• Non ci sono risultati.

LISOSOMI ED ENDOSOMI LISOSOMI ED ENDOSOMI

10. LISOSOMI ED ENDOSOMILISOSOMI ED ENDOSOMI

Le sostanze contenute negli etero e negli autofagosomi, e quelle contenute nelle vescicole ammantate derivate dall’endocitosi mediata da recettori, si fondono con formazioni delimitate da membrana di origine golgiana dette endosomi precoci o corticali. Sono strutture molto dinamiche, che si formano e si disfano con grande facilità, situate in sede subplasmalemmale. Il loro ambiente viene acidificato da pompe protoniche che giungono sulla membrana dell’endosoma precoce attraverso vescicole golgiane e ne abbassano il pH a circa 6. Nel caso in cui il contenuto dell’endosoma precoce derivi da un’endocitosi mediata da recettori, l’acidificazione dell’ambiente permette il distacco del ligando. In questo caso, quindi, la fusione della vescicola ammantata con l’endosoma precoce ha portato alla formazione del cosiddetto CURL (Compartment of Uncoupling of Receptor and Ligand, compartimento disaccoppiante del recettore e del ligando). I recettori, slegati dal loro ligando, e la clatrina si accumulano in una regione della membrana del CURL che si peduncolizza e gemma formando una vescicola che si fonde con la membrana plasmatica dove recettori e clatrina possono essere riutilizzati.

Nei pressi del nucleo sono situate delle vescicole a contenuto ancora più acido di quello degli endosomi precoci (pH circa 5) dette endosomi perinucleari o tardivi. Questi compartimenti si fondono con vescicole di origine golgiana contenenti enzimi idrolitici che si caratterizzano per essere attivi a pH acido, ovvero per essere delle idrolasi acide. Tali vescicole sono definite vescicole idrolasiche ed hanno un diametro di 200-400 μm. Dalla fusione degli endosomi perinucleari con le vescicole idrolasiche si forma così un endolisosoma. Attraverso ulteriori modificazioni sia del pH luminale, che si abbassa ulteriormente, sia delle componenti proteiche di membrana, l’endolisosoma si trasforma in un lisosoma. Le idrolasi acide contente all’interno dei lisosomi sono di vario tipo:

Proteasi. Che scindono le proteine in aminoacidi.

Nucleasi. Sia deossiribonucleasi, che scindono il DNA, che ribonucleasi, che scindono l’RNA.

Solfatasi. Che scartano i gruppi solfato.

Lipasi. Che scindono i fosfolipidi ed i trigliceridi (sono scarse nei lisosomi).

Fosfatasi acide. Scindono i gruppi fosfato legati covalentemente ai substrati organici. Queste sono

sempre molto abbondanti nei lisosomi, a differenza degli altri enzimi, e possono essere considerati dei marker biochimici dei lisosomi.

Questi enzimi che dall’apparato del Golgi sono destinati agli endosomi tardivi, non perdono i residui di mannosio e vengono fosforilati: la presenza di mannosio 6-fosfato è un segnale di indirizzamento verso i lisosomi11. Infatti il mannosio 6-fosfato si lega a recettori che si concentrano sul versante luminale di certe 11 Questo è un esempio dell’efficienza dei meccanismi con cui la cellula smista nella varie direzioni i materiali prodotti da essa o giunti dall’esterno: infatti gli errori di smistamento non superano il 10%.

Sezione di citologia – 10. Lisosomi ed endosomi 55 porzioni della faccia trans del Golgi. A livello di queste stesse porzioni, ma sul versante citoplasmatico, si

concentra una proteina che ha una funzione simile alla clatrina e che pertanto consente la gemmazione di queste porzioni e la formazione delle vescicole idrolasiche secondo un meccanismo simile all’endocitosi mediata da recettori.

Il pH acido dell’endolisosoma determina il distacco delle idrolasi dai loro recettori di membrana e la loro attivazione12. Quando il lisosoma si fonde con l’endosoma precoce questi enzimi cominciano la degradazione e digestione del contenuto di quest’ultimo.

