CAPITOLO III: IL TRUST E IL FALLIMENTO 3.1 Premessa – 3.2 Cenni sul nuovo diritto concorsuale – 3.3 Il binomio trust-procedure
3.4 L’applicazione del trust nel fallimento
3.4.1 Il trust liquidatorio: il problema della riscossione dei crediti maturati durante la procedura fallimentare
Prima che il legislatore intervenisse sulla legge fallimentare, il trust veniva utilizzato in altri contesti e non era considerato una soluzione convincente, per via degli interessi contrapposti che vigevano prima del 2006: da una parte l’interesse pubblicistico desiderato dal legislatore, dall’altra l’interesse privatistico perseguito dal trust.
L’avvento della riforma ha cambiato radicalmente il modo di intendere le procedure concorsuali, non più ancorate al solo interesse giuridico del corretto funzionamento della procedura, ma volte al miglior soddisfacimento della massa dei creditori, che ricordiamo essere la categoria che subisce massimamente la falcidia fallimentare.
Trust e procedura fallimentare, anche se in modo indiretto, confluiscono nello stesso scopo privatistico.
Talune dottrine, hanno precisato che l’applicazione del trust alla curatela, è il risultato di un’interpretazione estensiva dell’art. 106 l.f., terzo comma, laddove l’istituto anglosassone viene assimilato all’istituto civilistico del mandato, principalmente perché la norma assicura continuità agli effetti segregativi sul patrimonio del fallito anche dopo la chiusura del concorso.121 Gli stessi autori
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FIMMANÒ F. “Trust e diritto delle imprese in crisi”, in “Il caso: dottrina, opinioni e interventi”, sez. II, doc. n. 210, 2010, pag. 8.
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Tribunale di Prato, sezione fallimentare, 12 luglio 2006; Tribunale di Bologna, 2 marzo 2010; Tribunale Milano, 16 giugno 2009.
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STESURI A.,PORTELLI S. “Il trust. Aspetti civilistici, fiscali e concorsuali”, ed. Sistemi Editoriali, Napoli, 2009, pag. 269.
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sono consapevoli della mancanza di una specifica menzione al trust all’interno dell’ordinamento italiano, ma ritengono non vi sia altro modo di interpretare la norma, tale da considerare escluso un suo ricorso.
Il curatore del fallimento, ha spesso il problema di ottenere il rimborso dei crediti erariali da parte del fisco e, in tale contesto, l’art. 106 l.f. gli consente, subordinato al parere favorevole del comitato dei creditori, di stipulare un contratto di mandato per il recupero dei crediti maturati durante il corso del fallimento, i quali sono però esigibili in tempi che si protraggono oltre la chiusura della procedura. In alternativa, i crediti tributari possono essere ceduti ad un soggetto qualificato.
Gli stessi autori, intravedono nell’interpretazione estensiva del mandato, l’unica via che possa salvaguardare l’utilità pratica della norma.
“Se si accetta l’ipotesi che il mandato rappresenti l’unico modo per riscuotere il credito, che verrà utilizzato come risorsa da ripartire tra i creditori aventi diritto, allora il curatore sarebbe vincolato ad adottare particolari ed alternative modalità (il trust) per liquidare quella specifica parte di attivo, a costo di contrastare con i principi riformatori.”122
A questo punto, è lecito chiedersi se, per il curatore, sia indispensabile stipulare un contratto di mandato con un professionista.
Nella pratica, il curatore della società fallita si ritrova spesso di fronte al problema del recupero crediti.
I crediti erariali, possono riguardare valori maturati nell’epoca che precede la dichiarazione di fallimento o sorgere dopo l’apertura della procedura. In sostanza, entrambi i casi rappresentano una risorsa da ripartire tra i creditori legittimati a partecipare al concorso, tenendo presente che, ai sensi dell’art. 56 l.f., il credito maturato durante la procedura non può essere compensato con i debiti anteriori al giorno in cui interviene la sentenza, a causa della diversa radice temporale.123
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Cit. TONELLI F. “Il ruolo del trust nella fase successiva la chiusura del fallimento”, in “Professione &
Trust”, n. 11, 2007, pag. 1.
123
La compensazione dei debiti può avvenire solo con i crediti sorti prima della sentenza dichiarativa di fallimento. STESURI A.,PORTELLI S.“Il trust. Aspetti civilistici, fiscali e concorsuali”, ed. Sistemi Editoriali,
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Alcuni di essi, sono esigibili solo alla fine del concorso. Tuttavia, con la conclusione della procedura, decadono tutti gli organi preposti al fallimento, ex art. 120 l.f., compreso il curatore che, nel rispetto del principio di non ultrattività della legge, non è più nella facoltà di riscuotere i crediti erariali e destinarli ai creditori presenti nel piano di riparto.
