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La percezione aptica tra limiti e potenzialità

5. M ANUALITÀ E VOCALITÀ , DUE MODALITÀ DI RAPPRESENTAZIONE

5.6. La percezione aptica tra limiti e potenzialità

Uno dei principali limiti della modalità tattile è sicuramente correlato con la capacità sequenziale di processare i dati, una capacità maggiormente dispendiosa rispetto a quella associata con il vedere. In particolare, ad essere primariamente influenzata è la ricostruzione mnemonica, la quale risulta più lenta e difficoltosa. Come suggerisce lo studio di M.A. Heller e W. Schiff (1991), infatti, in termini più ampi, il riconoscimento degli oggetti e dello spazio circostante non è così immediato come lo è per la vista. Quindi, mentre noi vediamo direttamente una scena, un oggetto o uno spazio nella sua interezza, i ciechi per percepire globalmente devono prima compiere un faticoso processo di analisi e di ricostruzione. Per di più, il campo percettivo varia in relazione a ciò che si tocca: se l’oggetto è piccolo sarà più semplice raccogliere informazioni sulla sua natura, e anche in modo più veloce e con minor carico sulla memoria; al contrario risulta un po’ più

complesso. Un altro limite connesso con la percezione aptica è quello di poter conoscere solo cose che si trovano in prossimità del soggetto, poiché il tatto è un “senso di contatto”, quindi è adatto a carpire unicamente informazioni vicine. Allora ci si chiede qual è la modalità sensoriale con la quale si possono ottenere dati reali e conoscenze complete. Questo dipende molto dalla situazione: in alcune circostanze è la vista a restituirci informazioni maggiormente affidabili, in altre è il tatto. Ad esempio, se osserviamo il remo di una barca nell’acqua apparentemente riteniamo che sia storto, invece toccandolo sentiamo che è dritto. Un altro caso è quello del ventriloquo descritto nel paragrafo 4.4, in cui la vista ricoprire un ruolo dominante e inganna lo spettatore sull’effettiva provenienza della voce. Ciò vuol dire che i sensi possono fuorviare, fornendo di volta in volta input più o meno credibili ai quali il cervello si affida. Il tatto allora, rispetto alla vista, può essere riconosciuto come un “senso reale”, ovvero maggiormente attendibile, grazie al quale, nella maggior parte dei casi, possiamo testare la realtà di un immagine. La visione invece può facilmente distorcere la realtà: le apparenze possono cambiare in seguito a variazioni esterne (ad esempio cambiamenti di illuminazione), e quindi creare delle illusioni ottiche. Lo stesso può accadere con la percezione tattile, la quale può subire distorsioni e generare delle vere e proprie “illusioni aptiche”, su cui però è stata posta davvero poca attenzione (non essendo particolarmente rilevanti come quelle visive).

Un altro aspetto interessante è che la dominanza sensoriale cambia nel corso dello sviluppo e in relazione al tipo di proprietà da rilevare. Il tatto infatti è particolarmente adatto nell’individuare caratteristiche come ruvidità o durezza (Klatzy et al., 1985), e allo stesso tempo mostra di avere un alto livello di accuratezza nel riconoscere lettere scritte in codice braille. A questo riguardo, gli studi sulla psicologia del tatto si sono concentrati sulla specializzazione emisferica, e hanno riscontrato che l’emisfero destro è maggiormente specializzato per la lettura braille e più in generale per il processamento di informazioni aptiche (Sterr et al., 1998).

Uno dei maggiori studiosi che si occupò di esaminare da vicino le relazioni tra tatto e vista fu il filosofo illuminista D. Diderot (1782), che descrisse l’alto livello di competenza aptica mostrata dai ciechi. Questa dichiarazione infatti divenne una della basi filosofiche più note da cui partire per descrivere il fenomeno della “compensazione sensoriale”. Secondo quanto riportato da Diderot nella sua opera più famosa “Eléments de

physiologie (1782), il tatto può diventare anche più discriminante rispetto alla vista (se

opportunamente potenziato), specialmente nel caso in cui si tratta di percepire la consistenza di superfici. Diderot infatti pensava che fosse il tatto a guidare la vista,

