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3. L INGUAGGIO , COGNIZIONE , VISIONE

3.2. Rappresentazioni sopra-modali

Nell’ultimo decennio le neuroscienze si sono dedicate sempre più allo studio dei cambiamenti strutturali e funzionali che avvengono a livello cerebrale, analizzando più nello specifico ciò che accade in seguito a deficit sensoriali (Pietrini et al., 2009; Ricciardi & Pietrini, 2011). Grazie a queste analisi è stato possibile dimostrare che in assenza di stimolazioni sensoriali alcune aree della corteccia si specializzano in modo diverso e iniziano a svolgere nuove funzioni. Lo studio di individui con cecità congenita getta luce infatti sulle enormi potenzialità di cui il cervello umano è dotato, e di conseguenza rappresenta una preziosa testimonianza di come la corteccia cerebrale è capace di riorganizzarsi e gestire le informazioni persino quando viene a mancare il canale sensoriale afferente (cross-modal plasticity). Si è visto, ad esempio, un’attivazione delle aree corticali visive durante l’elaborazione di input tattili più complessi (come la lettura braille), e dai risultati emersi tramite stimolazione transcranica (transcranical magnetic

stimulation) si è notato inoltre che il circuito visivo contribuisce alle funzioni cognitive di

alto livello, ad esempio durante il processamento linguistico (Bedny et al., 2012; Marotta, 2014). Sia nell’ascolto di una frase, sia durante la lettura braille la corteccia occipitale si attiva (Sadato et al., 1996), mentre questo non accade in compiti non verbali (ascolto di suoni non linguistici).

Durante la generazione di parole l’attività della corteccia occipitale (nei ciechi congeniti) è lateralizzata a sinistra e la sua attività è molto più pronunciata rispetto ai ciechi acquisiti, nei quali invece l’attivazione è bilaterale o maggiormente lateralizzata a destra. In compiti verbali riflette per lo più risposte di preparazione, esecuzione e attenzione anziché risposte linguistiche. Questo significa che nel caso in cui il deficit subentri alla nascita la risposta delle aree occipitali, in seguito a compiti linguistici, è maggiore. Al contrario, nel caso di cecità tardiva la loro attivazione è meno significativa. I ciechi congeniti pertanto hanno una risposta più sensibile al linguaggio, con un’attivazione diretta e più intensa della corteccia occipitale, e questo probabilmente perché in assenza di

input diretti essi devono affidarsi a un canale di comunicazione e di conoscenza altrettanto

valido.

Appare chiaro allora che in caso di specifiche alterazioni il nostro cervello è in grado di trovare una riorganizzazione altamente funzionale. Da questo studio, inoltre, emerge una delle peculiarità più importanti della corteccia umana: la plasticità, un fenomeno ancora oggi abbastanza dibattuto e per molti in forte contrasto con le teorie innatiste. Tuttavia, a questo proposito occorre citare alcuni studi (Laurence & Margolis, 2015)

secondo cui il tema riguardante la plasticità non entra realmente in collisione con le teorie dell’innatismo. Anzi, ponendo uno sguardo più attento sulle evidenze neurologiche, l’approccio innatista è da tenere assolutamente in considerazione, perché è come se il nostro cervello di fronte ad alterazioni sensoriali avesse una soluzione “programmata” e appropriata per favorire il corretto funzionamento dei processi cognitivi più alti, e di conseguenza facilitare l’attivazione delle aree correlate. Per questo motivo quindi è più plausibile pensare che i sistemi neurali creino di volta in volte le preferenze per una data modalità. Infatti quando un certo input non è immediatamente disponibile, il cervello è (per così dire) in grado di passare a una soluzione migliore e alternativa (per esempio sfruttando altre modalità sensoriali), affinché sia possibile elaborare i dati necessari.

