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Manualità e vocalità: contrassegni della specialità evolutiva dell’uomo

5. M ANUALITÀ E VOCALITÀ , DUE MODALITÀ DI RAPPRESENTAZIONE

5.2. Manualità e vocalità: contrassegni della specialità evolutiva dell’uomo

A partire dalla sua apparizione nella linea evolutiva umana, il linguaggio articolato ha consentito un’importante evoluzione culturale e biologica capace di condizionare e guidare la storia evolutiva della specie umana.

Secondo alcuni studiosi (Wilkins & Wakefield, 1995), l’uomo avrebbe sviluppato e fissato all’interno della popolazione una certa configurazione cerebrale che inizialmente però non era direttamente connessa alle sue capacità comunicative, ma per lo più correlata

alle sue abilità manipolative (necessarie per la costruzione e l’uso di attrezzi). Secondo una ricostruzione storica infatti, gli utensili ritrovati sarebbero riconducibili a Homo

habilis, il quale (quasi sicuramente) avrebbe avuto aree cerebrali specifiche associate alle

capacità manipolative in suo possesso. In particolar modo l’area di Broca, nota per essere deputata principalmente alla produzione del linguaggio, sarebbe stata selezionata in origine per la manipolazione fine degli utensili, e solo in seguito nel corso della storia evolutiva rifunzionalizzata per scopi specificatamente comunicativi. Molte teorie ritengono inoltre che le abilità manuali sono da correlare con la differenziazione dell’Home sapiens dalla linea dei primati non umani, e altresì sono connesse con l’insorgere di capacità cognitive più complesse fondamentali per l’instaurarsi del linguaggio (Corballis, 2002). Da una ricostruzione paleoantropologica è possibile notare infatti come le abilità sempre più sofisticate di costruzione degli utensili siano associate con un incremento delle capacità cognitive.

Secondo Lieberman le strutture cerebrali deputate al processamento linguistico non sarebbero una creazione completamente nuova nella storia evolutiva, bensì un adattamento di vecchi parti a nuove funzioni (exaptation). E a questo proposito si vuol sottolineare che la manualità, conseguenza fondamentale del bipedismo, avrebbe avuto un’influenza notevole nella riorganizzazione della vita sociale dell’uomo poiché avrebbe permesso di trasportare oggetti, raccogliere frutti e manipolare diversi materiali traendo vantaggi direttamente alimentari, nonché di stabilire delle relazioni sociali, fondamentali per l’instaurarsi di processi comunicativi. Secondo le teorie evolutive, tali attività avrebbero quindi consentito una più intensa vita sociale, all’interno della quale il linguaggio avrebbe fatto la sua comparsa, e grazie al quale l’uomo si sarebbe affermato. In tale contesto gli studi presi in esami si rivelano particolarmente utili per affermare che manualità e vocalità sono strettamente correlate tra di loro ed entrambe sono da considerarsi come il contrassegno della vera specialità evolutiva dell’uomo. Non è un caso, d’altro canto, che i segni manuali dei sordi si possano ritenere dei sistemi semiotici potenzialmente concorrenti al linguaggio, e che tra l’altro anch’essi vengono processati dall’area di Broca. In caso di cecità poi, la percezione aptica è in grado di porsi come strumento di vicariamento basilare attraverso cui “agganciarsi” in modo efficace alla realtà esterna. L’elaborazione di input tattili più complessi (come nella lettura braille) implica infatti una risposta da parte di quest’area (Bedny & Saxe, 2012; Marotta, 2014). Ne deriva in sintesi che le abilità manuali sono connesse a strutture cerebrali preposte all’elaborazione di dati linguistici.

Nel corso del tempo inoltre l’uomo ha sviluppato una specifica struttura morfologica: adatta non solo per l’articolazione fine dei suoni ma anche per la manipolazione fine degli oggetti. In particolare, ad essere determinante è stato proprio il passaggio dal quadrupedismo al bipedismo il quale, segnando la liberazione degli arti anteriori dalla locomozione, ha consentito di accrescere le abilità manuali, e ha apportato dei miglioramenti generali sia nelle attività di procacciamento del cibo, sia nelle attività di relazione e mobilità, con ricadute positive per l’instaurarsi di abilità cognitive superiori (Leroi-Gourhan, 1964).

