizione e forme della pianificazione economica, relazione tenuta al sesto Convegno nazionale di

Studio dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani dedicato al tema La pianificazione economica e i diritti della persona

umana (Roma 5-7 dicembre 1954), riprodotto in G. Di Nardi (a cura di), Il controllo sociale dell’economia, cit., p. 266.

199 Nel 1941 Di Nardi ricevette dall’avv. Domenico Naselli, per conto di “Puglia in Linea”, la proposta di redigere una

pubblicazione storico-propagandistica sugli istituti di credito e risparmio esistenti in Italia, da far uscire in occasione del ventennale dell’avvento al potere del fascismo al fine di evidenziare il ruolo svolto dal regime nella riorganizzazione del sistema creditizio. Di Nardi accettò l’invito, preparando un documento che indicava gli scopi e la struttura dell’opera. L’obiettivo era proporre «una completa biografia di tutte le banche italiane, grandi e piccole», operando «una descrizione – per quanto possibile dettagliata della struttura e dell’attività delle banche attualmente esistenti in Italia, considerata una per una, secondo la propria specializzazione ed il proprio raggio di azione». A quest’ultimo riguardo, sottolineava che «le banche regionali e locali saranno considerate secondo la loro localizzazione geografica». Afus, Adn, busta 62, fascicolo 425, lettera di Giuseppe Di Nardi all’avv. Domenico Maselli del 23 giugno 1941 con allegato documento sulla biografia delle banche italiane (scopi e struttura dell’opera), pp. 1-2.

200

Afud, Adn, busta 85, fascicolo 614, Appunto per il direttore generale della Banca d’Italia Donato Menichella del 29 novembre 1947.

201 G. Di Nardi, La Banca d’Italia nell’Italia nel periodo 1894-1943. Memoria storica per il Cinquantenario

dell’Istituto di emissione, Banca d’Italia, Roma 1944, ripubblicato in Id., L’economia a una svolta critica, vol. III,

Giuffré, Milano 1985, pp. 127-177.

banche privilegiate, ponendo a loro disposizione e a mitissimo saggio d’interesse somme provenienti dagli avanzi di bilancio»203.

Ma questo rapporto sarebbe presto giunto ad un punto di rottura, che Di Nardi individuava nella costituzione dello Stato italiano. Con esso, sarebbe stato adottato il sistema delle emissioni plurime. Nella interpretazione di Di Nardi, la scelta di questo sistema era da ricondurre «alla necessità economica di mantenere decentrato il sistema bancario, affinché all’agricoltura e alle economie locali non fosse venuto a mancare l’ausilio del credito che, per converso, tende ad essere convogliato prevalentemente verso le grandi capitali dell’industria e della finanza dai sistemi bancari accentrati»204. Secondo Di Nardi «fu forse questa la ragione profonda che indusse il legislatore del 1893 ad adottare il sistema misto, in cui il privilegio dell’emissione fu diviso fra la Banca d’Italia di nuova creazione e i due superstiti banchi meridionali»205.

Di Nardi sottolineava così la necessità di garantire al meridione la presenza di grandi istituti di credito che potessero dunque sostenere una struttura economica di per sé debole. Il tema sarebbe tornato d’attualità con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno.

Tornando ora alla struttura bancaria dello Stato post-unitario, Di Nardi sottolineava come il sistema di emissioni plurime finì per causare un fisiologico allentamento del controllo del ministero del Tesoro sulle tre banche che godevano di questo privilegio

Il momento del tempo al quale si arresta questo volume, l’anno 1893, è ancora contrassegnato dalla resistenza delle banche di emissione all’invadenza del Tesoro. La generazione degli uomini che fecero unita l’Italia sentiva ancora una profonda ripugnanza a confondere la cassa delle banche di emissione con la cassa del Tesoro […]206.

Come anticipava la memoria storica su La Banca d’Italia nel periodo 1894-1943, il secondo volume avrebbe dovuto ricostruire il percorso di progressivo accentramento e riacquisizione del controllo del sistema creditizio da parte dello Stato. Dal punto di vista concettuale, lo studio, pur elaborato in una prospettiva storica, riprendeva dunque l’orientamento degli scritti di Di Nardi degli anni Trenta, in particolare Le banche e lo Stato (1937) e La Banca di emissione nell’economia

autarchica della Nazione (1939).

