3. GLI ANNI SESSANTA: PROGRAMMAZIONE NAZIONALE SENZA PIANIFICAZIONE REGIONALE
3.2 Per una programmazione economica indicativa
Il dibattito sulla programmazione coinvolse molti studiosi dall’immediato secondo dopoguerra. Tra questi Di Nardi, alla ricerca di un orientamento nel quadro dell’economia occidentale, che fosse in grado di coniugare intervento pubblico e iniziativa privata.
Nel sistema immaginato da Di Nardi, l’uomo (dunque la sua libera espressione anche in campo economico) occupava una posizione centrale. Scriveva infatti che «i valori della personalità umana sono al vertice dei valori sociali e l’organizzazione della convivenza è ordinata come mezzo a fine, verso il conseguimento di tali valori». In questo senso «l’organizzazione dell’economia nel mondo occidentale non può perciò – come parte che non può essere difforme dal tutto – non essere al
servizio dell’uomo». Di contro «l’economia che comprime la persona umana tradisce i valori della
nostra civiltà»377.
L’economista di Spinazzola riconosceva l’esistenza di un modello ideale dell’economia di mercato, in base al quale sarebbe assicurata l’ottimale selezione degli operatori economici, il costante aumento della produttività con conseguente riduzione dei prezzi a beneficio della massa di consumatori. A fronte di questo modello ideale, stava però la realtà, che evidenziava delle distorsioni. Infatti, evidenziava Di Nardi, «l’economia di mercato, in verità, non ha funzionato con tanta perfezione e perciò si spiega come le istanze sociali si facciano tanto più pressanti quanto più l’economia di mercato si allontana dal suo modello razionale»378. Inoltre, Di Nardi aggiungeva che «l’economia di mercato genera disuguaglianze nello sviluppo regionale» quando «l’iniziativa privata non riesce ad utilizzare pienamente le risorse che permangono inattive nelle zone che si dicono sottosviluppate».
Nella sua visione era dunque necessario un orientamento di politica economica che si proponesse
376 Afus, Adn, busta 39, fascicolo 313, Introduzione ad una raccolta di saggi presentati al congresso di Madrid del 1967,
consegnata all’Isvet il 28 luglio 1968, p. 6.
377 G. Di Nardi, Economia di mercato e istanze sociali, Relazione al Convegno di Studi sul tema “Pianificazione o
economia di mercato? Esigenza di chiarezza per una politica di piena occupazione nel rispetto delle istituzioni democratiche”, Roma 18-20 giugno 1959, a cura del Comitato d’intesa unitaria del Ceto Medio Italiano, pubblicato in G. Di Nardi, Il controllo sociale dell’economia, Giuffré, Milano 1967, pp. 4-5.
«di integrare e correggere con l’iniziativa pubblica le deficienze di un sistema economico, che poggia prevalentemente sull’iniziativa privata»379.
Due dovevano essere gli obiettivi dell’intervento pubblico: l’adozione di una «politica della congiuntura», con l’obiettivo di mantenere l’economia al riparo dalle fluttuazioni cicliche, e la «politica dello sviluppo», finalizzata all’espansione del sistema economico per conseguire più alti livelli di benessere.
Nel primo caso, si rendeva necessario «un più impegnativo intervento della spesa pubblica per sostenere l’attività economica quando si manifestano i primi segni di una depressione», a condizione però che la spesa pubblica sia «organizzata per accrescerne l’efficacia» (il corsivo è nostro). Infatti egli riteneva necessaria una rigida selezione dei progetti di spesa «in funzione della loro produttività espressa in termini di prevedibile incremento del reddito nazionale»380. Tornava dunque la distinzione, mutuata dal pensiero di Giuseppe Ugo Papi, tra spesa produttiva e spesa improduttiva.
In particolare la spesa produttiva si legava poi all’attuazione di politiche di sviluppo. Esse potevano essere infatti attuate «mediante investimenti propulsivi, che hanno la funzione di iniziare un processo cumulativo nella formazione del reddito e del capitale»381. In questo caso, la spesa pubblica avrebbe dovuto caratterizzare la prima fase della politica di sviluppo, creando redditi monetari aggiuntivi funzionali all’espansione del mercato e alla nascita di nuove oppotunità per gli investimenti privati.
