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Cenni sul nuovo diritto concorsuale

Nel documento Il trust e le procedure concorsuali (pagine 85-88)

CAPITOLO III: IL TRUST E IL FALLIMENTO 3.1 Premessa – 3.2 Cenni sul nuovo diritto concorsuale – 3.3 Il binomio trust-procedure

3.2 Cenni sul nuovo diritto concorsuale

Nel corso del 2006, si è assistito ad un intervento legislativo che ha novellato la legge fallimentare.

Si parla di novellazione e non propriamente di riforma, perché il legislatore ha innovato la materia: sono state introdotte nuove norme, modificati alcuni articoli e abrogati altrettanti. Tuttavia, si è deciso di mantenere il corpus legislativo, introdotto dal r.d. 16 marzo 1942, n. 267.

La riforma, ha contribuito ad evolvere il diritto concorsuale, non più improntato al solo interesse pubblicistico, volto a meri fini liquidatori oppure punitivi nei confronti dell’imprenditore fallito,107

ma diretto a privilegiare l’interesse c.d. privatistico della procedura.

La crisi dell’impresa può presentare forme crescenti di gravità. Tale consapevolezza, ha indotto il legislatore a programmare una serie di strumenti, ai quali è possibile ricorrere in ordine alle difficoltà incontrate dall’imprenditore per adempiere le proprie obbligazioni.

L’innovazione, ha reinterpretato, in particolar modo, i ruoli dei soggetti che girano intorno alla procedura: tra tutti, emergono il comitato dei creditori e il curatore fallimentare.

Il curatore è nominato con la sentenza dichiarativa di fallimento (art. 16). Dopo aver accettato l’incarico, egli ha il dovere di procedere subito con l’acquisizione dei beni del fallito, per effetto dello “spossessamento”, che colpisce l’imprenditore al momento della sentenza di fallimento, di cui all’art. 42. La norma concede al curatore la facoltà di apporre di sigilli alle proprietà

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Prima della riforma del 2006 e della controriforma del 2007, l’imprenditore veniva iscritto nel pubblico registro dei falliti.

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dell’imprenditore che possono contenere dei beni da apprendere nella procedura, al fine di evitare che possa sottrarli illegittimamente all’attivo patrimoniale.

Successivamente, i beni acquisiti (e altresì quelli futuri) dovranno essere inventariati, poiché solo questi saranno oggetto di futura vendita, il cui ricavato andrà distribuito tra i creditori aventi diritto.

Prima della riforma, il curatore veniva tenuto ai margini della procedura con un ruolo prettamente esecutivo. Al giorno d’oggi, egli ha il compito di dirigere l’intera procedura, sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori.

Il curatore, ha, poi, il dovere di gestire le problematiche connesse all’amministrazione del patrimonio del debitore (con l’ausilio del comitato dei creditori), come:

- utilizzo di strumenti destinati a conservare il valore dell’azienda, intesa come universitas rerum (insieme di beni);

- ricorrere all’esercizio provvisorio, finalizzato a preservare i livelli occupazionali e rendere l’azienda più appetibile nel mercato;

- cessione di rami d’azienda, non ancora colpiti dalla crisi.

Inoltre, il curatore è responsabile di tutto ciò che si lega agli aspetti gestionali, alle scelte decisionali e alle valutazioni di convenienza economica.108

Le attività appena descritte, si adeguano perfettamente alle specificità di un trust, il quale verrebbe costituito per favorire lo svolgimento della procedura fallimentare.

Come il trustee, anche il curatore fallimentare ha il compito di presentare periodicamente dei riepiloghi al comitato dei creditori (nel trust, ai beneficiari), nei quali si descrivono in modo particolareggiato, tutte le attività svolte fino a quel momento.

Al curatore è rimessa, inoltre, la valutazione dell’opportunità delle azioni giuridiche esperibili nell’interesse del ceto creditorio, tra cui spiccano le azioni revocatorie (art. 67), di responsabilità, di recupero beni o denaro (decreti di acquisizione, ex art. 25 l.f.).