Nella ricostruzione di Giuseppe Di Nardi, fu la prima guerra mondiale a rappresentare il momento di svolta nei rapporti tra la Banca d’Italia e lo Stato. Per sostenere lo sforzo bellico, l’istituto di emissione anticipò allo Stato biglietti, si impegnò a collocare prestiti pubblici, agì a difesa del

203 Ivi, p. 4.

204 G. Di Nardi, La Banca d’Italia nell’Italia nel periodo 1894-1943, in L’economia a una svolta critica, vol. III, p. 128. 205

Ibidem.

cambio e nel 1917 collaborò all’istituzione dell’Istituto nazionale dei cambi. Nel dopoguerra assicurò aiuto finanziario ai profughi e ai fuoriusciti adriatici e triestini, provvedendo inoltre alla riorganizzazione del sistema bancario nelle terre redente. In sostanza «in ogni contingenza creata dallo stato di guerra la nostra Banca integrò con la sua organizzazione l’Amministrazione statale» svolgendo «un’opera varia e complessa di alta solidarietà nazionale, che portò il nostro Istituto, nonostante la sua struttura di privata società di credito, ad assurgere in primo piano fra le pubbliche istituzioni nazionali»207. Come abbiamo già visto nel primo capitolo, con il fascismo ed in particolare con la riforma bancaria del 1936 questo rapporto fu ulteriormente consolidato, «facendo della banca centrale uno strumento della politica centrale»208.

Di Nardi prospettava così un percorso determinato da necessità storiche («vedere nell’opera del legislatore “lo spirito del tempo” e la forza irresistibile della storia è ricerca che porta diritto allo studio delle “regolarità”», aveva scritto nella introduzione al primo volume209), sfociato nella progressiva subordinazione della banca di emissione agli indirizzi del governo. Si trattava di un orientamento che però non coincideva con un orientamento più “indipendentista” che Donato Menichella intendeva impartire alla Banca d’Italia negli anni della ricostruzione. Fu probabilmente per questo motivo che l’Istituto di via Nazionale decise di accantonare il progetto.

La prima parte del lavoro uscì, con la Utet, solo nel 1953, all’interno della collana «Storia e dottrine economiche» diretta da Pasquale Jannaccone, e, come precisò Di Nardi, «senza che nel volume venga fatto alcun riferimento ad incarico attribuitomi dalla Banca [d’Italia] di compilare tale lavoro o ad ogni altra mia prestazione professionale a favore della Banca, così da evitare qualsiasi interpretazione di consenso della Banca nella descrizione dei fatti contenuti nella mia opera ed ogni altra possibile associazione della banca al volume»210. La Banca d’Italia avrebbe pubblicato uno studio analogo solo nel 1990, a cura di Renato De Mattia211.

Il lavoro svolto alla Banca d’Italia dal 1936 e questi studi dedicati agli istituti di emissione favorirono il coinvolgimento di Giuseppe Di Nardi nei lavori della Commissione economica istituita nel 1945 dal Ministero per la Costituente. La commissione era presieduta da Giovanni Demaria e fu divisa in cinque sottocommissioni: “credito e assicurazione”, “problemi monetari e

207 G. Di Nardi, La Banca d’Italia nell’Italia nel periodo 1894-1943, cit., p. 147. 208 Ivi, p. 172.

209 G. Di Nardi, Le banche di emissione in Italia nel secolo XIX, cit., p. 1. 210

Afus, Adn, busta 65, fascicolo 440, lettera di Giuseppe Di Nardi al governatore della Banca d’Italia Donato Menichella del 9 febbraio 1953. Menichella risponderà il 10 febbraio affermando che «poiché la Banca d’Italia non ha maturato la decisione di curarla essa stessa, consento volentieri a restituirle la disponibilità del manoscritto, per la eventuale pubblicazione». Ivi.

211

R. De Mattia (a cura di), Gli Istituti di emissione in Italia. I tentativi di unificazione 1843-1892, Collana storica della Banca d’Italia-Documenti, Laterza, Roma-Bari 1990.

commercio estero”, “industria”, “agricoltura”, “finanza”. I lavori furono caratterizzati dalla dialettica tra liberisti e pianificatori212.

Di Nardi fu inserito nella sottocommissione “credito e assicurazione”, inizialmente come esperto e poi, dalla seduta n. 15 del 16 gennaio 1946, come coordinatore dei lavori, subentrando in questa funzione a Giannino Parravicini213. Il compito principale di questa sottocommissione consisteva nel valutare eventuali riforme rispetto alla legge bancaria del 1936 e formulare proposte su nuove istituzioni creditizie capaci di garantire credito a medio e lungo termine al settore industriale214. Nel corso del dibattito le posizioni furono articolate, evidenziando sfumature diverse. A proposito della riorganizzazione del sistema bancario, gli orientamenti spaziarono dai fautori della nazionalizzazione delle grandi banche come strumento di pianificazione economica a coloro che invece chiedevano una ampia libertà degli istituti bancari nel finanziamento delle attività produttive, come l’Abi215. Tuttavia, tra gli istituti bancari si distingueva la posizione del Banco di Sicilia, che apriva ad una politica attiva dello Stato, anche nel settore creditizio, come strumento di lotta contro la disoccupazione. Evidenziamo questo posizione perché segnala un’esigenza degli ambienti meridionali che sarebbe stata recepita qualche anno più tardi con l’elaborazione della politica di intervento straordinario nel Mezzogiorno216.

