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Dodici anni di intervento straordinario: centralizzazione senza pianificazione

2. GLI ANNI CINQUANTA: LO STATO MOTORE DELLO SVILUPPO

2.4 Dodici anni di intervento straordinario: centralizzazione senza pianificazione

Nella lettura di Giuseppe Di Nardi il 1957, con l’avvio di un orientamento decisamente industrialista nella politica di intervento straordinario nel Mezzogiorno, non costituisce un momento di reale rottura. I primi dodici anni di attività della Cassa costituiscono una unica fase – che in funzione delle considerazioni che andremo a svolgere potremmo definire “centralista” – da cui si sarebbero dovuti trarre insegnamenti per un «secondo tempo» guidato da un orientamento radicalmente diverso, sotto il profilo della gestione politica, del coordinamento degli interventi e, in particolare, nel rapporto tra centro e periferia.

Si tratta di considerazioni che Di Nardi sviluppa a seguito di una lettura del primo dodicennio di attività della Cassa per il Mezzogiorno che pur evidenziandone gli indubbi successi, ne evidenziava anche molte criticità.

anche nel settore industriale – costituzione di aziende grandi e aziende medie, trasformatrici di prodotti; ciò perché oggi è molto difficile che sorgano, in numero adeguato, imprenditori privati. È molto difficile non solo a causa dei salti tecnologici, ma anche a causa di altri “salti” – primi fra tutti quelli di mercato: nel secolo scorso erano ampi i mercati locali da conquistare, mentre oggi sono stati in gran parte conquistati da imprese moderne, ubicate nelle regioni e nei paesi che hanno già compiuto un lungo processo di sviluppo. Non escluso affatto che possano compiere investimenti nel Sud imprese private, italiane o straniere; ciò è già accaduto e sta accadendo. (I casi di imprese straniere medie sono rari; penso alla Sicilia, ma pare che proprio qui, se mai, i casi sono stati meno rari). Si tratta di vedere se tali investimenti, privati e pubblici, che si sono compiuti e si compiono, stiano generando un processo di sviluppo capace di ridurre progressivamente le ampie aree di grave miseria e la grande disoccupazione e sottoccupazione agraria e commerciale, in un periodo umanamente ragionevole. Ritengo che ciò non stia accadendo e che perciò occorra non solo irrobustire l’intervento pubblico [in]diretto (opere pubbliche ed incentivi) ma preordinare ed attuare anche un sistematico intervento diretto, particolarmente nell’industria. Dicevo aziende grandi e medie; quanto alle aziende piccole e, in certi rami, dove relativamente lievi sono le difficoltà cui accennavo, alle medie, molto può fare l’iniziativa privata locale. Per il resto, mi pare, che concordiamo. Molti cordiali saluti, Paolo Sylos Labini»; Afus, Adn, busta 115, fascicolo 809, lettera di Paolo Sylos Labini a Giuseppe Di Nardi del 18 ottobre 1960.

È bene sottolineare come la lettura di Di Nardi muova da posizioni liberali e abbia l’obiettivo di migliorare l’intervento straordinario, pertanto non può essere associata alle critiche ideologiche che provenivano dagli ambienti del Pci e del Psi, secondo cui la Cassa rappresentava uno strumento concepito per rafforzare la struttura capitalistica del Paese296.

I giudizi di Di Nardi si basavano sui dati raccolti dalla Cassa per il Mezzogiorno, di cui coordinò, in qualità di direttore dell’Ufficio studi, una poderosa inchiesta sui risultati conseguiti nei primi dodici anni di attività, che sarebbe purtroppo rimasta unica nella storia della Cassa297.

I dati dimostravano come il Mezzogiorno fosse entrato, per la prima volta dalla costituzione dello Stato italiano, in una fase di forte sviluppo. Il reddito annuo era aumentato al tasso medio del 3,2%, mentre il reddito pro-capite aveva registrato un incremento dalle 127,4 lire del 1951 alle 158,6 lire del 1960298.