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Infine, egli dovrà procedere con la vendita dell’attivo patrimoniale, mediante procedure competitive. Il ricavato, secondo quanto è stabilito nel piano di riparto, sarà distribuito ai creditori che sono stati ammessi al concorso, tenendo conto dei legittimi titolari di diritti di prelazione. Lo scopo è il miglior soddisfacimento della massa dei creditori.

Per questo motivo, il fallimento è definito: “una procedura esecutiva collettiva, che si svolge nell’interesse precipuo dei creditori, per raggiungere il loro massimo possibile soddisfacimento”.109

Il raggiungimento dello scopo, o il mancato raggiungimento, permette di chiudere la procedura, ai sensi dell’art. 118 l.f..

Infatti, l’istituto della chiusura del fallimento, deve essere concepito come una fase che si apre quando si ha la certezza che il fallimento non possa più perseguire gli obiettivi principali. Tuttavia, la norma prevede l’esistenza di alcune ipotesi che possono condurre alla chiusura della procedura, ma che nella realtà si riscontrano in casi eccezionali.

Ricordiamo che, con il fallimento non si giunge mai ad una soddisfazione integrale del ceto creditorio. Se così non fosse, l’apertura della procedura non sarebbe giustificata.

Dal momento in cui l’autorità giudiziaria decreta la chiusura della procedura, le azioni promosse dal curatore per l’esercizio dei diritti derivanti dal fallimento, non possono essere proseguite (art. 120 l.f.). Tuttavia, i creditori non interamente soddisfatti dalle ripartizioni dell’attivo, rientrano in possesso del diritto di agire individualmente, che consiste nella facoltà di aggredire i beni che sono eventualmente rientrati nella disponibilità dell’imprenditore, ritornato in bonis.110

Oltre alla procedura fallimentare, la riforma si è preoccupata di modernizzare anche tutti gl’altri istituti che regolano la crisi d’impresa come:

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Cit. PIZZIGATI M., “Corso di diritto fallimentare”, Università Cà Foscari Venezia, 2011. 110

Sul punto, è intervenuta la Corte di Cassazione, 13 dicembre 2006, n. 26688, spiegando che: “Il decreto

di chiusura del fallimento produce le conseguenze previste dall’art. 120 legge fall., e cioè la cessazione degli effetti dinamici del procedimento concorsuale, collegati in modo diretto alla sua pendenza, oltre a quelli strumentali”. Un’altra Cassazione, 18 aprile 2006, n. 8959, si è espressa, stabilendo che: “In tema di procedura civile, la chiusura del fallimento, determinando la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio fa venir meno la legittimazione processuale del curatore, determinando il subentrare dello stesso fallito tornato in bonis al curatore nei procedimenti pendenti all’atto della chiusura; tale principio peraltro, non vale per il giudizio di cassazione, […].”.

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- il concordato preventivo, disciplinato dagli artt. 160 l.f. e seguenti; - gli accordi di ristrutturazione dei debiti, art. 142-bis;

- gli accordi stragiudiziali per la risoluzione della crisi d’impresa, i quali non specificatamente disciplinati dalla legge fallimentare, ma regolati dall’autonomia privata;

- il concordato fallimentare, ex art. 124 l.f. e seguenti; anche se si tratta di un istituto che non rientra nel novero degli istituti preventivi poiché è possibile ricorrervi solo quando è già intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento.

L’applicazione del trust all’interno delle procedure alternative, si pone in una prospettiva del tutto differente rispetto a quella del fallimento. In questi casi, non sono gli organi giurisdizionali a predisporne l’utilizzo durante la procedura, ma è l’autonomia negoziale privata a presentare un piano per regolare la crisi d’impresa mediante la costituzione di un trust.111

Se si considera la proposta di concordato, il tribunale è chiamato solo a verificare la fattibilità della proposta e, quindi, la legittimità del trust.

Nel documento Il trust e le procedure concorsuali (pagine 85-88)