Può però esserci qualcosa che non può essere totalmente degradato o può non esserlo affatto e che quindi si accumula nei lisosomi; parliamo in questo caso di corpo residuo. Ad esempio la degradazione incompleta dei fosfolipidi di membrana, e la loro conseguente ossidazione, porta alla formazione di pigmenti (di colore marrone) che prendono il nome di lipofuscine.

I lisosomi sono positivi alla reazione PAS grazie al contenuto di enzimi lisosomiali che, come abbiamo detto, sono glicoproteine.

Ritroviamo numerosi lisosomi all’interno dei progenitori dei fagociti professionisti che ritroviamo nel sangue e nel midollo osseo.

56 Sezione di citologia – 11. Perossisomi

11.

11. PEROSSISOMIPEROSSISOMI

Apparentati con i lisosomi e presenti soprattutto in certi tipi cellulari come le cellule del fegato e dei reni, ci sono degli altri organuli che si chiamano perossisomi. Il nome deriva dal fatto che contengono un enzima, la perossidasi, che caratterizza la reazione di scissione dei perossidi ovvero la reazione in cui da due molecole di acqua ossigenata (perossido di idrogeno) derivano due molecole di acqua più ossigeno molecolare.

Accanto alle perossidasi sono presenti anche delle ossidasi, degli enzimi capaci di ossidare vari tipi di substrato strappandogli idrogeno e coniugando questo con un atomo di ossigeno a formare acqua.

Si ritiene che i perossisomi siano residui vestigiali di un ancestrale precursore eucariotico: si sa infatti che le reazioni di ossidazione di substrati sono reazioni che liberano energia; i perossisomi sarebbero quindi rimasti nelle cellule come residuo di quello che un tempo era un rudimentale meccanismo per procurarsi energia. Parliamo di residuo perché gli eucarioti moderni hanno sviluppato un altro meccanismo per ottenere energia basato sull’ossidazione degli alimenti e attuato dai mitocondri.

I perossisomi sarebbero rimasti assumendo una funzione non più energetica bensì strettamente inerente le reazioni di ossidazione che possono ancora svolgere nei confronti, per esempio, di molecole potenzialmente tossiche che, venendo ossidate, perdono del tutto o in parte la loro tossicità: per questo li ritroviamo abbondanti nel fegato che si occupa, tra le altre cose, di detossificare le sostanze entrate nell’organismo attraverso il canale alimentare e nei reni che hanno la funzione di eliminare, attraverso le urine, le sostanze tossiche eventualmente presenti nel sangue.

L’ossidazione di queste sostanze tossiche produce acqua ossigenata che viene scomposta ad acqua e ossigeno molecolare all’interno dell’organulo stesso.

Da un punto di vista morfologico un perossisoma assomiglia molto da vicino ad un lisosoma: anch’esso è un organulo delimitato da membrana con una matrice a medio arresto elettronico; spesso si può evidenziare un cristalloide all’interno della matrice che è una zona in cui precipitano, in forma paracristallina, a seguito, probabilmente, dei processi fissativi, gli enzimi ossidasici.

Si sa che i perossisomi non derivano dall’apparato del Golgi: le proteine e gli enzimi che troviamo al loro interno non sono sintetizzati a livello del reticolo endoplasmatico ruvido per poi passare all’apparato del Golgi ed essere inclusi in sistemi membranosi: i perossisomi costituiscono un eccezione alla regola comune a quasi tutti gli organuli membranosi che prevedono un’origine dal RER.

Le ossidasi e le perossidasi nascono quindi nei ribosomi liberi e sembra che vengano traslocate nei perossisomi attraverso carrier localizzati sulla membrana dell’organulo. È un meccanismo particolare che sembra essere coinvolto anche nel processo di esocitosi non condizionato da vescicole di determinate molecole come, ad esempio, certe citochine che sembrerebbero varcare il plasmalemma dall’interno all’esterno della cellula non mediante vescicole secretorie ma mediante trasportatori transmembrana.

Sezione di citologia – 11. Perossisomi 57 Questo meccanismo, proprio anche dei perossisomi, tende a sottolineare, sotto certi aspetti, la primitività

di questo organulo che utilizza un meccanismo piuttosto semplice rispetto a quello che coinvolge il movimento di membrana nel processo di esocitosi classica.

58 Sezione di citologia – 12. Mitocondri

12.

