2. L E RAPPRESENTAZIONI SENSO MOTORIE NELL ’ ACQUISIZIONE LINGUISTICA
2.3. Uno sguardo sulle funzioni dei comportamenti stereotipati nei non vedenti
Come si evince dalle considerazioni appena esposte, i primi scambi comunicativi, nella stragrande maggioranza dei casi, tendono a verificarsi normalmente anche sotto forme alternative, nonostante il bambino cieco non possa effettivamente usufruire di alcune risorse caratterizzanti le relazioni spontanee faccia a faccia. Questo accade perché l’uomo è in grado di trovare mezzi sostitutivi tramite cui esprimersi.
Da questi esempi, inoltre, sembra che l’atto di esternare i propri stati mentali sia qualcosa di “imperante”, come se l’uomo fosse programmato per farlo anche laddove insorgono problemi correlati con la capacità di cogliere visivamente le intenzioni sociali dell’altro. D’altra parte, come già affermavano i grandi filosofi greci, a partire da Aristotele, l’uomo è un “animale sociale” fatto per aggregarsi con altri individui e costituire una società. Non è un caso (forse) allora che le persone cieche, già in fase prelinguistica, mostrano un’intensa e “ridondante” attività motorio-gestuale (Saccà, 2014; Saccà & Falzone, 2015), e che tale manifestazione sia atta a favorire un continuo scambio comunicativo così come ad agevolare l’inizio dell’acquisizione verbale.
Come si apprende da uno studio più approfondito, ritroviamo una copiosa presenza di atteggiamenti manieristici fin dai primi stadi dello sviluppo (Gal & Dick, 2009; Tröster
et al., 1991; Troster & Brambring, 1993), con picchi di intensità soprattutto dai dodici ai
trentasei mesi, in cui ancora i modelli concettuali non sono ben formati. In questo arco di tempo tale attività, accanto alle modalità sensoriali, costituisce l’esperienza primaria su cui i non vedenti fanno grande affidamento. Nel momento in cui le conoscenze e i concetti iniziano a organizzarsi attorno al linguaggio, l’esperienza senso-motoria assume un’importanza quasi secondaria, nel senso che le routine comportamentali tendono a svanire e il linguaggio diventa lo strumento di conoscenza e di comunicazione predominante. Da queste analisi si nota inoltre che la comunicazione dei non vedenti in un primo momento si manifesta essenzialmente attraverso il comportamento motorio e in seguito diventa una comunicazione primariamente verbale. Pertanto, è plausibile pensare che la trasmissione di informazioni sia una condizione indipendente dagli input visivi, legata non solo alla parola ma anche al linguaggio corporeo, sia nel caso in cui il canale visivo rimane intatto sia nel caso in cui risulta compromesso (Taddei, 2008). Questo, poi, suggerisce che l’uso delle mani e del corpo non si impara guardando, ma essendo maggiormente complicato sapere subito se l’interlocutore ha capito, è necessario ricorrere
a una più marcata e prolungata gestualità fisica affinché vengano prese in carico tutte quelle funzioni abitualmente assolte dallo sguardo, dal contatto oculare o dalle espressioni del viso. Le persone cieche sentono in modo forte il “bisogno” di manifestare i propri stati mentali (in modo visibile e ridondante), così da essere effettivamente sicuri che la persona con cui si dialoga capisca. Diciamo che si tratta essenzialmente di un modo alternativo di comunicare, per assicurarsi un passaggio diretto del messaggio da trasferire. I bambini normo-vedenti, al contrario, benché si avvalgono di stereotipie comportamentali lo fanno solo per un breve periodo, e comunque con un’intensità minore. Per di più, la valenza comunicativa è quasi trascurabile, poiché essi sono in grado di avvalersi di atteggiamenti non verbali più efficaci e immediati per godere della reciprocità conversazionale. Da un punto di vista qualitativo allora non ci sono differenze eclatanti tra i due gruppi, e laddove ci sono tendono a scomparire completamente nel corso dello sviluppo ontogenetico (Landau & Gleitman, 1985).
Considerando globalmente tutti questi dati vediamo come la cecità influenzi in modo considerevole la frequenza e l’intensità con cui i non vedenti ricorrono alla gestualità prima dell’acquisizione linguistica, sebbene in sé non sembri inficiare né i processi interattivi né quelli rappresentativi. Questo vuol dire che la vista non è da considerarsi come un requisito necessario per le interazioni sociali, benchè non si possa negare che contribuisce a renderle più spontanee e istantanee.
Alla luce di queste analisi comparative si vede inoltre come la cecità tende semplicemente a riorganizzare le strategie cognitive da adottare, affinché la conoscenza e la comunicazione possano avvenire normalmente. Questi casi infatti sono davvero emblematici poiché ci permettono di affermare che l’esperienza senso-motoria (e in particolar modo quella visiva) non è l’unica ad avere un ruolo cruciale nella formazione delle rappresentazioni. A giocare una parte altrettanto importante sono gli stimoli verbali, capaci di integrare e completare le informazioni sensoriali, e di cogliere tutte quelle caratteristiche legate alla visione (come ad esempio il colore degli oggetti o certe relazioni spaziali).
