6. I L RUOLO DELL ’ OLFATTO NEI NON VEDENTI
6.2. Consapevolezza e denominazione olfattiva nei ciechi
Adesso ci soffermeremo più da vicino sulle funzioni e sull’uso di questo straordinario congegno nelle persone cieche, con riferimento alla loro abilità nell’identificare e nel discriminare gli indici odorosi. Vedremo che in condizioni di cecità l’olfatto si configura come una modalità di compensazione basilare nella vita di tutti i giorni, poiché consente di raccogliere tutte una serie di elementi difficili da catturare tramite l’udito o il tatto, venendo così a integrare le informazioni fornite da questi sensi. Come specificheremo a breve però non tutti i ciechi hanno un naso così raffinato: per il suo sviluppo è necessario che l’attenzione venga consapevolmente diretta verso gli indizi odorosi presenti nell’ambiente. Come attestano diversi studi, infatti, ci sono alcuni casi speciali di nasi “prodigio”, la cui consapevolezza e sensibilità agli odori è di gran lunga superiore a quella mostrata dai normovedenti, e ciò si nota soprattutto se si prende in considerazione la loro capacità di identificare e di denominare gli odori. In particolare, alcune ricerche recenti si sono occupate di valutare il livello di consapevolezza olfattiva (odor awareness) in condizioni di cecità, e hanno dimostrato che la soglia di rilevazione, la vigilanza agli stimoli odorosi e la velocità di risposta risultano migliori rispetto al gruppo dei normovedenti (Beaulieu-Lefebvre et al., 2011).
Come s’è già detto poi, i casi più eclatanti sono quelli dei cieco-sordi, in particolar modo ricordiamo ancora una volta quello di Helen Keller, riproposto in questo contesto per evidenziare la sua eccezionale sensibilità olfattiva, figlia di un naso affinato e allenato attraverso cui “vedeva” il mondo e riconosceva le persone intorno a lei (Keller, 1908). Distingueva i profumi caratteristici di ogni stagione, coglieva con grande naturalezza tutti i segnali circostanti e focalizzava l’interesse verso ogni piccola sfumatura odorosa, discriminando perfettamente luoghi, persone e distanze. Poteva riconoscere «una vecchia casa di campagna dai diversi strati di odori lasciati in essa dalle successioni di famiglie, di piante, di profumi, di arredi domestici» (ibidem). E tutto questo grazie al suo fiuto, il quale
accanto al gusto e al tatto forniva le informazioni necessarie per formarsi un’idea di ciò che non le era dato vedere, supportandola nella costruzione delle sue rappresentazioni. Helen inoltre si era fatta anche un’idea dei colori a partire da dettagli olfattivi: era in grado di distinguere l’odore di un’arancia dall’odore dell’uva e si rendeva conto che ogni essenza profumata aveva delle varietà non ben definite, da lei individuate per l’appunto come “sfumature”. Il senso dell’olfatto era per lei una fonte vitale, una facoltà cognitivamente indispensabile, tant’è che non appena esso si riduceva (per qualche affezione) era pervasa da un forte senso di smarrimento, anche in ragione della consapevolezza di cosa significasse realmente vivere la cecità. Il caso delle persone cieche quindi, e ancora di più quello dei cieco-sordi, evidenzia come l’attivazione precoce dell’olfatto induca un accrescimento notevole della sensibilità, e ancor prima della sua consapevolezza.
Come suggeriscono gli studi di F. Cimatti e colleghi (2016), gli ambienti artificiali in cui siamo abituati a vivere assopiscono il senso dell’olfatto, e con esso tutte le sue competenze: la sensibilità, la consapevolezza, la capacità di riconoscere e di identificare gli odori, e non ultimo la capacità di assegnare loro un’etichetta linguistica. L’ambiente in cui si cresce e si viene educati influenza particolarmente le abilità olfattive. E il lessico impiegato per descrivere gli odori risulta di conseguenza meno ricco rispetto a un lessico adoperato da popoli e da persone che vivono in ambienti naturali, dove il fiuto, sempre allenato a sentire profumi e aromi di ogni tipo, diventa l’elemento più rilevante.
Ciò vuol dire che seppure partiamo tutti dalla stessa dotazione sensoriale, le culture immerse in un’ambiente naturale, come per esempio i popoli che vivono nelle foreste dove la fitta vegetazione fa sì che le informazioni visive siano poco rilevanti, sono più inclini a conoscere l’ambiente e a rappresentarsi la realtà sfruttando prevalentemente indici olfattivi, per loro particolarmente salienti. Questo li porta ovviamente a sviluppare una maggiore consapevolezza olfattiva e anche un vocabolario degli odori più ricco. Ci sono culture, ad esempio, come il “Batek Negrito” della Malesia descritte da Cimatti e colleghi (2016), in cui l’attenzione agli odori è molto forte e dove gli individui si rappresentano il mondo in termini prevalentemente olfattivi: ad esempio il sole avrebbe un cattivo odore e sarebbe paragonato alla “carne cruda”, mentre la luna sarebbe caratterizzata da un buono odore e ricorderebbe il profumo di “fiori” (Howes & Classen, 2013, cit. in Cimatti et al., 2016). Nel mondo occidentale, invece, tutta l’esistenza si fonda primariamente sulla modalità visiva: le varie pratiche di vita, i valori culturali e il mondo concettuale. I popoli occidentali, perciò, incontrano maggiori difficoltà a riconoscere e a classificare gli odori, e
soprattutto a identificarli e ad attribuire loro un nome, un compito cognitivo, quest’ultimo, estremamente complesso (cfr. Cavalieri 2009, pp. 142 e ss., e gli studi ivi citati). Ma a prescindere dai casi di deprivazione sensoriale in cui gli individui sono più predisposti ad acquisire una maggiore competenza in fatto di odori, anche per le persone normodotate non è impossibile identificare gli odori, e ne sono una prova, oltre alle culture extraoccidentali olfattivamente orientate, anche quelle persone che svolgono professioni che richiedono un’expertice olfattiva come i sommelier, gli enologi, i cuochi e i creatori di profumi, che ogni giorno tengono in allenamento il loro naso, sollecitando anche l’attenzione e la memoria olfattiva, mostrando una maggiore abilità rispetto alla media delle persone nella discriminazione e nella denominazione degli odori.
Diciamo che questi esempi ci portano a pensare che essere continuamente esposti agli effluvi presenti nell’ambiente e usare frequentemente l’olfatto faciliti i processi di riconoscimento, di identificazione e quindi di descrizione linguistica degli odori.