Affinché le politiche di sviluppo fossero efficaci, Di Nardi riteneva necessario elaborare una «strategia, che stabilisce su quali grandezze del sistema economico è necessario agire con continuità, in modo da provocare un dato tasso di sviluppo». La strategia costituiva «il programma
di sviluppo», alla cui esecuzione dovevano concorrere tanto l’iniziativa pubblica quanto quella
privata. Esse dovevano però muoversi in armonia. Per questo Di Nardi richiamava l’attenzione sulla necessità di «convogliare la condotta dell’iniziativa privata verso gli obiettivi del programma». Di Nardi prefigurava così una politica che «si propone di realizzare la pianificazione mediante il
mercato, cioè utilizzando congiuntamente il piano economico e il meccanismo dei prezzi di
mercato»382. La pianificazione sarebbe stata gestita da un organo centrale che avrebbe vagliato i vari provvedimenti da attuare.
L’intervento dello Stato in economia doveva comunque essere calmierato. Di Nardi lo ribadiva in questi anni, con delle riflessioni che interessavano la concezione keynesiana. L’economista pugliese 379 Ivi, p. 12. 380 Ibidem. 381 Ivi, p. 19. 382 Ibidem.
scriveva infatti che «l’ottica [della teoria keynesiana] è la visione delle quantità globali (il reddito nazionale, il consumo totale, il risparmio della collettività, l’investimento come grandezza unica, ecc.), che tuttavia sono sempre le risultanti di numerosissime e varie decisioni individuali; il che significa che questa teoria presuppone e assume come valida la teoria generale dei prezzi, costruita appunto sulle ipotesi che definiscono i comportamenti individuali». In questo senso, sarebbero dunque gli individui a plasmare il sistema. Tuttavia, il passaggio dal modello ideale alla realtà determinava un mutamento fondamentale. Nella realtà «le implicazioni [della teoria keynesiana] portano ad un inconsueto rilievo della funzione del potere pubblico, che diventa lo stratega necessario per spingere il sistema economico all’equilibrio di piena occupazione e per mantenerlo», per cui «queste politiche comportano un esteso controllo dei poteri pubblici su quantità crescenti di risorse economiche e si giustificano con la motivazione dell’insufficienza del “controllo sociale” esercitato dal mercato sulla destinazione delle risorse». Ne derivava dunque una «frattura fra la concezione teorica del funzionamento del sistema economico e la realtà, che viene ad essere sempre più estesamente plasmata dal potere pubblico». Di Nardi aggiungeva che «la frattura appare in tutta la sua gravità se si pensa che finora non è stata elaborata alcuna teoria coerente delle decisioni pubbliche»383. In sostanza, l’estensione dell’intervento pubblico cui conduceva l’applicazione della teoria keynesiana non poteva essere supportato da un adeguato impianto concettuale e pertanto rischiava di essere pernicioso.
Rifiutando dunque un intervento pubblico che ponesse in secondo piano l’iniziativa privata, Di Nardi finiva per concepire la programmazione economica in maniera puramente indicativa, come uno strumento di orientamento
Questo sembra che sia l’ultimo concepimento di un sistema economico pianificato, che ripudia le più ingenue speranze dei teorici del socialismo sulla possibilità di fare a meno della moneta, dei prezzi e dell’iniziativa individuale e ammettendo nel loro complesso tutte le forze caratteristiche del mercato, la pianificazione intende soltanto come una guida di tali forze, in modo che lo sviluppo economico di un paese
proceda con regolarità, senza fluttuazioni cicliche e senza disoccupazione di fattori produttivi384.
Fu sostenendo questa impostazione che Di Nardi partecipò ai lavori delle Commissioni istituite per dare avvio alla programmazione economica.
383 G. Di Nardi, I circoli viziosi dell’arretratezza economica e sociale, comunicazione all’Accademia Pontaniana di
Napoli nella tornata del 31 gennaio 1963, in Id. Il controllo sociale dell’economia, cit. Per la parte relativa alle riflessioni sulla teoria keynesiana si vedano p.p. 106-108.
384
G. Di Nardi, Osservazioni intorno a una teoria della pianificazione democratica (1948), in Id, Il controllo sociale