Come detto, in questa prima fase la maggior parte degli investimenti furono concentrati nel settore agricolo e nella creazione di infrastrutture, spesso collegate alle opere di bonifica.

In questo quadro fu attuato un vasto programma di costruzione di acquedotti, che interessava soprattutto Sicilia, Campania, Calabria e Sardegna299. Fu migliorata la rete viaria. Con gli interventi della Cassa, al 31 dicembre 1961 risultavano ultimati lavori riguardanti 13.488 km, in massima parte in Puglia, Campania e Abruzzo-Molise, seguite da Calabria e Sicilia300.

Nell’agricoltura, la produzione lorda vendibile aumentò, nel periodo 1951-59, del 2,5%. Si tratta di un dato che va però analizzato. Il tasso di crescita era certamente inferiore a quello del Nord, pari al 3,1%301. Ciò significava che nonostante gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno, il contributo delle regioni meridionali al volume della produzione agricola nazionale era sceso dal 34% del 1951, al 32,7% del 1959302. Ma vi era una ragione. Grazie alle riforme agrarie, nel Sud erano state create una moltitudine di imprese famigliari. Tuttavia, questo tipo di impresa – la cui costituzione era giudicata necessaria nel sud per attenuare le tensioni sociali – era inevitabilmente caratterizzata da una produzione unitaria del lavoro più bassa rispetto a quelle di più ampie dimensioni presenti nel resto d’Italia. Il Centro-Nord conservava dunque un enorme vantaggio in termini di potenza

296

Come ha scritto Martina Bolli, Di Nardi si impegna nel «sottoporre continuamente alla riflessione ed alla discussione obiettivi e metodi di azione per riorganizzare l’intervento straordinario, senza metterlo in discussione»; M. Bolli (a cura di), G. Di Nardi, Politiche pubbliche e intervento straordinario per il Mezzogiorno: scritti di un economista

meridionale, con prefazione di A. Marzano, Il Mulino, Bologna 2006, p. 21.

297

Cassa per il Mezzogiorno, Dodici anni (1950-1962), VI voll., Laterza, Bari 1962.

298 L. Macciardi, I risultati economici della politica di sviluppo, in Cassa per il Mezzogiorno, cit., vol. I, “La Cassa e lo

sviluppo del Mezzogiorno”, Laterza, Bari 1962, pp. 109-352, Per i dati citati si veda in particolare p. 255 e p. 264.

299 P. Celentani Ungaro, L’opera della “Cassa” per gli acquedotti e le fognature, in Cassa per il Mezzogiorno, cit., vol.

III “acquedotti e fognature”, I, p. 53.

300 P. Grassini, L’azione della “Cassa” nel settore della viabilità, in Cassa per il Mezzogiorno, cit., vol. IV “La

viabilità”, p. 47.

301 G. Barbero, L’evoluzione dell’agricoltura meridionale nel decennio 1950-60, in Cassa per il Mezzogiorno, cit., vol.

II “L’attività di bonifica”, p. 7.

meccanica disponibile, che gli consentiva di registrare rendimenti maggiori. Inoltre, il Sud continuava ad essere caratterizzato da una scarsità di capitali di esercizio e da un eccesso di manodopera non qualificata nel settore agricolo, che la riforma agraria non riusciva ad assorbire. Per questo gli anni Cinquanta, nonostante l’avvio dello sviluppo del Mezzogiorno, sono ricordati per la massiccia emigrazione interna verso Nord, che coinvolse circa 90.000 persone.

Il settore industriale cominciava comunque a registrare risultati positivi, soprattutto a seguito della legge 634 del 1957. Nel 1960 gli investimenti fissi industriali raggiunsero i 273 miliardi, con un aumento del 41% rispetto al 1959. In confronto al Paese nel suo complesso, gli investimenti industriali italiani nel 1951 si localizzavano solo per il 23% nel meridione, mentre nel 1960 questa quota era salita al 30,05%303. In particolare nel settore manifatturiero - ad eccezione del tessile - era aumentata sia l’occupazione, passata dal 6.35% al 7,84%, che i salari, cresciuti del 97,57% nel Mezzogiorno, contro il 36,12% nell’Italia in generale. In complesso, il livello salariale degli operai impiegati nel settoie manifatturiero nel Mezzogiorno era passato dal 70,87% al 72,54% di quello del Nord e dal 72,78% al 74,70% di quello nazionale. Aumenti si erano registrati anche nel settore delle industrie elettriche, mentre una riduzione aveva caratterizzato le industrie estrattive304.

