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2. GLI ANNI CINQUANTA: LO STATO MOTORE DELLO SVILUPPO

2.5 Il sostegno del Mezzogiorno nel quadro del Mec

Anche nell’ambito delle negoziazioni sulla costituzione del Mec, l’Italia pose all’attenzione la necessità di prevedere strumenti per l’attuazione di politiche di sviluppo rivolte alle regioni più arretrate. Di Nardi fu uno degli esperti incaricati dal governo italiano di sostenere questa linea a livello europeo.

Come abbiamo visto, l’economista di Spinazzola aveva già partecipato al dibattito sull’unificazione del continente durante la seconda guerra mondiale, sostenendo una posizione che prevedeva la costituzioni di due diversi blocchi formati da Stati omogenei dal punto di vista della struttura economica: uno “nordico” facente perno sulla Germania, l’altro meridionale ruotante intorno all’Italia. In questo modo si sarebbe evitato il pericolo di subordinare le economie meridionali ai sistemi più avanzati del Nord Europa. All’interno dei due blocchi, la pianificazione avrebbe consentito l’attuazione di politiche economiche elaborate in funzione delle differenze strutturali di ciascun paese. Alcune di queste osservazioni sarebbero state riprese e riadattate da Di Nardi in occasione del dibattito sull’integrazione europea nel secondo dopoguerra.

Dal 1949 Di Nardi prese parte alle attività della sezione economica e sociale italiana del “Movimento Europeo”, che coincideva con la sezione italiana della Lega europea di cooperazione economica (Lece). Essa era stata istituita su iniziativa del senatore Enrico Falck – che nel 1950 ne sarebbe diventato anche il presidente, dopo il primo breve mandato di Giuseppe Togni – e poteva contare sul sostegno di Alcide De Gasperi quale presidente onorario322.

Come ha evidenziato Paolo Tedeschi, «l’action de la Sil [Sezione italiana della Lece] en faveur du

plan Schuman a été très importante. Elle se manifeste à travers une partecipation significative aux

322 Le Lega europea di cooperazione economica è stata fondata nel 1946 da una rete di imprenditori europei con

l’obiettivo di esercitare pressioni sui decision makers per promuovere l’integrazione economica europea. Nel 1948 la Lece è stata tra i membri fondatori del Movimento europeo. La sezione italiana della Lece è nata nel 1948 ed ha cessato la sua attività nel 1987. I primi membri della sezione italiana della Lece futrono Giuseppe Corridori (Presidente della Bnl), Salvatore Abbadessa (Presidente del cda del Banco di Sicilia), Dino Cardarelli (Presidente del cda della Feltrinelli), Mario Marconi (ad della Franco Tosi), Carlo Faina (ad della Montecatini), Costantino Dragan (vice- presidente della Butan-Gas) e poi professori universitari come Pier Fausto Palumbo, Carlo Ruini, Franco Feroldi, Marco Visentini, Mario Comba, Francesco Vito, Giuseppe Di Nardi, Vittorio Angeloni e Silvio Bacchi Andreoli. Parteciparono inoltre ai lavori Pietro Romani (Alto commissario per il Turismo) e il barone Riccardo Astuto di Lucchesi (Presidente dell’Istituto per l’Africa). Per la storia della sezione italiana della Lece cfr. P. Tedeschi, Une nouvelle

Europe à costruire. La section italienne de la Lece, de 1948 à la création du Marché Commun, in «Journal of European

History Integration», n. 1, 2006, pp. 87-104. Sull’attività della Lece cfr. Lece, La Lece. Dieci anni di attività (1947-

1957), Pirola, Milano 1957; Id., Al di là della Comunità economica europea, Pirola, Milano 1958; Id., La Lece 1946- 1966, Ids, Bruxelles 1967; M. Dumoulin, La ligue européenne de coopération économique (1946-1954), in M.