Anche tra i liberali le posizioni furono variegate. Alcuni esponenti come Luigi Einaudi, Costantino Bresciani Turroni ed Epicarmo Corbino, sostennero una limitazione della concorrenza nel settore

212 Sul dibattito alla Commissione economica della Costituente cfr. F. Caffé, Un riesame dell'opera svolta dalla

Commissione economica per la Costituente, in Aa. Vv., Studi per il ventesimo anno dell'Assemblea costituente, vol. III,

Vallecchi, Firenze 1969; L. Gianniti, Note sul dibattito alla Costituente sulla "costituzione economica”, in «Diritto Pubblico», n. 3, 2000.

213 Acs, Mc, Ce, Sottocommissione credito e assicurazione, busta 114, verbali delle riunioni.

214 Sui lavori della sottocommissione Credito cfr. G. Morelli, C. Pace, Origini e identità del credito speciale, Parte III,

Franco Angeli, Milano, 1984; M. Bagella, Il dibattito sul futuro del sistema finanziario italiano alla Assemblea

Costituente, in «Rivista di Politica Economia», n.4, 2006, pp. 51-81.

215 Si veda la documentazione relativa agli interrogatori conservata in Acs, Mc, Ce, Sottocommissione credito e

assicurazioni, busta 112, questionario n. 7.

216 Acs, Mc, Ce, Sottocommissione credito e assicurazioni, busta 113, questionario n. 1. In particolare, con riferimento

al quesito n. 7 del questionario n. 1 («Nell’ambito della politica generale del credito e degli investimenti, qualunque essa sia, ritenete che lo Stato debba poter indirizzare, secondo suoi piani e criteri, i finanziamenti degli istituti di credito e gli investimenti verso determinati settori economici o verso determinate regioni?»), il Banco di Sicilia rispose «È utile che lo Stato eserciti la sua influenza nell’indirizzare i finanziamenti degli istituti di credito e gli investimenti in conformità della politica economica generale, specialmente con riguardo a determinare regioni. Questo criterio è adottato anche in Inghilterra. Il problema interessa in modo particolare la Sicilia». Allo stesso quesito, l’Abi e le altre banche avevano risposto affermando che lo Stato non doveva influire sull’esercizio del credito. Al quesito n. 1 e 2 («Deve lo Stato attuare una politica attiva del credito e degli investimenti? In particolare ritenete che una politica generale del credito e degli investimenti debba mirare ad attuare nel paese la maggiore occupazione dei fattori produttivi, oppure la stabilità dei prezzi, ecc.? Oppure a quali altri scopi deve mirare la politica del credito e degli investimenti? È possibile fissare un criterio di precedenza tra i vari scopi che detta politica si deve prefiggere? Quale?») aveva risposto: «Nella fase economica odierna lo Stato non può fare a meno di praticare una politica attiva del credito e degli investimenti, utilizzando al massimo grado la capacità della iniziativa privata e le risorse produttive del Paese al fine di conseguire la eliminazione o la maggiore possibile attenuazione della disoccupazione, l’aumento della produzione e la creazione di un sano, giusto equilibrio fra le economie delle varie regioni […]». Anche in questo caso la posizione dell’Abi e delle altre banche era di orientamento diverso, e pur riconoscendo per lo Stato la impossibilità di disinteressarsi della politica creditizia, invitavano ad una limitazione delle sue funzioni alla manovra del saggio di sconto e dei titoli di Stato.

creditizio perché più funzionale alla stabilità del sistema, presentandosi come «fautori di una politica monetaria e creditizia rigorosa e di una governance molto salda del settore, basata sul ruolo centrale della Banca d’Italia e sul coordinamento tra questa ed il governo»217.

Dal canto suo, Di Nardi mantenne una linea improntata all’esigenza di coniugare i principi del liberalismo con una politica interventista da parte dello Stato.

Il nocciolo della questione era garantire l’estensione del credito, necessaria innanzitutto a raggiungere più alti livelli di occupazione, ma al tempo stesso difendere la stabilità della moneta, l’equilibrio della bilancia commerciale e del rapporto fra reddito e massa dei pagamenti. Si trattava di condizioni che per Di Nardi potevano essere assicurate solo riconoscendo un ruolo attivo allo Stato nel settore creditizio. A tal proposito, egli sostenne anche una politica di pianificazione del credito mobiliare attraverso istituti specializzati quali l’Imi, come si evince dall’interrogatorio del commissario straordinario della stessa Imi Paride Formentini218. Una posizione non condivisa dagli esponenti di Abi, Ansaldo, Banco Ambrosiano e Banca d’Italia, che ritenevano necessario percorrere la strada del rapporto diretto tra risparmiatore e impresa, senza che questo comportasse