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4. I L RUOLO DEI SEGNALI UDITIVI NELLE RAPPRESENTAZIONI MENTALI

4.2. Cecità e linguaggio

Secondo gli innatisti, gli esseri umani sono intrinsecamente dotati di abilità cognitive specifiche, geneticamente ereditate, in grado di favorire l’apprendimento e la produzione del linguaggio. Queste capacità poi sono correlate a due organi principali di cui l’uomo è dotato: l’apparato fonatorio e l’apparato uditivo.

1. l’apparato fonatorio — costituito da tutto un insieme di organi (quali polmoni, bronchi, trachea, laringe, tratto vocale sopralaringeo: ovvero faringe, naso e bocca) — indirizza in modo specifico il suono, e si configura come un elemento indispensabile grazie a cui l’uomo produce suoni articolati;

2. l’apparato uditivo svolge un ruolo fondamentale nella percezione linguistica, ovvero nella comprensione, quindi si configura anch’esso come un fattore imprescindibile attraverso cui la parola può realmente svilupparsi e venir fuori.

Ciò significa che affinché il linguaggio si possa effettivamente strutturare non è necessario avere soltanto un apparato fonatorio perfettamente funzionante ma persino un apparato uditivo integro e specializzato nella comprensione dei suoni linguistici. In altre parole diciamo che è necessario essere dotati di una tecnologia uditivo-vocale specifica

tout court (Pennisi & Falzone, 2010; Falzone, 2012b).

In questa sede non si andrà a discutere delle funzioni svolte dall’apparato fonatorio (quale dispositivo principale del linguaggio), ma piuttosto si focalizzerà l’attenzione sulle funzioni svolte da questo straordinario congegno sensoriale qual è l’udito, in caso di cecità congenita, per evidenziarne la sua natura funzionale e fortemente adattativa. Tale condizione infatti emerge in particolar modo in due situazioni differenti, in cui l’udito:

• da una parte dimostra di essere un supporto di estrema importanza per le persone cieche poiché offre conoscenze riguardo cose ed eventi che accadono nel mondo, e in questo caso interviene costruttivamente nell’arricchire o nel disambiguare ciò che viene percepito;

• dall’altra parte si configura come un valido strumento di orientamento per la navigazione spaziale, capace di consentire una precisa localizzazione e un preciso processo di discriminazione.

Un altro aspetto interessante da sottolineare è che i non vedenti non solo si affidano all’udito per orientarsi e per muoversi in modo autonomo nello spazio ma addirittura si àncorano fortemente a esso al fine di stabilire un contatto diretto con il mondo circostante, e principalmente per raccogliere input linguistici. In tal caso quindi l’udito si pone come un canale di senso privilegiato e altamente vicariante, specie durante gli scambi comunicativi, dal momento che gli aspetti visivi non possono essere colti. In queste circostanze le orecchie si mettono immediatamente in ascolto e si rivelano fondamentali in varie situazioni:

 stabiliscono i turni di una conversazione,

 orientano la scelta di adottare un certo tipo di registro,

 informano sullo stato dell’interlocutore.

Tutto questo, però, può essere adeguatamente percepito dopo un lungo esercizio e una profonda concentrazione, che alla fine di questo percorso può essere indirizzata principalmente verso la valutazione di alcuni parametri:

• l’andamento del respiro,

• gli intervalli di silenzio adottati, • il tono di voce udito.

Inoltre, e questo è l’elemento principale su cui soffermeremo l’attenzione, mediante l’ascolto i ciechi acquisiscono le prime strutture lessicali: prestano attenzione a certi costrutti, a certe espressioni, e pian piano li introducono nel loro repertorio verbale. Imparano a categorizzare e generalizzare, e una volta sviluppato un linguaggio ben strutturato e stabile fondano su di esso gran parte delle conoscenze e delle relazioni sociali. Questo vale anche per chi non ha alcun deficit visivo, solo che in questi casi una buona fetta delle esperienze vissute si fonda primariamente sulla vista, e su di essa si costruiscono i concetti e le categorie semantiche. L’udito, invece, oltre a essere parte integrante di un sistema multimodale ha una funzione basilare nell’acquisizione spontanea dei suoni articolati, e appunto per questo può essere considerato come il senso linguistico per eccellenza, impegnato nel restituire informazioni sui suoni da imitare. Ciò vuol dire che un soggetto può produrre vocalmente solo quello che è in grado di udire. Pertanto, in circostanze normali se tutti noi acquisiamo la lingua orale e la esprimiamo attraverso la voce, non è solo a patto di esserne esposti precocemente ma anche a patto di avere un apparato uditivo integro e funzionante.

Fin dal suo apparire infatti il linguaggio non ha mai mostrato nessuna intenzione di “funzionare” da solo. Come sostiene A. Tomatis (1977, 1987), medico e psicologo dell’ascolto, fondatore dell’audio-psico-fonologia, “un soggetto produce vocalmente solo quello che è in grado di udire”, e come già affermava Aristotele (Historia Animalium, IV, 9, 536 a-b) tra udito e voce articolata esiste un imprescindibile nesso funzionale.

Insomma, se è vero che siamo costitutivamente logos, ossia parola, discorso, pensiero parlato, raccontato, è innegabile che questo accade perché siamo stati prima di tutto “ascolto”, vale a dire un corpo che si è messo in piedi, ha guardato i suoi simili negli occhi, ha gridato ciò che non sapeva ancora dire e, dopo averci a lungo provato e riprovato, ha cominciato a proferire suoni articolati, suoni che dicevano qualcosa con cui la mente e il cuore che abitavano quel corpo si riconoscevano e a cui riconoscevano significato. Per farli si è letteralmente “sgolato”, ha accresciuto la sua laringe e l’ha protesa in avanti addirittura “a spese dell’efficienza” respiratoria

(Lieberman, 1975). L’ha fatta “risuonare”, ha dato vita ad un suono nuovo, ha creato un fatto che non ha potuto ignorare, che gli restava appiccicato addosso con la sua pelle e di cui non poteva liberarsi senza rinunciare a essere quello che ormai era: un traballante bipede dalle mani liberate dagli orecchi continuamente impegnati (Cavalieri & Chiricò, 2005, p. 52).

L’udito quindi oltre a occuparsi di garantire l’equilibrio statico e dinamico del corpo, oltre a identificare semplicemente i suoni, gioca una parte sostanziale nei processi di acquisizione verbale, rivelandosi il fondamento vero e proprio del linguaggio, nonché delle attitudini e delle capacità ad esso annesse. A questo proposito, inoltre, gli studi effettuati negli anni sui soggetti sordi si configurano come una preziosa testimonianza della stretta correlazione che esiste tra udito e voce per l’acquisizione spontanea della parola. È chiaro, pertanto, che la facoltà del linguaggio, seppur è una sorta di “istinto” (Pinker, 1994), un pezzo della nostra attrezzatura biologica, ha comunque bisogno di un ambiente sociale e linguistico adeguato per potersi innescare, ossia ha bisogno del contatto con altre persone che parlano o segnano, e deve poter essere percepito. Questo denota il carattere evidentemente relazionale e sociale del linguaggio.