12. MITOCONDRIMITOCONDRI

Il termine mitocondrio è un termine descrittivo perché deriva da due parole greche che vogliono dire granulo e filamento: questo perché i mitocondri, che sono visibili in cellule fissate a fresco con il microscopio a contrasto di fase, appaiono come delle strutture rifrangenti a volte con l’aspetto di granuli,talvolta con l’aspetto di bastoncini, filamenti.

Nei preparati fissati sono visibili come organuli di dimensioni tali da poter essere visti con il microscopio ottico convenzionale. In linea di massima un mitocondrio ha un calibro di circa 0,2 micron ed una lunghezza variabile: di norma è di un paio di micron ma a volte si possono notare dei mitocondri più lunghi, i veri e propri filamenti, che possono raggiungere anche i 10 micron di lunghezza. Le dimensioni sono quindi variabili così come la forma anche se questa nella maggioranza dei mitocondri della maggioranza delle cellule è quella di un bastoncino allungato con un calibro di 0,2 micron ed una lunghezza di 2 micron. Sono comunque organuli dinamici che cambiano continuamente forma e dimensione.

Per poter osservare i mitocondri al microscopio è necessario fissare il tessuto in modo opportuno perché molti tipi di fissativo portano ad uno scompaginamento della struttura mitocondriale e quindi alla perdita dell’organulo stesso nel preparato. Per poterlo preservare occorre usare dei fissativi che siano molto penetranti e che quindi riescano ad entrare nelle cellule velocemente senza consentire l’avvio dei fenomeni mortali che conseguono al momento in cui il tessuto viene asportato dall’organismo di cui faceva parte e privato di ossigeno e nutrienti. Oltre che molto penetranti i fissativi da usare per fissare i mitocondri devono essere anche dei buoni stabilizzatori delle membrane biologiche perché i mitocondri sono ricchi di membrana. Tra i fissativi migliori ci sono quelli che contengono cromo o tetrossido di osmio. Una volta fissati in modo adeguato i mitocondri sono resi visibili colorandoli: di norma si rivelano estremamente acidofili in relazione soprattutto all’elevato contenuto di proteine che, di norma, appaiono acidofile.

I mitocondri possono essere colorati con tecniche di colorazione regressiva che si basano su un principio molto semplice: determinati organuli, in relazione alla loro struttura13, assumono con una certa difficoltà il colorante; tuttavia, quando si sia riusciti a colorarli, è più difficile togliere il colorante che sia riuscito a passare al loro interno. La colorazione regressiva si basa su due passaggi: il primo passaggio consiste in una sovracolorazione del tessuto in modo da consentire l’ingresso del colorante ovunque nella cellula; il secondo passaggio, definito anche differenziazione, consiste nella decolorazione del tessuto: è una decolorazione controllata e molto veloce in modo da consentire al colorante di essere rimosso dalle zone che lo avevano assorbito più facilmente (e che più facilmente lo cedono) e di permanere all’interno di quelle strutture che lo avevano assorbito con difficoltà ma che, per loro costituzione, non hanno nessuna tendenza a perderlo. I mitocondri sono dotati di complessi sistemi d membrana che si prestano bene

13 Per esempio perché sono dotati di sistemi membranosi che ostacolano la diffusione del colorante interno.

Sezione di citologia – 12. Mitocondri 59 all’utilizzo di una colorazione regressiva proprio perché non tendono a perdere il colorante quando si

procede alla differenziazione. Per questo tipo di colorazione può essere utilizzata l’ematossilina ferrica. Abbiamo detto che i mitocondri hanno un elevato contenuto di proteine e molte di queste sono degli enzimi: un ulteriore metodo di studio si avvale di tecniche istoenzimologiche che sfruttano l’attività dell’enzima per produrre un substrato insolubile e colorabile che precipita nell’organulo stesso che lo sta formando permettendoci di metterlo in evidenza. Molti enzimi mitocondriali sono capaci di catalizzare reazioni di ossidoriduzione: in una reazione ottenuta sfruttando una reazione istoenzimologica per gli enzimi ossidoriduttivi ogni granulo nero corrisponde al sito dove il mitocondrio ha ossidato la molecola d substrato e l’ha trasformata in una molecola colorata che gli è precipitata addosso.