Dumoulin, R. Girault, G. Trausch, L’Europe du Patronat. De la guerre froid aux années soixante, Peter Lang, Berne 1993, pp. 207-211; M. Dumoulin, La Ligue européenne de coopération économique ou la méthode des petits pas, in A. Ciampani, L’altra via per l’Europa. Forze sociali e organizzazione degli interessi nell’integrazione europea (1947-

1957), Franco Angeli, Milano 1995, pp. 230-243; M. Van der Velden, The Origins of the European League for Economic Cooperation, Elec, Brussels 1995. La documentazione archivistica relativa alla Lece è conservata presso

discussions au Ccl [Conseil Central de la Lece] et une intervention directe dans les débats qui conduisaient à l’instauration de la Ceca»323.

Attraverso la Lece, Di Nardi ebbe modo di entrare in contatto con l’ambiente che avrebbe ispirato i primi passi dell’integrazione europea. Tra le figure che frequentavano questo circuito ricordiamo il premier belga Paul Henri Spaak – presidente d’onore del Movimento europeo insieme al già citato Alcide De Gasperi, a Léon Blum e a Winston Churchill – al cui nome sarà legato uno degli incarichi più importanti rivestiti da Di Nardi in ambito europeo.

In quanto membro della sezione italiana della Lece, Di Nardi fu designato a far parte della delegazione italiana al Congresso di Westminster, svoltosi dal 19 al 25 aprile 1949, che avrebbe dovuto discutere le soluzioni per la costituzione di una Unione economica europea324. La conferenza si concluse con l’approvazione di risoluzioni che invitavano a procedere verso l’unificazione della moneta, l’intensificazione dello scambio agricolo – nonché l’aumento concordato e intensivo della produzione agricola, preludio alla elaborazione di una politica agricola comune – la creazione di un Consiglio economico e sociale europeo per la formazione di un’economia unificata continentale e la libera circolazione delle merci, dei capitali e degli uomini. Per dare sostanza agli intenti di Westminster, nell’ottobre del 1950 la Lece elaborò un primo piano di unificazione monetaria che prevedeva la reciproca convertibilità delle monete e l’istituzione di un Fondo monetario europeo con la funzione di clearing tra i Paesi partecipanti325. Allo stesso tempo, Paul Naudin, vicepresidente della sezione francese della Lece, redasse un rapporto dal titolo “Tappe di una liberalizzazione tariffaria”, di cui Di Nardi fu relatore in seno alla sezione italiana economica e sociale del “Movimento Europeo326. Nel documento, Naudin tracciava una road map per l’abolizione dei sistemi tariffari nazionali che prevedeva due step: 1) l’abolizione dei diritti di carattere fiscale, perché non motivati da necessità di difesa economica della produzione interna; 2) l’adozione transitoria di tariffe compensatrici, per riequilibrare la differenza nei costi della stessa merce da un paese all’altro. Come vedremo, si tratta di spunti che Di Nardi avrebbe raccolto e rielaborato, in considerazione delle problematiche che l’integrazione europea poneva all’economia italiana ed in particolare ai territori del Mezzogiorno

323 P. Tedeschi, Une nouvelle Europe à costruire. La section italienne de la Lece, de 1948 à la création du Marché

Commun, cit., p. 94.

324

Adn, Afus, busta 63, fascicolo 432, lettera a firma di Fausto Palumbo (per il Comitato preparatorio internazionale), e Enrico Falck (per la presidenza del Comitato italiano) a Giuseppe Di Nardi del 31 marzo 1949. Il Congresso di Westminster seguiva la conferenza dell’Aja del 7-10 maggio 1948, in cui era nato il Movimento europeo. Questa conferenza aveva previsto la successiva organizzazione di due iniziative: la prima dedicata alle problematiche economiche dell’unificazione europea e la seconda sui risvolti culturali. La prima di queste due conferenze si svolse appunto a Westminster.

325 Afus, Adn, busta 64, fascicolo 436, Caratteristiche del piano monetario elaborato dalla “Ligue Européenne de

Coopération Economique”, datato ottobre 1950.