L’indagine evidenziava inoltre che «nel Mezzogiorno esistono notevoli possibilità di sviluppo per l’industria meccanica mentre possibilità più limitate sembrano sussistere per quella tessile»305. Erano presenti tuttavia alcune criticità. La prima riguardava la differente crescita dei singoli territori del Mezzogiorno, che suggeriva la necessità di elaborare politiche di sviluppo differenziate.

I risultati migliori si registravano nelle province oggetto dell’attività di bonifica e trasformazione fondiaria (in particolare Latina, Caserta, Lecce, Taranto, Matera, Cagliari) o altre, come Napoli, che anche rispetto al passato continuava a riportare alti tassi di aumento della produzione (pari al 5% annuo) grazie ad un nuovo equilibrio tra investimenti fissi e diffusione del progresso tecnico. Anche regioni considerate fino a quel momento come aree complessivamente depresse riportavano dati

303

G. Della Porta, Sulla politica di industrializzazione del Mezzogiorno, in Cassa per il Mezzogiorno, cit., vol. V, “Industria, Servizi e Scuola”, p. 16. Tra le imprese aperte in questa fase nel Sud Italia figurano gli stabilimenti della Akragas per la produzione di fertilizzanti a Porto Empedocle (Agrigento) e della Dalmine per la produzione di tubi in acciaio a Torre Annunziata (Napoli), i cementifici Calce e Cementi di Segni a Scafa (Pescara), lo stabilimento Cementir a Bagnoli (Napoli), il lanificio Rivetti si installa a Maratea. Negli anni successivi furono finanziati due impianti petrolchimici, uno ad Augusta (Augusta petrolchimica Rasiom), l’altro a Ragusa (Società Abcd per politene e cementi speciali). La Montecatini si installò a Campogiano (Caltanissetta), mentre la Fiat a Napoli. Sempre a Napoli, si installarono i Cantieri metallurgici e le Officine Viberti. A seguito della legge 29 luglio 1957 che prevedeva l’individuazione di «aree di sviluppo industriale», furono costituiti il polo pugliese, il polo siderurgico di Taranto e quello petrolchimico di Brindisi. In Sardegna, furono costituiti stabilimenti chimici, petrolchimici e di lavorazione della carta rispettivamente a Cagliari, Sassari, Porto Torres.

304 M. Besusso, Analisi e prospettive dello sviluppo industriale nel Mezzogiorno, in Cassa per il Mezzogiorno, cit., vol

V, “Industria, Servizi e Scuola”, pp. 25-219. Per i dati citati si veda in particolare la tabella di p. 48.

sorprendentemente contraddittori. È il caso dell’Abruzzo-Molise, dove si contrapponevano aree interne meno dinamiche a zone costiere più vivaci306.

L’indagine cancellava dunque la visione del Mezzogiorno come unica grande area depressa, su cui intervenire con un unico modello di sviluppo.

Un secondo problema riguardava il coordinamento dell’erogazione del credito alle imprese private. Come vedremo meglio nel prossimo capitolo, l’azione sviluppata da Irfis, Isveimer e Cis risultò spesso poco efficace, soprattutto perché non trasparente. A complicare il funzionamento del sistema intervenne anche la legge Colombo del 30 luglio 1959, che aveva come oggetto il finanziamento delle medie e piccole industrie e dell’artigianato, consentendo finanziamenti al tasso del 3%. In base a questa legge, spettava al ministero dell’Industria selezionare le attività da finanziare. Esso finì così per rivendicare una leadership nella direzione del processo di industrializzazione che non necessariamente si armonizzava con l’azione della Cassa per il Mezzogiorno e con le esigenze di promuovere l’insediamento di stabilimenti industriali al Sud.

