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Comunicazione corporea e formazione del linguaggio

2. L E RAPPRESENTAZIONI SENSO MOTORIE NELL ’ ACQUISIZIONE LINGUISTICA

2.2. Comunicazione corporea e formazione del linguaggio

L’osservazione diretta di soggetti con cecità congenita consente di affermare che il linguaggio corporeo di un non vedente presenta delle interessanti peculiarità, a partire dalle quali è necessario effettuare un’analisi più attenta per interpretarne funzione e ruolo.

Gli studi condotti in questo ambito suggeriscono come la mancanza di informazioni visive, seppur renda più problematica la comunicazione, non compromette l’instaurarsi di relazioni sociali. Questo fa pensare che i bambini ciechi, fin da subito, siano capaci di adattarsi e di trovare strade alternative, sia per stabilire un contatto e un setting condiviso con l’adulto sia per mantenere un’interazione continua con l’interlocutore. In questo contesto le stereotipie, tipiche di chi presenta specifiche deprivazioni sensoriali (Tröster et

al. 1991; Fazzi et al., 1999), sono un esempio di come la comunicazione corporea continui

a esistere e addirittura si riveli funzionale per lo sviluppo del linguaggio. Secondo diversi autori questi “manierismi”, o cosiddetti “blindismi”, sono da correlare alle ridotte capacità esplorative. Spesso, infatti, subentrano in situazioni di isolamento, di noia o di rabbia, configurandosi come preziosi strumenti per un’efficacie auto-stimolazione.

In questo lavoro di ricerca la gestualità dei non vedenti svela il suo valore implicitamente semiotico e mostra il legame imprescindibile che esiste tra comunicazione verbale e comunicazione non verbale (Taddei, 2008). Si ritiene opportuno allora procedere verso un’analisi più approfondita della gestualità di chi non ha mai beneficiato dell’input visivo, per mettere in luce l’assoluta importanza del gesto nella competenza verbale.

Dai dati racconti fin qui, si può constatare che l’uso dei gesti e dei movimenti del corpo compare in modo predominante nel periodo preverbale e tende a subire un notevole incremento nel periodo dell’acquisizione linguistica, sia in caso di normalità sia in caso di deficit visivo. Questo perché il repertorio comunicativo, in una fase iniziale, essendo abbastanza limitato e ancorato al corpo, si basa prevalentemente sulla gestualità.

Attraverso i gesti i bambini ciechi esprimono bisogni, desideri, pensieri, e lo fanno in modo preponderante nel periodo prelinguistico, quando il lessico non è ancora pienamente strutturato. In questo stadio, la ridondante attività motorio-gestuale offre al bambino l’opportunità di riferirsi alle cose ancora non etichettabili linguisticamente, svolgendo così una funzione considerevole nello sviluppo verbale (Iverson & Goldin- Meadow, 1997), dimostrando peraltro di essere un precursore fondamentale per il suo futuro completamento (Iverson et al., 2000). A questo proposito, è stato dimostrato che non appena la produzione verbale entra in gioco tali elementi vengono traslati nella modalità vocale, e i comportamenti di tipo ricorsivo, al pari di quelli gestuali nei normovedenti, diminuiscono per lasciare il posto alla produzione linguistica (Taddei, 2008; Iverson et al., 1994). La parola prende il sopravvento sulla comunicazione corporea e diventa il principale canale espressivo.

Trovate tali conferme, a questo punto, quel che si cerca di capire è se durante i primi stadi dell’acquisizione linguistica la gestualità dei non vedenti è la stessa di quella riscontrata nei vedenti. Uno studio davvero interessante risale a Urwin (1979), dal quale si è rilevato un’assenza di gesti deittici e simbolici nei bambini con minorazione visiva, ma contestualmente sono stati rintracciati degli atteggiamenti peculiari con specifici scopi comunicativo-interazionali. In particolar modo, si è notato l’uso di movimenti ritmici e ripetitivi del corpo per:

 richiamare e dirigere l’attenzione,

 partecipare attivamente a una conversazione,  stabilire un setting di attenzione condivisa.