Tramite questi campioni, oltre tutto, è possibile comprendere come avvengono i processi di vicariamento da due prospettive differenti:
• da un lato, studiando il modo in cui i sistemi percettivi intervengono nel costruire le prime strutture concettuali e primi elementi spaziali;
• dall’altro lato, descrivendo più accuratamente come gli elementi linguistici, fonte principale di conoscenza (Landau & Gleitman, 1985; Marotta, 2012, 2014; Pérez-Pereira,
Conti-Ramsden, 2002), riescono ad arricchire considerevolmente il quadro percettivo e rappresentativo di chi non vede.
In questa prima parte del lavoro l’obiettivo è quello di descrivere più puntualmente le funzioni svolte dalle stereotipie, per illustrare meglio quali sono i principali meccanismi compensativi adottati nella formazione di modelli verbali. La seconda parte, invece, mira a definire le funzioni e gli usi del linguaggio per evidenziare come esso riesca a risolvere molti problemi di natura pratica, legati ad esempio alle capacità di muoversi e orientarsi nello spazio. Prima di affrontare questo aspetto, risulta utile ribadire e riassumere schematicamente quali sono i compiti assolti dai comportamenti stereotipati.
Funzioni delle stereotipie:
esternare i propri stati interni catturare l’attenzione altrui
stabilire un setting di attenzione congiunta instaurare relazioni sociali
Gli atteggiamenti sopraelencati, presi insieme, hanno come scopo ultimo quello di orientare l’espansione della comunicazione preverbale e di agevolare la formazione del linguaggio, dal momento che un’importante tappa nell’acquisizione lessicale riguarda proprio la possibilità di interagire con gli altri (Fraiberg, 1977). Questa fase della vita appare dunque davvero interessante da studiare, giacché durante le interazioni madre- figlio normalmente si verificano una serie di azioni congiunte (come alternanza dello sguardo, contatto oculare e uso di gesti dimostrativi), dirette a indirizzare specificatamente l’interesse del bambino verso la scoperta di tutta una serie di oggetti che si trovano attorno a sé. Una volta individuati, comincia la cosiddetta fase esplorativa in cui il bambino immagazzina una serie di dati sulle caratteristiche e sulle proprietà delle cose, estrapolando, al contempo, una quantità notevole di nozioni utili per riferirsi alle cose con lo stesso nome con il quale la madre le ha etichettate.
Un altro aspetto molto rilevante, presente in questo periodo, sono i movimenti auto- iniziati, a partire dai quali cominciano a farsi strada le prime esperienze conoscitive. Si pensi infatti ai primi passi, di fondamentale valore nella vita di un uomo, soprattutto perché il bambino inizia a muoversi nello spazio da solo (Als et al., 1980) e si imbatte piano piano nella scoperta di oggetti. In questa fase si comprende che le cose hanno un
nome con il quale gli adulti le definiscono e a poco a poco si apprende a nominarle esattamente.
Se rivolgiamo l’interesse a chi è privo della visione ci rendiamo conto che tale percorso può essere davvero complicato, innanzitutto perché i processi di sintonizzazione avvengono più lentamente (non essendoci un contatto oculare), e poi perché la costruzione del mondo oggettuale deve avvenire senza l’aiuto di un’esperienza (visiva) diretta (Celani, 2005; 2006). In questi casi ad avere un ruolo di compensazione considerevole, come si è già detto più volte, è proprio il linguaggio (Peters, 1994), in quanto mezzo attraverso cui mediare i processi di apprendimento dello stesso. Esso si configura come uno strumento di comunicazione e stimolazione molto utile, in grado di supplire, accanto alle stimolazioni sensoriali, i feedback mancanti. Può essere utilizzato per sottolineare cambiamenti di umore, orientare la direzione dell’attenzione e spiegare eventi correnti e futuri, in modo da consentire una partecipazione più attiva negli scambi sociali (Lewis & Collis, 1997; Webster & Roe, 1998). Con l’apprendimento e l’uso dei simboli linguistici si possono inoltre codificare dati di varia natura, costruire mappe mentali e cominciare a intendere gli altri nel ruolo di agenti intenzionali.
Per tutte queste ragioni, il linguaggio assume una funzione basilare nelle abilità di generalizzazione e categorizzazione, nonché nell’organizzazione generale dell’esperienza (Guzzetta et al., 1998). Non è un caso infatti che i non vedenti, a un certo punto, sembrano esibire una propensione naturale verso le descrizioni verbali. Spesso si assiste anche a un uso “smodato” di domande (Erin, 1986; Taddei, 2008), atto a tenere alta l’attenzione conversazionale e a ricavare indicazioni.
Nell’insieme poi, risulta interessante spiegare che le peculiari manifestazioni corporee sono in qualche modo funzionali all’innesco del linguaggio, e perciò anch’esse, come l’attività gestuale utilizzata dalle persone normovedenti, costituiscono uno start
point per l’acquisizione lessicale (Taddei, 2008; Iverson & Goldin-Meadow, 1997, Iverson et al., 2000; Civelli, 1983). L’esperienza senso-motoria, poi, oltre a rappresentare un
rilevante punto di inizio per la percezione dei ciechi, sarebbe fondamentale per la formazione delle loro prime rappresentazioni semantiche e spaziali. Dunque l’esito finale è che essi sviluppano un’efficiente comunicazione prelinguistica accanto a delle ottime abilità sociali, per via di percorsi compensativi (alternativi).