5. M ANUALITÀ E VOCALITÀ , DUE MODALITÀ DI RAPPRESENTAZIONE
5.3. La vicarianza della sensorialità tattile
Dopo aver fornito un quadro un po’ più ampio dell’evoluzione di alcune capacità specifiche dell’uomo, tra cui il linguaggio e la manualità, prenderemo in esame le capacità di adattamento dei soggetti non vedenti. A tal proposito si vuol gettar luce sulle straordinarie abilità aptiche da essi mostrate, con lo scopo di sottolineare quanto sia utile esplorare e conoscere la realtà esterna attraverso la modalità tattile. Sono abbastanza note infatti le straordinarie abilità manifestate dai ciechi in questo ambito (Sadato et al., 1996; Sathian & Stilla, 2010; Goldreich & Kanics, 2003), e in molti studi viene evidenziato che le loro performance si rivelano superiori soprattutto in compiti di discriminazione tattile (Alary et al., 2009; Cheabat et al., 2007; Forster et al., 2007; Wan et al., 2009). Si pensi infatti al caso già citato dei lettori braille, in cui la corteccia visiva si attiva pur rispondendo a input non visivi (Van Boven et al., 2000)
Come si è visto fin dall’inizio di questo lavoro, la percezione sfrutta le informazioni provenienti da canali sensoriali differenti e laddove è possibile ci fornisce una rappresentazione del mondo unitaria e globale. In realtà però come dimostrano i casi in questione, in cui la modalità visiva risulta compromessa, tale “affidabilità” non sempre è possibile, e allora il soggetto con deprivazione sensoriale cerca di trovare un adattamento agli altri sensi. Per cui, nonostante il deficit, è possibile continuare a muoversi e interagire in modo abbastanza autonomo.
Da queste considerazioni è possibile apprendere che i sistemi interconnessi sono dei preziosi supporti al servizio degli organismi (Bruno et al., 2010), e perciò anche se la maggior parte di noi ritiene che la vista ricopra uno status privilegiato, specialmente
perché capace di restituire informazioni immediate e complete, bisogna tener presente che in casi di cecità congenita ci sono modalità sensoriali altrettanto valide ed efficaci, capaci di indirizzare i processi conoscitivi e rappresentativi. Il sistema tattile in questo caso si rivela un sistema fortemente vicariante, in grado di operare in modo ugualmente preciso e accurato.
In termini più generali, viste le performance globali dei non vedenti, se ne deduce che essi per compensare la mancanza della vista sviluppano abilità superiori avvalendosi dell’uso di tutti i sensi a loro disposizione (tatto, udito, olfatto), e in questo processo sfruttano quella che noi chiamiamo riorganizzazione cross-modale (Voss et al., 2008). Uno degli aspetti centrali di questa prospettiva, però, è quello di considerare la percezione come un processo attivo e non passivo, poiché i sistemi acquisiscono efficacia solo nella misura in cui permettono di conoscere attivamente l’ambiente. Pertanto si ritiene “valida” solo la sostituzione con quei sensi capaci di garantire un’attività esplorativa. La visione, ad esempio, in quanto meccanismo attivo, può essere sostituita col tatto con grande successo. In questa direzione, il primo a offrire notevoli spunti è stato J.J. Gibson (1966), il quale affermava che i sensi di per sé sono attivi, costruiti per raccogliere continuamente informazioni. Gibson ha fornito una delle dimostrazioni più convincenti della natura attiva della percezione, studiando la percezione tattile degli oggetti. In un famoso esperimento egli ha utilizzato dei semplici stampini da pasticciere per analizzare il riconoscimento e l’attività esplorativa tattile (Bruno et al., 2010). Si sono messe a confronto tre diverse condizioni: una in cui lo sperimentatore premeva lo stampo contro il palmo della mano del partecipante (tatto passivo), una seconda condizione in cui il partecipante esplorava attivamente lo stampo (tatto attivo) e una terza in cui lo stampo veniva mosso sulla mano ferma del partecipante (tatto dinamico). In questa prova le tre condizioni si trovano a produrre prestazioni differenti: nella condizione passiva la percentuale di identificazioni corrette si aggira attorno al 50%, mentre sfiora il 100% nella condizione attiva. La condizione di tatto dinamico si colloca invece attorno al 70%. Questi risultati mostrano chiaramente come l’esplorazione tattile attiva sia in grado di condurre il soggetto verso un riconoscimento migliore degli oggetti.