Un terzo problema che i dati dell’Ufficio studi già evidenziavano al termine di questa prima fase dell’intervento, era legato al manifestarsi di una dipendenza della crescita del Sud Italia dalle altre regioni del Paese. I risultati della prima fase dell’intervento straordinario dimostravano come le risorse disponibili per il Mezzogiorno fossero aumentate del 7%, ma il Pil della stessa area era cresciuto al ritmo del 6,6%. Come evidenziava Di Nardi «la differenza fra i due tassi denota che la “crescenza” dell’economia meridionale si è attuata mediante l’apporto di risorse dall’esterno dell’area meridionale»307. Altri dati concorrevano a consolidare la tesi di una crescente dipendenza del Mezzogiorno dalle altre aree del Paese. Gli investimenti lordi erano aumentati dell’81% l’anno, mentre il tasso netto di accumulazione del capitale era cresciuto dal 13,4% nel 1951 al 19,2% nel 1959. Analizzando questi dati, Di Nardi evidenziava che «un processo di espansione è certamente in atto, ma che, come è plausibile per tutte le economie povere, gli stimoli alla crescenza (che sono poi i provvedimenti in favore del Mezzogiorno) hanno fatto aumentare il grado di dipendenza dell’economia meridionale rispetto al resto del Paese»308.

Anche l’installazione di nuovi impianti industriali nel Mezzogiorno era da ricondurre ad investimenti operati da imprenditori del Centro-Nord. Se infatti numericamente le nuove unità produttive appartenevano in prevalenza a ditte meridionali, analizzando la situazione sotto il profilo

306 Studi successivi hanno approfondito gli squilibri regionali determinati dall’intervento straordinario negli anni

Cinquanta. Soffermandosi sulla Calabria, Pietro Tino ha ad esempio evidenziato il processo di arretramento registrato dall’industria calabrese negli anni Cinquanta, che strideva se messo a raffrono con i risultati di Campania, Puglia e Sicilia, regioni che assorbirono le più alte quote di finanziamento a tasso agevolato destinate dalla Cassa ad attività di industrializzazione. Cfr. P. Tino, L’industrializzazione sperata, in P. Bevilacqua, A. Placanica (a cura di), La Calabria, Einaudi, Torino 1985, pp. 821-858.

307

G. Di Nardi, I provvedimenti per il Mezzogiorno (1950-1960), Giuffré, Milano 1960, p. 514.

della dimensione degli investimenti (divisi per classi da 100 milioni a un miliardo e da un miliardo in su), emergeva come tre/quarti delle iniziative appartenevano ad imprenditori del Centro-Nord. Gli investimenti degli imprenditori centro-settentrionali erano ubicati in prevalenza nel Lazio (nella zona tra Latina e Pomezia), in Sicilia e soprattutto in Campania. Le localizzazioni erano dovute alla vicinanza dei mercati di sbocco, alla facilità di approvvigionamento delle materie prime e alla disponibilità di manodopera. Si trattava di un fattore che nell’immediato poteva anche avere un significato positivo, perché, scriveva Di Nardi, «questo può essere un sintomo della saldatura che si va operando nel nostro sistema industriale con la sua estensione al Mezzogiorno»309, ma doveva, nel lungo periodo, registrare una inversione di tendenza a favore di imprenditori meridionali se si desiderava l’avvio di uno sviluppo autonomo del Sud. Anche perché nel frattempo erano sempre gli imprenditori settentrionali a beneficiare della maggiore disponibilità di reddito degli abitanti dell’Italia meridionale. I dati presi in considerazione da Di Nardi pubblicati dall’Istat negli «Annali di Statistica» del 1960, dimostravano come il Mezzogiorno avesse assorbito il 70% delle esportazioni dell’Italia nord-occidentale. Tanto che, paradossalmente, Di Nardi scriveva che «c’è da domandarsi cosa accadrebbe nel ritmo di sviluppo dell’Italia settentrionale se venisse a mancare la capacità di assorbimento del mercato meridionale»310.