Questi comportamenti, inoltre, comunicano spesso stati di monotonia o di eccitazione, altre volte vengono utilizzati come mezzo di autoconsapevolezza e auto- coinvolgimento, e più in generale come una modalità di espressione e ricezione alternativa per via della quale è possibile costruire una conoscenza di sé e del mondo circostante e allo stesso tempo intrattenere continue relazioni sociali. Si intravede così un forte nesso tra i due aspetti della comunicazione, verbale e gestuale, quindi si può affermare che i processi di rappresentazione legati all’espressione vocale sono anche alla base del movimento. Da questa prospettiva, poi, sembra lecita l’ipotesi che vede la comunicazione quale atto necessariamente multimodale diviso tra linguistico ed extralinguistico, (entrambi espressione di stati mentali) (McNeill, 1992; 2000).

Secondo un’analisi approfondita di questi casi, le stereotipie motorie, oltre a essere una chiara estensione della mente (da interpretare e analizzare), sono anche dei segni extralinguistici che riflettono un processo di rappresentazione interna. Per alcuni studiosi i movimenti stereotipati sono cognitivamente assimilabili ai mind markers (Poggi, 2007), ossia a quegli elementi veicolanti informazioni sullo stato mentale dell’emittente. Perciò, seppur non sempre in maniera esplicita, tali atteggiamenti sono un’espressione delle sue credenze, dei suoi scopi e delle sue emozioni.

In altre parole, le routine comportamentali sono segni esterni con una celata funzione comunicativo-relazionale, capaci di gettar luce su due elementi davvero interessanti per la scoperta dei meccanismi sottostanti i processi comunicativi. Da un lato, infatti, queste osservazioni evidenziano quanto sia una necessità imprescindibile esprimere gli stati mentali attraverso il corpo, dall’altro lato, dimostrano che l’input visivo non è necessario ed essenziale affinché i bambini apprendano come comunicare. L’attività motorio-gestuale si innesca a prescindere dalla modalità visiva e si rivela in modo intenso

e ridondante, ancorandosi, per così dire, a un corpo le cui azioni sono mirate a “inviare” un segnale carico di significati.

Esaminando con attenzione i dati presenti in letteratura e le prime ricerche effettuate, i comportamenti stereotipati fanno parte di un naturale processo di maturazione (presente persino in bambini normo-vedenti) e sembra concludersi con l’uso di un “lessico” motorio-gestuale più complesso (Leekam, 2007; Thelen, 1979). Per cui, l’uso abbondante e persistente di certi atteggiamenti rappresenterebbe una valida impalcatura su cui i bambini costruiscono gli schemi motori futuri. Nel caso di deprivazione visiva, però, l’occorrenza con cui si palesano è molto più alta e la valenza comunicativo-relazionale è più forte, poiché lo scopo principale è quello di vicariare ─ per via temporanea ─ l’assenza di un sistema linguistico ancora non sufficientemente maturo, capace di agire e incidere costruttivamente sul mondo. Le differenze esistenti, alla fine, possono essere interpretate come il risultato di un processo adattativo da correlare alla perdita di stimolazioni visive. Tale perdita viene compensata pienamente dal linguaggio in una fase successiva, quando il pensiero operazionale/verbale inizia a diventare un pensiero logico, astratto e flessibile (Piaget, 1952), capace di indirizzare l’adolescente verso una maggiore interiorizzazione. In questo stadio, l’adolescente comincia a ragionare su ipotesi e proposizioni proprie e altrui, sviluppa un pensiero rigorosamente fondato sul linguaggio, e grazie ad esso comincia a formarsi un insieme di rappresentazioni e significati condivisi.

Alla luce di tutte queste indagini, la frequenza delle stereotipie tende a decrescere significativamente non appena i ciechi sviluppano (grazie all’ausilio stesso delle stereotipie) delle abilità linguistiche adeguate attraverso cui:

• comunicare

• raccogliere informazioni dall’ambiente circostante • avvicinarsi al mondo dei vedenti.

Ne deriva, perciò, che il linguaggio è un punto di riferimento fondamentale per i non vedenti, grazie al quale possono conoscere, categorizzare e rappresentarsi la realtà esterna in modo più affidabile.

Dall’andamento generale delineato appare inoltre che l’atipica produzione linguistica e motoria mostrata nello stadio preverbale non è affatto disfunzionale, anzi mostra un forte valore adattativo poiché tale forma di espressione tende a supplire tutti quei feedback visivi caratterizzanti i rapporti interpersonali (specialmente le prime interazioni madre-bambino). Difatti, per mezzo di attività combinate (sensoriali, motorie e linguistiche) i ciechi sono in grado di muoversi autonomamente, di crearsi delle adeguate

relazioni sociali e di usare una quantità di vocaboli appropriati a varie situazioni e a vari contesti.