soprattutto per quanto riguarda la nozione di permanenza degli oggetti. In base alla situazione, al contesto e alle condizioni ambientali, le impressioni visuali e tattili di un oggetto cambiano. Eppure a fare la vera differenza è l’uso di un tatto attivo: le caratteristiche di un oggetto infatti possono essere discriminate in modo più accurato se la mano è in movimento, e quindi non resta ferma. Di contro il tatto passivo non consente un reale riconoscimento di forme e materiali, bensì di proprietà termiche. Ci sono poi alcuni studiosi secondo cui la nozione di spazio non può essere sviluppata appieno mediante il movimento delle mani, poiché la vista è il senso spaziale per eccellenza (Thinus-Blanc & Gaunet, 1997; Pasqualotto & Proulx, 2012; Foulke, 1982; Foulke & Hatlen, 1992). Risulta difficile cogliere nozioni come “verticale” e “orizzontale”, appare problematico confrontarsi con oggetti in 2-D, e dal momento che la modalità tattile si basa su processi sequenziali, appare problematico anche l’apprendimento di proporzioni e simmetrie. Tuttavia, vista e tatto possono ugualmente catturare informazioni di natura spaziale. Gli studi di Heller e Schiff (1991) lo confermano, evidenziando che è possibile ottenere comunque le stesse conoscenze, sia grazie agli input che sopraggiungono agli occhi sia per via di input che stimolano i recettori cutanei. Va osservato però che il tatto utilizzato dai normodotati è piuttosto differente da quello adoperato dai ciechi in quanto rafforzato per certi versi, dal contributo derivante dalla vista. I ciechi al contrario si avvalgono principalmente della modalità aptica e nonostante alcuni limiti riescono a trovare un aggancio più stabile con la realtà esterna.

Grazie all’uso di differenti strumenti e ausili tecnologici, nonostante sia difficile captare ciò che avviene lontano dal corpo, si estende la percezione aptica e di conseguenza i dati spaziali più rilevanti vengono rintracciati e identificati. Il lungo bastone bianco, ad esempio, fornisce valide indicazioni riguardo a vibrazioni e pressioni di superficie, nonché la presenza di ostacoli, (muri, automobili, marciapiedi, avvallamenti), rivelandosi così un ausilio davvero utile.

Complessivamente emerge che il sistema tattile è costituito da una varietà di sensazioni evocate dalla stimolazione della pelle e provocate da eventi di varia natura che possono essere meccanici, termici, chimici o anche elettrici. Secondo il grottesco

homunculus sensitivo di Penfield illustrato in figura (fig. 20) (cfr. Penfield & Boldrey,

1937), le mani, i piedi e la bocca, rispetto alle altre parti del corpo, presentano una numerosissima densità di recettori cutanei, capaci di rendere queste aree particolarmente sensibili a stimolazioni esterne: in questa rappresentazione del corpo umano infatti tali aree risultano ingrandite in modo sproporzionato. Tuttavia appare molto interessante

notare che tale sensibilità cambia significativamente con l’esperienza. I ciechi ne sono un esempio palese, fornendo una chiara testimonianza di come il continuo uso delle mani ne affini considerevolmente la percezione aptica.

Figura 20. Homunculus sensitivo. Rappresentazione della distribuzione delle vie

sensitive.

Ad ogni modo, per poter realmente comprendere le potenzialità di questo sistema bisogna conoscere le relazioni intermodali tatto-vista, si deve quindi tener conto che entrambe le modalità interagiscono e si rivelano più o meno adatte in base a determinate situazioni. La vista permette di cogliere tutti quegli elementi qualitativi caratterizzanti i compiti di localizzazione, ma contribuisce meno nei compiti di discriminazione dove è il tatto a incidere in modo sostanziale (Heller, 1989a). Questo vuol dire che tatto e vista si scambiano vicendevolmente dati utili per i processi di identificazione e categorizzazione e insieme forniscono un’idea più ampia su ciò che accade attorno a sé. Per cui se ambedue le modalità si trovano a cooperare, una scena o un oggetto vengono percepiti in modo più accurato e addirittura diventa più semplice formulare giudizi di forma o di superficie.

Tuttavia rimane pur sempre confermato che la vista, da un punto di vista qualitativo, media una percezione migliore rispetto al tatto (Pasqualotto & Newell, 2007) e spesso, quando l’informazione è disponibile a entrambe le modalità, il tatto viene sostituito interamente dalla vista.

5.7. TacMap, un sistema aptico avanzato per accrescere le rappresentazioni spaziali