Di Nardi richiamò l’attenzione dei dirigenti della Cassa e del mondo politico su questi aspetti problematici anche in una serie di documenti privati. In un appunto del giungo 1960 per Gabriele Pescatore, nuovo presidente della Cassa per il Mezzogiorno, Di Nardi ribadiva le sue critiche alla scelta di destinare una quota variante tra l’89% (con il piano decennale) e il 75% (con il piano quindicennale) alla costruzione di infrastrutture. Queste, oltre ad essere costose, avrebbero infatti determinato «effetti produttivi indiretti a lunga e lunghissima scadenza» e perciò si chiedeva «quali effetti produttivi possono avere avuto finora gli investimenti della Cassa che per i nove decimi sono dedicati alle infrastrutture?»311. Anche dopo il varo della legge 634 del 1957, Di Nardi continuava dunque a sostenere la necessità di «una vigorosa espansione del settore industriale» unica via da cui «attendersi una cospicua dilatazione del reddito prodotto nell’area meridionale»312. Inoltre, sollecitava il coordinamento delle decisioni programmatiche di tutte le pubbliche amministrazioni operanti nel Sud Italia.

309 G. Di Nardi, Motivi e aspetti dell’industrializzazione nel Mezzogiorno, Istituto di politica economica e finanziaria,

Genova 1961, p. 17. Leandra D’Antone sottolinea come la Svimez e più in generale gli ambienti meridionalisti considerassero positivi i vantaggi registrati dalle industrie del Nord a seguito dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno; L. D’Antone, L’«interesse straordinario» per il Mezzogiorno (1943-1960), in Id. (a cura di), Radici

storiche ed esperienza dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, cit., pp. 100-101.

310 G. Di Nardi, I provvedimenti per il Mezzogiorno (1950-1960), cit., p. 520.

311 Afus, Adn, busta 86, fascicolo 623, Appunto per il Presidente della Cassa per il Mezzogiorno del 30 giugno 1960, p.

1.

In merito a quest’ultimo punto, Di Nardi lamentava il fatto che la Cassa non accentrasse tutti gli investimenti pubblici indirizzati al Mezzogiorno, divisi invece tra diversi ministeri (abbiamo visto in particolare il ruolo reclamato dal ministero dell’Industria a seguito della legge Colombo del 30 luglio 1959). Di conseguenza, l’economista di Spinazzola proponeva di «coordinare la politica di spesa dei vari ministeri», considerando la spesa della Cassa come «aggiuntiva, per integrare regionalmente a scopo perequativo la spesa globale delle altre amministrazioni nelle singole regioni». L’obiettivo poteva essere raggiunto istituendo presso il Consiglio dei ministri un “ufficio di programmazione”, che dopo aver raccolto le istanze regionali avrebbe indicato al Consiglio dei Ministri la via per rendere compatibile la politica economica nazionale e quella dei sviluppo del Mezzogiorno. Gli investimenti messi a disposizione dal governo centrale, sarebbero stati ripartiti su base regionale. Ciò comportava che «l’ufficio di programmazione, costituito al centro, deve ramificarsi regionalmente». Ma ciò comportava anche che il Consiglio dei ministri potesse «concertare le proprie decisioni con i rappresentanti qualificati delle regioni» ma «se si escludono Sicilia e Sardegna, manca per le altre regioni un simile organo rappresentativo». Nell’immediato, il problema poteva essere risolto «costituendo nelle altre regioni comitati di persone rappresentative»313.

La concezione di Di Nardi anticipava dunque l’idea di una programmazione economica nazionale, che doveva però armonizzarsi con piani di sviluppo regionale. Il motivo era da rintracciare in quelle differenze di sviluppo tra i singoli territori del Mezzogiorno che non potevano essere risolti da un intervento del governo centrale. Per questo motivo, lo vedremo nel terzo capitolo, Di Nardi si attiverà per la costituzione di regioni a statuto ordinario.

