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6. I L RUOLO DELL ’ OLFATTO NEI NON VEDENTI

6.3. Olfatto e riorganizzazione cerebrale

Come si evince dagli studi sopramenzionati, l’olfatto se sollecitato può essere notevolmente perfezionato (Porter et al., 2007), e può diventare un vero rivelatore di conoscenze come accade in situazioni di deprivazione visiva in cui la modalità olfattiva viene utilizzata, al pari delle altre modalità sensoriali già descritte (tatto e udito), per acquisire informazioni utili riguardo la realtà esterna e sviluppare così validi meccanismi di compensazione percettiva (Cuevas et al., 2010; Beaulieu- Lefebvre et al., 2011).

Dal momento poi che a un cieco risulta impossibile visualizzare il volto di una persona, l’attenzione si orienta specificatamente verso il suo odore, e tale indizio diventa un segno rilevante per la sua identificazione (Lundström & Boyle, 2008; Beaulieu- Lefebvre et al., 2011). Ciò vuol dire che ognuno di noi ha un suo odore, unico e inimitabile, contrassegno inequivocabile della propria identità, una sorta di “firma chimica” capace di diffondersi e di rimanere impressa nel luogo in cui si è passati, benché la maggior pare di noi in larga parte ne sia quasi sempre inconsapevole (Cavalieri, 2009, pp. 90-97).

Come indicano inoltre i risultati derivanti dagli studi di I. Cuevas e colleghi (2009), ponendo a confronto il gruppo dei non vedenti con quello dei vedenti si riscontra che i ciechi, specie quelli precoci (early blind), mettono in atto dei meccanismi di compensazione eccellenti nel dominio dell’olfatto. Nei soggetti con cecità tardiva (late

blind) le strategie vicarianti messe in atto risultano meno pronunciate e i punteggi ottenuti

non raggiungono un valore statistico significativo.

Da un’analisi globale se ne deduce che i ciechi congeniti mostrano performance migliori rispetto al gruppo dei vedenti, specialmente quando sono chiamati in causa processi cognitivi di più alto livello: ad esempio nei compiti di identificazione libera (free

identification) in cui vengono coinvolti aspetti semantici (Wakefield et al., 2004;

Rosenbluth et al., 2009). Più nello specifico, negli esperimenti citati (Cuevas et al., 2009; 2010; Rombaux et al., 2010) veniva chiesto ai partecipanti di odorare qualcosa (senza fornire indizi di alcun tipo) e successivamente di denominarla, ma solo se la cosa individuata veniva riconosciuta nell’immediato. Questa procedura richiedeva quindi un accesso diretto ai dati immagazzinati in memoria che, per essere impiegati nei processi di categorizzazione linguistica, dovevano essere selettivamente estrapolati. Secondo gli studi di M. Beaulieu-Lefebvre e colleghi (2011), le abilità mostrate dai non vedenti nell’auto- generare nomi di odori suggerirebbe la presenza di abilità verbali, più che percettive, davvero spiccate, e tali competenze fornirebbero un ottimo spunto per i processi di denominazione (Engen & Engen, 1997). A questo proposito, tra l’altro, diverse evidenze testimoniano che le persone cieche superano i normovedenti proprio in compiti di memoria verbale e uditiva (Amedi et al., 2003; Röder & Rösler, 2003). Durante il processo di identificazione si affiderebbero infatti in misura maggiore alle informazioni semantiche e fonologiche.

Nello studio condotto da G. Morrot et al. (2001) si rileva che la corteccia occipitale, normalmente operativa nei compiti di riconoscimento e di creazione di una rappresentazione visiva degli oggetti, è chiamata in causa sia quando cerchiamo di identificare un odore (olfactory processing), sia quando effettuiamo un’elaborazione olfattiva più complessa (per esempio in compiti verbali ─ auditory-verbal processing). In entrambi i casi si avrebbe una rappresentazione visiva dell’oggetto associato con l’odore.