Un altro noto esperimento, capace di illustrare meglio il sistema aptico, è quello di F.N. Newell e colleghi (2001), che si sono occupati di misurare l’effetto delle varie orientazioni dell’oggetto durante il riconoscimento intramodale visivo/aptico. Durante questo tipo di riconoscimento la prestazione si è vista decadere quando l’oggetto veniva ruotato rispetto alla fase di studio (esplorativa). Se l’oggetto, quindi, nella fase di studio
era stato visto con un certo orientamento, nella fase di test, quando la posizione cambiava la sua individuazione, diventava più difficile, e la stessa cosa accadeva nel riconoscimento tattile. Inoltre, in seguito a queste prime osservazioni si è notato che ogni canale adotta un suo “punto di vista”, quindi avrà un tipo di azione esplorativa propria e preferenziale, grazie a cui riesce ad acquisire informazioni in modo realmente ottimale sulla struttura di un oggetto. Gli occhi ad esempio esplorano e fissano le parti anteriori dell’oggetto, mentre le mani tendono a esplorare più agevolmente la parte posteriore (a causa delle caratteristiche dell’articolazione del polso). Il risultato riportato di conseguenza si accorda bene all’idea che durante il riconoscimento si utilizza una codifica legata ad uno specifico punto di vista. Oltretutto, gli studi di Newell e colleghi (2001) si rivelano interessanti poiché mostrano che la principale funzione del sistema aptico è quella di carpire dati utili, e quindi elementi percettivi necessari per i processi rappresentativi e concettuali dei non vedenti. Questa funzione di primaria importanza ci mostra soprattutto che i movimenti della mano obbediscono a logiche complesse, poiché dipendono sia dalla forma sia dalla capacità di movimento dell’arto, e altresì dallo scopo per cui si esplora. In sintesi si distinguono tre caratteristiche tipiche del sistema tattile (Gibson, 1966) orientate a:
seguire il margine dell’oggetto con le dita;
muovere le dita in modo apparentemente casuale, senza un ordine ovvio; tastare in opposizione fra il pollice e una delle altre dita.
Questi movimenti specifici vengono utilizzati al fine di individuare precise conformazioni tattili (touch-postures) da cui estrarre dati sulle forme oggettuali (Bruno et
al., 2010). Ciò vuol dire che il tatto può rappresentare uno dei sensi di maggior dominanza
nelle persone cieche, seppur si configuri come una modalità in grado di fornire grande affidabilità solo laddove gli oggetti si trovano in prossimità del soggetto. In generale, le persone non vedenti, hanno un rafforzamento delle interazioni audio-tattili, che permettono loro di cogliere stimoli prossimali e distali nello spazio e di muoversi con più autonomia nell’ambiente. Qualora le informazioni da percepire si trovino ad una certa distanza, a guidare i ciechi però è l’udito, mentre se lo stimolo è in prossimità del soggetto, sarà il sistema aptico a dominare. Gibson (1966) definisce il sistema aptico come la «sensibilità dell'individuo verso il mondo adiacente al suo corpo» ed enfatizza il nesso presente tra la percezione aptica e i movimenti del corpo. La percezione finale deriva infatti dalla combinazione di due elementi: il contatto che si verifica quando la superficie della pelle tocca gli oggetti (analisi sulla conformazione o rugosità) e la propriocezione derivante dalla posizione della mano rispetto all'oggetto.
Detto altrimenti, il tatto permette di identificare un oggetto in modo scrupoloso mediante una procedura di esplorazione in cui vengono coinvolti diversi movimenti: nelle mani di un cieco perciò il mondo risulta variegato e ricco di qualità percettive diverse.