326

Afus, Adn, busta 64, fascicolo 436, lettera di Pier Fausto Palumbo a Giuseppe Di Nardi del 3 ottobre 1950 con allegato rapporto Naudin “Tappe di una liberalizzazione tariffaria”.

Le linee direttive dell’impegno profuso da Giuseppe Di Nardi in ambito comunitario le ritroviamo nella relazione Gli aspetti economici del problema dell’Europa, presentata al “Primo convegno di scienze politiche e sociali sugli aspetti storici giuridici ed economici del problema dell’Europa”, promosso il 23 e 24 aprile 1952 a Milano dalla Lece e dall’Associazione italiana di scienze politiche e sociali.

Nell’intervento Di Nardi svolgeva una analisi complessa delle conseguenze del processo di integrazione economica europea sull’Italia. Da una parte esso avrebbe favorito la formazione di capitali, con l’afflusso di finanziamenti dall’estero, indispensabili per la modernizzazione del Paese. Dall’altro, presentava notevoli rischi collegati all’ingresso di una economia ancora debole in un mercato più ampio composto da paesi più sviluppati. Per questo motivo Di Nardi suggeriva l’adozione di un periodo transitorio che avrebbe consentito di preparare all’appuntamento anche le aree in ritardo di sviluppo. Da meridionale, l’esperienza che richiamava alla memoria era l’integrazione economica italiana dopo la costituzione dello Stato nel 1861, avvenuta per immediata estensione degli ordinamenti amministrativi, tributario, doganali e monetari del Piemonte. A tal proposito, Di Nardi sottolineava che

Non vi fu tempo per meditare sul modo di attenuare, mediante regolamenti di transizione, gli squilibri economici che inevitabilmente seguono alla caduta repentina di ordinamenti precostituiti. Le conseguenze economiche di quella frettolosa procedura unificatrice di economie, che si erano sviluppate all’ombra protettiva di ordinamenti dissimili, durano ancora nel tempo. La “questione meridionale” è ancora aperta dopo 90 anni. La formazione di un’area depressa che occupa il 40% del territorio nazionale è fenomeno che impone di meditare sui modi possibili di attuare l’unificazione di economie non complementari, per evitare

che in Europa si formino e durino nuove e più estese aree depresse327.

Per questo nella visione di Di Nardi la politica doveva guidare il percorso di integrazione. Egli ricordava che «l’unione doganale dei Paesi europei non è realizzabile ove manchi l’unione politica degli stessi Paesi» e che «la costituzione unitaria della Comunità europea, d’altra parte, non sembra realizzabile senza che siano da prima soddisfatte alcune condizioni di equilibrio nei rapporti economici fra i Paesi che dovrebbero mettere in comune le proprie risorse»328.

Proprio nella direzione in cui si orientava la Lece, anche Di Nardi riteneva necessario che l’unificazione del mercato europeo fosse accompagnata dall’integrazione monetaria, o almeno dall’instaurazione di cambi fissi tra le diverse monete. Sotto il profilo dell’unione doganale, Di

327 G. Di Nardi, Gli aspetti economici del problema dell’Europa, in G. Gioli (a cura di), L’Europa e gli economisti

italiani nel Novecento, Franco Angeli, Milano 1997, pp. 131-132.

Nardi riprendeva i suggerimenti di Naudin, sostenendo la necessità di una graduale abolizione dei dazi.

Inoltre, l’economista pugliese invitava ad adottare schemi comuni nel settore dell’occupazione, per l’elaborazione di terapie anticicliche, per la gestione del bilancio pubblico dei Paesi aderenti al sistema unificato (in questo senso richiedeva dunque un coordinamento della politica finanziaria dei singoli Paesi), per la libera circolazione dei lavoratori e per l’unificazione dei metodi di sicurezza sociale e dei relativi oneri. Infine, prospettava azioni comuni per la costituzione di scorte di congiuntura (sia dei prodotti agricoli che di quelli industriali) al fine di valorizzare le merci nelle fasi di depressione.

Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta Di Nardi faceva dunque parte a pieno titolo del gruppo di esperti che indirizzavano il dibattito sull’integrazione europea. Questo ruolo ricevette una investitura ufficiale nell’ambito della Commissione Spaak per l’elaborazione del Trattato per la Comunità economica europea, istituita a conclusione della conferenza di Messina del giugno 1955.

Nel dibattito che si sviluppò all’interno della Commissione, i delegati dei sei Stati chiamati a dare vita al Mec sostennero i differenti orientamenti di politica economica che abbiamo già messo in luce nel primo paragrafo di questo capitolo

The debate concentrated, in particular, on the economic framework to be used. The Federal Republic of Germany – and in particular the ministry of Economic – and the Benelux countries supported a liberal

economic policy, whereas Italy and France advocated a more dirigiste approach329.

L’Italia della metà degli anni Cinquanta assisteva ancora alla disputa tra liberisti e dirigisti, anche con riferimento alle politiche europee, ma il rapporto di forza era ormai a favore del secondo, ben

329 L. Coppolaro, Setting up the financing institution of the European Economic Community: the creation of the

European Investment Bank (1955-1957), in «Journal of European Integration History», n. 2, 2009, p. 91. Sul processo

di integrazione europeo cfr. W. Lipgens, Die Anfänge der europäischen Einigungspolitik 1945-1950, Klett-Cotta, Stuttgart 1977; R. Poidevin (a cura di), Histoire des débuts de la construction européenne (mars 1948-mai 1950), Bruylant/Nomos, Bruxelles/Baden-Baden 1986; K. Schwabe (a cura di), Die Anfänge des Schuman-Plans 1950/51, Nomos, Baden-Baden 1988; E. Sera, Il rilancio dell’Europa e i trattati di Roma, Giuffré, Milano 1989; G. Trausch (a cura di), Die Europäische Integration vom Schuman-Plan bis zu den Verträgen von Rom, Nomos, Baden-Baden 1993; R.H. Rainero (a cura di), Storia dell’integrazione europea, Marzorati, Milano 1997; A. Deighton, A.S Milward (a cura di), Widening, Deepening and Acceleration: The European Economic Community 1957-1963, Nomos, Baden-Baden 1999; G. Mammarella, F. Fauri, L’integrazione economica europea 1947-2006, Il Mulino, Bologna 2006; A. Varsori (a cura di), Inside the European Community. Actors and Policies in European integration, 1957-1972, Nomos, Baden- Baden 2006; M. Rasmussen, A.-Ch. Knudsen, J. Poulsen (a cura di), The road to a United Europe – Interpretations of

the Process of European Integration, Peter Lang, Bruxelles 2007; P. Craveri e A. Varsori, L’Italia nella costruzione europea. Un bilancio storico (1957-2007), Franco Angeli, Milano 2009. Inoltre, si vedano i vari numeri del «Journal of

più numeroso, raggruppamento330. Fu proprio questo orientamento a rappresentare l’Italia a livello europeo e Giuseppe Di Nardi ne fu uno dei principali alfieri.

La Commissione Spaak si riunì la prima volta a Bruxelles il 9 luglio 1955 ed istituì al suo interno commissioni per l’energia convenzionale; l’energia nucleare; i trasporti e i lavori pubblici; il mercato comune; gli investimenti e i problemi sociali. Quest’ultima commissione, presieduta da Verrijn-Stuart, era incaricata di studiare le problematiche connesse allo smantellamento degli ostacoli alla libera circolazione di beni, servizi, persona e capitali; l’istituzione di una tariffa doganale unica; l’armonizzazione delle politiche economiche, finanziarie e sociali; la creazione delle istituzioni che avrebbero governato la comunità e l’istituzione di un fondo di investimento e di un fondo di riconversione. Questa commissione fu articolata in due sottocommissioni. La prima sui problemi sociali, presieduta da Doublet. La seconda sugli investimenti, affidata a Giuseppe Di Nardi331.