Il metodo più adeguato per lo studio dei mitocondri è comunque l’utilizzo del microscopio elettronico che ci consente di precisare molte delle caratteristiche strutturali e, conseguentemente, funzionali di questi organuli.

Si può fare una stima approssimata del contenuto di mitocondri di una cellula, ovvero del condrioma, in una o due migliaia di unità per cellula: chiaramente ci sono delle cellule che ne contengono di più, come certi tipi di cellule di ghiandole che secernono elettroliti, e cellule che ne possiedono di meno soprattutto cellule quiescenti che non abbiano cioè un’elevata attività metabolica come può avvenire per certi tipi di globuli bianchi che utilizzano il sangue come veicolo finché non si attivano delle particolari condizioni. Il mitocondrio è fornito di una doppia membrana: possiamo infatti distinguere una membrana

mitocondriale esterna che delimita l’organulo dallo ialoplasma che lo circonda; è una membrana

piuttosto sottile, 6nm, analoga come aspetto e, per certi versi, per costituzione alle membrane del reticolo endoplasmatico. All’interno di questa membrana ce n’è un’altra detta membrana mitocondriale interna che è più spessa, 8 nm, ed ha una costituzione particolare: è pressoché priva di colesterolo e in questo assomiglia alle membrane delle cellule procariote. Un’altra caratteristica morfologica distintiva della membrana interna è che la sua estensione è nettamente maggiore di quella della membrana esterna: di conseguenza, per poter stare all’interno del volume delimitato dalla membrana esterna, si deve ripiegare formando delle introflessioni che si dicono creste mitocondriali. Di norma le creste hanno un decorso perpendicolare all’asse maggiore dell’organulo ed appaiono come delle tasche, come delle introflessioni laminari che, salvo casi particolari, non raggiungono mai la parete opposta della membrana interna: formano quindi dei setti incompleti che suddividono la parte interna del mitocondrio in tante camere intercomunicanti.

Tra la membrana interna e la membrana esterna è compreso uno spazio che si estende anche all’interno delle singole creste: la camera mitocondriale esterna: è, di norma, uno spazio piuttosto esiguo (6-8 nm). Anche lo spazio compreso all’interno della membrana interna ha un nome: camera mitocondriale

interna. La camera mitocondriale interna non è vuota e non appare neanche come tale; è occupata da un

materiale granulare a medio arresto elettronico che prende il nome di matrice mitocondriale. Nella matrice compiono diversi oggetti i più evidenti dei quali sono dei granuli elettrondensi detti granuli densi della matrice o granuli densi intramitocondriali. Le indagini istochimiche ci dicono che sono degli accumuli di anioni bivalenti soprattutto di calcio e magnesio. I granuli densi della matrice sono un

60 Sezione di citologia – 12. Mitocondri connotato peculiare di certi tipi cellulari coinvolti specificamente nei processi di mineralizzazione dei tessuti duri come quelli che formano l’impalcatura del dente o dello scheletro osseo.

Da un punto di vista morfologico in un mitocondrio a riposo funzionale le due membrane e le creste sono sempre ben evidenti e la camera esterna appare molto esigua. In una cellula attivamente impegnata in processi metabolici che richiedono energia il numero delle creste e lo spessore della camera mitocondriale esterna aumentano notevolmente.

In certi tipi cellulari sono presenti delle creste mitocondriali di forma particolare: anziché avere l’aspetto di lamine le creste mitocondriali hanno l’aspetto di introflessioni tubulari, a dito di guanto: sono infatti dette creste tubulari. Questo tipo di creste è caratteristico delle cellule che producono ormoni steroidei ma non si ha nessuna nozione sul perché le creste si dispongano in questo modo particolare.

Usando dei detergenti opportuni è possibile rompere le membrane esterne e separarle per centrifugazione in modo da poterne esaminare il contenuto soprattutto per quel che riguarda il contenuto in proteine ed enzimi; per conto loro vanno a finire la membrane interne che possono essere a loro volta rotte permettendoci di estrarre il contenuto della matrice interna ed analizzare il contenuto della membrana interna. Dall’isolamento delle varie parti del mitocondrio e dalla loro analisi biochimica si possono trarre delle informazioni che ci consentono di capire come funziona il mitocondrio.