Critiche ancor più severe alla gestione dell’intervento straordinario furono svolte da Di Nardi anche in due lettere del 1961 destinate ad Amintore Fanfani (26 febbraio) e Aldo Moro (8 dicembre), dove manifestava il proprio «avvilimento» per l’opera della Cassa del Mezzogiorno, non concordando con l’indirizzo politico dell’Istituto314. Nella lettera ad Amintore Fanfani, chiedeva di poter

313 Afus, Adn, busta 28, fascicolo 246.2, appunto del 28 marzo 1956. 314

La prima di queste due lettere è indirizzata ad Amintore Fanfani «Caro Presidente, ho letto e riletto il tuo mirabile discorso al Consiglio Nazionale della D.C. L’ho riletto oggi, nella pausa domenicale, propizia alla riflessione. Il mio consenso è troppo poca cosa; ma è la voce di un cittadino e credo non giunga superflua a chi, come te, ha rispetto per l’opinione pubblica e avverte l’ansia di interpretare le aspirazioni del maggior numero. Permettimi di dirti che la tua fermezza mi ha ridato speranza. Se dico speranza, voglio anche dire che ho qualche ragione per sentire quanto sia arduo realizzare la revisione dei metodi, che è il filo conduttore della tua azione. Da dieci anni sono impegnato in un tentativo che muove dalla stessa convinzione, ma ora sono all’avvilimento. Ogni giorno mi domando se devo proseguire. Il mio articolo pubblicato sulla tua rivista [Fini, mezzi e strumenti della politica in favore del Mezzogiorno, in «Economia e Storia» 3/1960] mi ha procurato consensi di esperti stranieri e di nostri valorosi colleghi, ma anche qualche grosso dispiacere. Ho potuto constatare che è molto ristretta l’area della nostra libertà. Sono fortemente tentato di rientrare nel silenzio, che è una soluzione disperata. Per resistere ho bisogno di un tuo consenso o di un tuo suggerimento. Se vorrai dedicarmi un attimo della tua attenzione, ti prego di farmi chiamare appena ti fosse possibile. Sono stato sempre assai discreto verso gli amici gravati dall’onere del potere. Se oso chiederti un colloquio è perché non lo ritengo mosso da motivi personali. Con l’augurio sincero, accogli i miei più amichevoli saluti»; Afus, Adn, busta 68 fascicolo 475. Nella

incontrare l’allora presidente del Consiglio per discutere anche della sua visione dell’intervento straordinario. Nell’archivio Fus, la lettera a Fanfani è accompagnata da alcuni appunti personali che probabilmente costituivano gli elementi che Di Nardi aveva intenzione di evidenziare agli occhi del leader Dc, in cui si evidenziavano la «non chiara specificazione degli obiettivi» della Cassa e l’eccessivo accentramento. Inoltre, chiariva come il sostegno economico dovesse avere un limite, dato dall’«attuazione di un meccanismo autonomo di sviluppo». Infine auspicava una rielaborazione degli obiettivi della Cassa e un decentramento della sua attività, la cui divulgazione doveva essere affidata ai tecnici e non ai politici315.

Abbiamo visto come in occasione delle elezioni per l’Assemblea costituente Di Nardi avesse dichiarato di aver votato «per gli economisti». Ora emerge un analogo atteggiamento di sfiducia verso la politica, che imbrigliava l’azione degli economisti e comprometteva le politiche di sviluppo, generando una politica economica «caotica»316. La mancanza di un coordinamento nelle politiche pubbliche e le conseguenze negative che da essa scaturivano è un elemento ricorrente nelle analisi di Giuseppe Di Nardi negli anni Cinquanta317. Già dalla metà di quel decennio egli richiedeva dunque l’istituzione di un organo tecnico di pianificazione degli interventi economici:

seconda lettera, indirizzata ad Aldo Moro, Di Nardi scriveva «[…] In tutta confidenza, devo dirti che l’impegno più