I risultati derivanti dagli studi neuroimaging confermano infatti che la corteccia visiva ha funzioni multimodali (Marks & Wheeler, 1998; Pietrini et al., 2009), e il sistema olfattivo, suscettibile di una riorganizzazione cross-modale simile a quella osservata per le modalità tattili e uditive, rivela per l’appunto la sua natura essenzialmente plastica. Più nello specifico, nei ciechi congeniti si riscontra un’attivazione maggiore dell’area V1 della corteccia visiva primaria. Per cui lo sforzo di individuare l’origine di uno odore sarebbe correlato a un processo di rappresentazione mentale e probabilmente anche a un’analisi di tipo semantico.

La semplice stimolazione olfattiva e visiva provocherebbe un coinvolgimento della regione orbitofrontale sinistra e della corteccia piriforme destra. La corteccia orbitofrontale, designata come corteccia olfattiva secondaria (Zatorre et al., 1992), sarebbe implicata nei processi di discriminazione e di identificazione olfattiva (Zatorre & Jones- Gotman, 1991), e secondo alcuni studi più recenti sarebbe coinvolta anche nella percezione del sapore come sensazione sinestetica (Rolls & Baylis, 1994). Durante la presentazione di odori si avrebbe inoltre un’attivazione diretta della corteccia piriforme, ovvero della corteccia olfattiva primaria, che è tra i primi siti riceventi le informazioni dal bulbo olfattivo (la prima stazione del cervello odorante). Durante la denominazione olfattiva si verificherebbe invece un’attivazione del giro cingolato anteriore destro, dell’insula sinistra e del cervelletto bilaterale (Qureshy et al., 2000).

La scoperta più significativa riguarda l’attività di risposta del cervelletto, da sempre considerato esclusivamente come il “faro” di controllo dei movimenti e della postura. Stando allo studio effettuato da A. Qureshy e colleghi (2000), quest’area del cervello avrebbe un ruolo fondamentale perfino nei processi olfattivi più complessi, durante l’atto consapevole dell’annusare o semplicemente in presenza di odori (Sobel et al., 1997; Yousem et al., 1997). I soggetti affetti da Parkinson e da Alzheimer ad esempio, noti per avere specifici deficit motori, presentano al contempo delle disfunzioni olfattive (Allen et

al., 1997). Recenti scoperte infatti suggeriscono che il cervelletto è implicato nei compiti

di discriminazione e di riconoscimento, e più in generale nei comportamenti di apprendimento (Qureshy et al., 2000; Gao et al., 1996). La sua risposta d’attivazione sarebbe abbastanza diffusa e coinvolgerebbe i processi di verbalizzazione olfattiva, nonché quelli di matching, ovvero di analisi semantiche e cognitive. Si nota ancora come il cervelletto sia connesso ai lobi cerebrali tramite fibre afferenti e tali connessioni farebbero parte di un network neurale più esteso usato per la memoria olfattiva.

I risultati analizzati perciò, nel loro complesso, oltre ad essere interessanti e originali, chiariscono ancora meglio il funzionamento dell’olfatto correlato alla riorganizzazione cerebrale, specialmente in situazioni di deprivazione visiva. Tuttavia, sebbene si tratti di studi preliminari e quantitativamente esigui, da queste prime osservazioni è possibile affermare che le abilità olfattive esibite dai ciechi sono superiori a quelle standard, soprattutto nei compiti di processamento di più alto livello (come nel riconoscimento olfattivo libero).

Il fatto poi che i ciechi si affidino spesso agli input olfattivi potrebbe rivelarsi davvero vantaggioso, specialmente nell’ottica di un programma di riabilitazione mirato a

prendere in considerazione il potenziamento della modalità olfattiva, al fine di impiegarla in compiti di esplorazione e di navigazione spaziale, e più in generale per facilitare i processi di rappresentazione.