Questa complicazione è la conseguenza naturale del mancato coordinamento tra le norme tributarie e le norme fallimentari. Il legislatore si è esclusivamente preoccupato di introdurre una disciplina ad hoc che si occupi del trattamento fiscale delle operazioni svolte durante la procedura.
La fattispecie, si rivolge al credito per l’Iva che è stata pagata in eccedenza, al ridosso della conclusione della procedura e “il credito che deriva dalle ritenute d’acconto sugli interessi maturati sui depositi bancari intestati alla procedura fallimentare”.124
Nella dichiarazione finale, per la quale vi è l’onere a carico del curatore di presentarla entro sette mesi dalla conclusione della procedura, il suddetto credito può essere chiesto a rimborso solo per la parte residua che è stata compensata con i debiti fiscali maturati durante il maxi periodo fallimentare.
Infatti, l’art. 183 del T.u.i.r. (d.p.r. 917/86), che fornisce le indicazioni necessarie per determinare in modo corretto il reddito d’impresa, specifica un unico periodo d’imposta che intercorre dalla sentenza dichiarativa di fallimento al decreto di chiusura delle operazioni, qualunque sia la durata. Il reddito “è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell’impresa […], determinato in base a valori fiscalmente riconosciuti”.125
Si rileva che, sono rari i casi in cui il curatore si trovi di fronte ad un reddito imponibile da poter compensare con le ritenute summenzionate, ragion per cui potrà solo attendere la chiusura del fallimento per ottenerne il rimborso. Tuttavia, se queste somme non possono essere ripartite durante la procedura, entreranno nella disponibilità dell’imprenditore nel momento in cui ritorna in bonis. Tali crediti, di conseguenza, possono essere aggrediti anche dai creditori estranei al
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Cit. MAURO M. “Imposizione fiscale e fallimento”, ed. Giappichelli, Torino, 2011, pp. 140. 125
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fallimento, a discapito dei creditori concorsuali, in evidente contrasto con i principi sanciti dall’art. 52 l.f. (concorso dei creditori).126
Sia i creditori concorrenti che i soggetti che non hanno partecipato al concorso, se non sono a conoscenza del credito d’imposta riscosso dall’imprenditore in bonis, perdono la possibilità di avanzare delle pretese su queste somme. Il debitore, è tenuto a distribuire quanto ottenuto dal rimborso nei soli confronti di coloro che, invece, hanno provveduto a richiedere le somme dovute, con palese danno degl’altri.
Tra i partecipanti al concorso, figura spesso l’amministrazione finanziaria, la quale, essendo titolare di un credito non interamente soddisfatto, una volta conclusa la procedura, ha la facoltà di compensare i propri debiti con i relativi crediti, privando la massa di una risorsa a loro “appartenente”.127 In questo contesto, si viola apertamente il principio della parità di trattamento.
La stessa condizione, come menzionato poc’anzi, si presenta di fronte al recupero del credito Iva, maturato durante la procedura fallimentare, che potrà essere rimborsato solo mediante la presentazione della dichiarazione Iva, di competenza dell’anno di chiusura del fallimento.
Le situazioni descritte, possono essere definite solo in un momento successivo alla conclusione della procedura, quando, però, ai sensi dell’art. 120 l.f., gli organi preposti al fallimento sono già decaduti dai loro incarichi. Di conseguenza, si giunge ad una sorta di ultrattività degli effetti del fallimento, in virtù degli obblighi che permangono in capo al curatore.
Le imposizioni della norma tributaria, circa l’obbligo a carico del curatore, dopo la conclusione della procedura, di presentare la dichiarazione dei redditi, di pagare le imposte e di richiedere il rimborso dei crediti, coinvolgono la sfera patrimoniale del fallito. Nonostante ciò, gli è concesso disporre delle risorse per pagare le imposte, ma non gli è concesso disporre delle risorse rientrate nella disponibilità dell’imprenditore in bonis per distribuirle tra i creditori aventi diritto.128
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MAURO M. “Imposizione fiscale e fallimento”, ed. Giappichelli, Torino, 2011, pp. 141. 127
STESURI A.,PORTELLI S. “Il trust. Aspetti civilistici, fiscali e concorsuali”, ed. Sistemi Editoriali, Napoli, 2009, pag. 263.
128 Ibidem.
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