Secondo le ricerche sopracitate la struttura del cranio si è liberata da certe costrizioni fisiche “subendo” un vantaggioso aumento di volume verificatosi in seguito all’assunzione della posizione eretta, ovvero in seguito a una liberazione degli arti anteriori da compiti locomotori. Tale evento perciò è stato determinante specialmente da un punto di vista cognitivo, poiché la vista dell’uomo eretto, per la prima volta ha potuto spaziare attorno all’orizzonte e scoprire nuove possibilità percettive. Tutte queste trasformazioni avvenute lungo la linea evolutiva del sapiens, anche se indirettamente, si possono considerare come i marcatori più importanti e significativi di quei cambiamenti a cui ha fatto seguito la formazione del tratto vocale sopra-laringeo: organo essenziale per la fonazione umana. Nello specifico si è osservato come dai nuovi assetti strutturali è stato possibile sviluppare una configurazione anatomica ben definita, capace di favorire la produzione di suoni articolati complessi. Come ci confermano i dati paleoantropologici, il sapiens è l’unico in natura a possedere una laringe in posizione permanentemente bassa (Lenneberg, 1967; Lieberman, 1975), e questo desta un forte interesse tra gli etologi, essendo un elemento determinante per molti aspetti del linguaggio umano, soprattutto se si prende in esame la sua geometria e la sua flessibilità, nonché il controllo volontario dell’attivazione motoria dell’apparato vocale. In particolare poi sarebbe distintiva la presenza dell’osso ioide, quell’osso che abbassandosi permette una maggiore modulabilità dei movimenti laringali, grazie alla posizione più alta rispetto a quella degli altri ominidi, e alla forma differente che consente un migliore attacco dei tendini. Nel corso dell’evoluzione i movimenti dell’apparato vocale e la respirazione si sono emancipati dal sistema automatico innato dei primati, e in seguito sono stati ricablati con nuovi pattern di connessione nella neocorteccia.

Complessivamente si è verificata una ristrutturazione totale, sia della corporeità sia della cognitività, conseguenza del raggiungimento della stazione eretta, una tappa di

passaggio fondamentale dalla quale sono derivati notevoli cambiamenti in grado di differenziarci dai primati non umani.

Secondo studi più precisi, nella storia evolutiva, da habilis in poi, sembra essersi verificata un espansione considerevole della neocorteccia (considerata la sede delle funzioni superiori, quali apprendimento, memoria e linguaggio), con un incremento di alcune capacità cognitive in parallelo. Tali capacità poi avrebbero dato vita all’uomo moderno configurandosi come il risultato di un salto qualitativo che lo ha reso completamente diverso dagli altri animali. I mutamenti nella neocorteccia avrebbero prodotto una configurazione neurale tipica, rappresentata dalla giunzione dei lobi parietale, occipitale e temporale (POT) e dall’area di Wernicke inclusa in questa (Falzone, 2006). Tale giunzione si sarebbe specializzata in un compito specifico: quello di processare e integrare le informazioni sensoriali provenienti dal mondo esterno. Essa infatti risulta oggi essenziale per la rappresentazione multimodale, in cui i dati visivi, uditivi e somatosensoriali vengono processati e rappresentati in un primo momento unimodalmente nelle singole aree di associazione della corteccia, e successivamente integrati in un’unica rappresentazione amodale dalla POT, l’area di associazione per eccellenza connessa all’area di Broca.

È evidente perciò che le trasformazioni cognitive e cerebrali hanno seguito quelle morfologiche, e tali modificazioni radicali a livello del corpo e del cervello hanno trasformato completamente una data specie in un'altra. La funzione e l’uso, in archi temporali sterminatamente lunghi, hanno consentito ad alcune aree (non previste in precedenza) di specializzarsi. Probabilmente qualcosa di simile è avvenuto per le facoltà linguistiche: l’uso del tratto vocale e della struttura uditiva di cui l’uomo si serve per percepire e riprodurre i suoni, può aver determinato la necessità di “specializzare” parti del cervello al loro controllo, ovvero di renderle adatte per lo svolgimento di specifici compiti. Per cui i meccanismi fonatori, l’udito e i dispositivi di controllo cerebrale, in una prima fase evolutiva sarebbero stati già predisposti e coordinati e solo in seguito si sarebbero evoluti. Nel tempo, inoltre, il linguaggio umano ha trovato la sua applicazione per scopi diversi, diventando una modalità cognitiva imprescindibile attraverso cui comunicare, conoscere e rappresentarsi la realtà circostante. Si sarebbe configurata come una capacità esclusiva dell’uomo, vantaggiosa per scopi riproduttivi, nutritivi e sociali, andando a rappresentare un vincolo biologico importante di cui il sapiens oggi non si può più liberare. Per questo motivo diciamo che l’uomo pensa linguisticamente ed è “condannato”

per così dire ad organizzare e rappresentare il mondo intorno e a partire dall’attività linguistica.

Secondo i paleoantropologi il pensiero linguistico si è venuto a delineare a partire dall’evoluzione delle tecnologie, e proprio queste ultime hanno decretato l’affermarsi del pensiero cosiddetto tecno-morfo. La lenta e significativa evoluzione cerebrale ha permesso all’uomo di raggiungere una forma di coscienza superiore grazie alla quale si è costruita l’identità di ciascun individuo. È stato possibile appropriarsi del mondo, dargli un nome e farlo diventare oggetto di scambio nelle relazioni comunicative.

Infine, lo sviluppo dell’attività mentale mediante cui l’homo sapiens ha cominciato a organizzare le sue rappresentazioni gli ha permesso di entrare del mondo della cultura, a differenziarsi dai suoi antenati, e pian piano ad affermarsi, dominando tutto il pianeta.