L’azione di Di Nardi alla guida di questa sottocommissione fu orientata dal convincimento che la creazione di un grande spazio economico dovesse essere accompagnata «dalla formazione di istituzioni specifiche dirette alla sollecitazione dello sviluppo, per impedire che si formino nuove aree sottosviluppate come conseguenza del mercato comune»332.

Di Nardi riteneva infatti il Mec una opportunità per l’Italia, ma ricca di insidie per le regioni del Mezzogiorno, secondo una posizione sostenuta anche da Marco Fanno333. L’Italia che si apprestava ad entrare nel mercato comune aveva infatti un terzo della popolazione complessiva dei sei Paesi membri, ma il più basso livello di reddito pro-capite, pari alla metà della media. Il Mec costituiva senza dubbio l’opportunità di accrescere il reddito pro-capite degli italiani, tuttavia, il maggior

330

Sul dibattito tra gli economisti italiani intorno all’unificazione europea cfr. G. Gioli (a cura di), L’Europa e gli

economisti italiani nel Novecento. Federalismo, integrazione economica, fiscalità, Franco Angeli, Milano 1997; G.

Lunghini (a cura di), Scelte politiche e teorie economiche in Italia (1945-1978), Einaudi, Torino 1981, in particolare M. De Cecco, Gli economisti italiani e l’adesione dell’Italia al Mec, pp. 245-257. I due maestri di Di Nardi si collocavano su fronti opposti della barricata. Da liberista, Giovanni Demaria era contrario alla costituzione di un mercato comune europeo, che avrebbe privilegiato, data la sua limitatezza spaziale, le grandi industrie e dunque la formazione di cartelli (cfr. Per una politica prudente sul Mercato Comune Europeo, in «Rivista internazionale di Scienze Economiche e Commerciali», ottobre 1958, pp. 901-907). Giuseppe Ugo Papi credeva invece nella realizzazione del Mec, tuttavia suggeriva l’adozione di un sistema di transizione per integrare in maniera meno traumatica l’economia italiana nel contesto continentale (cfr. Le basi mondiali della integrazione europea, in Studi in onore di A. Ambrosini, Giuffré, Milano 1957, pp. 667-684).

331 Haeu, Cm3/Nego 43. 332

Afus, Adn, busta 29, fascicolo 252, intervento di Di Nardi al convegno organizzato dalla Ceca a Napoli il 12 dicembre 1955, p. 2.

333 In un convegno dedicato al Mec organizzato dall’Accademia dei Lincei nel maggio 1958, Fanno prospettava il

pericolo di una «deindustrializzazione» del Mezzogiorno: «Se questo dovesse effettivamente verificarsi ci troveremmo di fronte a questa situazione paradossale, per cui nel momento stesso nel quale studiosi e uomini di governo attribuiscono concordemente le condizioni disagiate dei cosiddetti paesi arretrati al fatto di essere rimasti esclusivamente o quasi esclusivamente paesi agricoli, e suggeriscono per migliorarla la loro industrializzazione, si attuerebbero con l’apertura del Mercato comune provvedimenti diretti bensì, nelle intenzioni dei loro fautori, ad avvantaggiare tutti i paesi partecipanti, ma destinati in realtà ad avvantaggiare soltanto alcuni di essi a spese di altri»; la citazione è ripresa da M. De Cecco, Gli economisti italiani e l’adesione dell’Italia al Mec, cit., p. 253.

vantaggio lo avrebbero tratto le regioni settentrionali, più prossime alle zone sviluppate dell’Europa centrale

Nessuno può prevedere oggi quali conseguenze avrà l’inserimento del nostro paese in più vasto mercato. Si può fondatamente presumere che lo sviluppo economico dell’Italia se ne avvantaggerebbe, ma con molta probabilità sarebbero ancora le regioni settentrionali, più prossime al centro dell’Europa, a trarne il maggior profitto. Si può ragionevolmente ritenere che il distacco fra lo sviluppo del Nord e quello del Sud si accentuerebbe. Se le cose andassero a questo modo e se si lasciassero così andare, ciò significherebbe

l’abbandono della nostra politica di sviluppo regionale334.