È da notare ancora come la via ventrale (deputata all’organizzazione di informazioni sugli oggetti) si attiva sia quando un oggetto viene percepito visivamente, sia quando tale oggetto viene esplorato con le mani (Pietrini et al., 2004). In modo simile, la via dorsale, specificatamente connessa al canale visivo, continua ad essere attiva anche nei ciechi congeniti (Renier et al., 2010; Lingnau et al., 2012), occupandosi di processare elementi spaziali, nonostante i profondi cambiamenti nell’input sensoriale coinvolto (uditivo vs visivo). Diversi studi confermano che l’area temporale media V5/hMT+21 non solo si attiva durante gli spostamenti percepiti visivamente ma anche se questi vengono conosciuti apticamente o uditivamente (Van Kemenade et al., 2014; Ricciardi et al., 2007). Quest’area perciò — essendo multimodale — esegue sempre le stesse funzioni, perfino in completa assenza di stimoli visivi, ma alla fine sceglie l’input visivo quando questo è disponibile, poiché esso garantisce maggiore affidabilità. Ciò fa pensare che tale regione del cervello sia programmata in modo innato per decodificare input spaziali, e probabilmente quest’area è anche coinvolta nella formazione di rappresentazioni concettuali. Al di là di questo poi, i non vedenti, grazie a dei meccanismi adattativi interni, riescono a controbilanciare ampiamente l’assenza di stimoli visuali (utilizzando sensi residui e processi cognitivi superiori come il linguaggio). Secondo la posizione sostenuta in questa tesi, il linguaggio gioca una parte rilevante accanto alle modalità considerate da sempre più prominenti, impiegate per conoscere attivamente il mondo (tatto e udito).

Le descrizioni verbali avrebbero un ruolo di primo piano nei processi rappresentazionali, quindi (probabilmente) la corteccia visiva sarebbe in grado di codificare gli input indipendentemente dalla modalità attraverso cui giungono al cervello

21 Area della corteccia visiva locata nella dorsal pathway deputata all’elaborazione di stimoli in

movimento e più in generale al processamento di informazioni spaziali (movimento, localizzazione, relazioni spaziali)

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(Marotta et al., 2013). L’area occipitale infatti si attiva ugualmente in seguito a stimoli non visivi. In particolar modo, secondo alcuni studi, è la cecità precoce a guidare alcune regioni del cervello a sviluppare specifiche risposte cross-modali (Bedny et al., 2010; Matteu et al., 2010) e a organizzare in maniera differente i domini astratti e concreti. I primi, ad esempio, vengono rappresentati in termini di associazioni con altri concetti e con altre parole (Crutch & Warrington, 2005), i secondi vengono percepiti nella loro globalità mediante l’uso di sistemi vicarianti e stimoli verbali.

A tal proposito si può considerare il caso della parola “radioattività”: un piccolo blocco di ferro che può essere definito linguisticamente con riferimento al suo colore, alla sua temperatura, alla pesantezza, alla forma o alla consistenza e allo stesso tempo può essere conosciuto apticamente. Ma se questo blocco è anche radioattivo saranno le descrizioni verbali a portarci verso la comprensione di tale proprietà, sia nel caso in cui la vista è presente sia nel caso in cui non lo è. Questo per dire che sebbene ci siano alcune proprietà non percepibili direttamente (come i colori, le relazioni spaziali, ecc.) i non vedenti possono avvalersi di esperienze linguistiche e acquisire molti dei concetti “visuali” sfruttando gli stessi meccanismi neuro-cognitivi utilizzati dai vedenti (vedi esempio radioattività). Secondo questo tipo di evidenze, inoltre, le esperienze extra e interlinguistiche forniscono ai ciechi informazioni sufficienti affinché le rappresentazioni mentali possano essere generate. Come si può intuire, perciò, il cervello è in grado di processare dati percettivi a prescindere dalla sorgente coinvolta (supramodality).

Tali osservazioni, oltre ad avvalorare l’ipotesi della sopra-modalità, suggeriscono che le rappresentazioni semantiche e spaziali non sono esclusivamente vincolate all’esperienza visiva, bensì hanno alla base un’organizzazione altamente plastica.