L’adozione di un mercato comune lasciato a se stesso rischiava dunque di acuire distorsioni spaziali nella redistribuzione del reddito. Ciò rendeva necessaria una “guida” nella redistribuzione delle risorse disponibili. Di Nardi riteneva infatti che «l’ampliamento del mercato non è da intendersi soltanto in senso spaziale» perché «l’effettiva espansione del mercato viene invece dall’aumento del potere d’acquisto di cui dispongono le popolazioni che costituiscono il mercato» e che a sua volta «l’aumento del potere d’acquisto globale non risulta automaticamente dall’abolizione degli intralci che frenano e comprimono gli scambi, ma dipende dal modo come si distribuirà il beneficio degli scambi in aumento»335.

Di Nardi sfruttò il suo ruolo di presidente della sottocommissione investimenti per orientare nella direzione da lui prediletta il dibattito sull’istituzione di un fondo di investimento e di un fondo di riconversione.

Il fondo di investimento era stato ipotizzato per raccogliere risorse destinate al finanziamento di progetti per la creazione di infrastrutture. Come sostenuto da alcuni economisti nel quadro dei lavori della sottocommissione, questo fondo era interpretato come uno strumento adatto a contrastare quello squilibrio di sviluppo tra aree più ricche e zone depresse che sarebbe inevitabilmente risultato dall’applicazione delle regole di libero mercato336. In contraddizione con i dettami liberisti, lo stesso Di Nardi osservava che «le fonds européen d’investissements présente des

334 G. Di Nardi, Il mercato comune europeo e le zone sottosviluppate (1956), in «Rassegna Economica» luglio-

settembre 1956, p. 486.

335 Ivi, pp. 481-482. Di Nardi proseguiva affermando che «L’azione della concorrenza non è ritenuta sufficiente a

fomentare lo sviluppo delle risorse potenziali delle zone meno progredite. Le politiche di sviluppo regionale, intraprese in vari paesi all’ombra della protezione doganale con i sussidi che uno Stato pienamente sovrano nell’esercizio della sua politica economica può largire a beneficio delle iniziative che si localizzano nelle zone meno favorite, rischiano di risultare incompatibili con le regole del gioco della piena concorrenza, senza delle quali non sembra che possa funzionare un mercato comune. Non si esce dall’impasse, se non si trova il modo di rendere compatibile il progresso economico generale della comunità con l’istanza distributiva, la quale reclama che nel più vasto mercato non abbia ad approfondirsi il solco fra le regioni in cui più alta è la concentrazione dell’attività economica e le regioni che si dicono sottosviluppate»; p. 483.

336

Haeu, Cm3/Nego 43 ac-b, Commission du Marché Commun des investissements et des problémes sociaux – Sous- Commission des investissements, document de travail, 19 septembre 1955.

caractères spécificques, car il est un des institutions destinées à faciliter l’établissement du marché commun»337.

Il secondo fondo cui doveva essere dedicato il lavoro della sottocommissione era quello di riadattamento, concepito per aiutare la riconversione dei soggetti economici penalizzati dalla formazione del mercato comune (manodopera, imprese, agricoltura).

In entrambi i casi, la delegazione italiana, quasi «sempre supportata» da quella francese e «spesso» anche da quella belga, si trovò a dover contrastare l’azione svolta dai delegati tedeschi e olandesi, che miravano a restringere il campo di intervento dei due fondi338.

L’obiettivo della delegazione italiana, in particolare nell’ambito della commissione presieduta da Giuseppe Di Nardi, consisteva dunque nel prefigurare una deciso intervento delle istituzioni comunitarie a favore dei territori in ritardo di sviluppo ed in ambito sociale. Si trattava di un orientamento che, sfruttando il dibattito sull’istituzione di un fondo di investimento, doveva portare alla costituzione, a livello europeo, di un organismo “gemello” della Cassa per il Mezzogiorno339. Il

337 Ivi, p. 16.

338 «[…] Non è stato possibile raggiungere un accordo sulle varie caratteristiche ed obiettivi dei due Fondi. I delegati