CAPITOLO IV: L’APPLICAZIONE DEL TRUST NELLE PROCEDURE CONCORSUAL
4.1 Il trust nei piani attestati per la risoluzione della crisi d’impresa
I piani attestati, sono stati introdotti nell’art. 67 l.f., comma 3, lettera d), per effetto della novella che tra il 2006 e il 2007 ha riformato il diritto fallimentare.
Il legislatore si è preoccupato di fornire all’imprenditore, che versa temporaneamente in uno stato di difficoltà finanziaria, degli strumenti che possano aiutarlo a superare questa sua situazione di crisi. Tra questi troviamo: gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis), il concordato preventivo (artt. 160 e seguenti l.f.), i piani attestati.
Il piano attestato, è un piano stragiudiziale per la risoluzione della crisi d’impresa, che rappresenta la massima espressione dell’interesse privatistico, ammessa dal legislatore della riforma.162
Si tratta di un atto unilaterale, che viene generalmente presentato dal debitore, consistente in un progetto che individua le modalità per risanare l’esposizione debitoria dell’impresa.
La norma vuole che l’atto sia accompagnato dalla relazione di un soggetto qualificato, che abbia gli stessi requisiti professionali di cui è dotato il curatore fallimentare (art. 28 l.f.). Egli, è chiamato ad attestare la veridicità dei dati e la
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ABATE F. (Presidente del Tribunale Civile e Penale di Verona) “Il trust nel nuovo diritto fallimentare”, ad opera di A.di.g.e. – Associazione per la Diffusione della Giurisprudenza Economica “Rivista di
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fattibilità del piano (art. 2501-bis c.c., quarto comma, in tema di ragionevolezza del progetto di fusione tra società), ovvero se le risorse a disposizione del debitore sono sufficienti a risanare l’impresa.
I creditori che accolgono la proposta di regolazione dell’esposizione debitoria da parte dell’imprenditore, sono tenuti a rispettare una sorta di pactum de non petendo. Si tratta di una convenzione mediante la quale, i creditori, a fronte del coinvolgimento nel piano proposto, accettano un pagamento inferiore rispetto al valore del credito maturato e si ripromettono di non promuovere azioni cautelative. Inoltre, i pagamenti ricevuti, beneficiano dell’esenzione da revocatoria dinnanzi ad una eventuale dichiarazione di fallimento.
In mancanza di una norma che disciplini il contenuto dei piani attestati, il pactum di cui supra, rientra tra le convenzioni stragiudiziali, le quali si ripropongono di dettare le linee guida per un uso corretto dello strumento. In modo più specifico, subentrano a tutela dell’imprenditore e sono utilizzate come strumenti per affrontare e superare la situazione in cui versa l’impresa.163
L’unica norma a menzionare espressamente i piani attestati è l’art. 67 l.f., terzo comma, che comprende l’istituto all’interno del c.d. ombrello giudiziario. Si tratta di un elenco di operazioni, che godono dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare, quasi come fosse un ombrello a protezione del rischio che, determinati tipi di atti e pagamenti (e garanzie), intervenuti nel corso di una procedura alternativa al fallimento, siano revocati.
Al momento della conversione della procedura in fallimento, l’ombrello giudiziario garantisce tutti i soggetti che hanno fatto affidamento al corretto funzionamento della procedura. In mancanza di questa previsione, nessuno sarebbe interessato a contrarre crediti, o debiti, nell’ambito di un piano attestato, se poi, gli eventuali pagamenti ricevuti dal debitore, fossero soggetti a revocatoria perché rientranti nel periodo “sospetto” indicato dalla norma.
La legge fallimentare, nomina i piani attesti solamente nel novero delle esenzioni da revocatoria fallimentare, ex art. 67 l.f.. Di conseguenza, è difficile
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CATARCI F. “Trust autodichiarato e garanzia dei creditori”, in “Giurisprudenza di merito”, n. 3, 2008, pp. 724-725.
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stabilire, ancorché oggetto di dibattito, se la garanzia offerta dall’art. 67 l.f., si estenda anche con riferimento alla revocatoria ordinaria.
Tuttavia, per poter ragionare in termini di azione revocatoria da opporre al curatore, è necessario che, in principio, il piano stragiudiziale sia stato convertito in procedura fallimentare, a causa del mancato tentativo impartito dal debitore di ripagare tutti i suoi debiti.
L’assenza di controlli ufficiosi e la mancanza di efficaci strumenti di informazione, con l’eccezione della relazione del professionista, rendono possibili delle collusioni tra debitore e i creditori che beneficiano del piano attestato, in danno ai creditori, che non sono a conoscenza dell’intervenuto accordo. Pertanto, nell’ipotesi di fallimento, questi creditori godono delle esenzioni da revocatoria previste dal legislatore della riforma, anche se, tale effetto, è valido solo per i soggetti e per i pagamenti espressamente individuati nel piano.
Nonostante l’uso fraudolento che può verificarsi, il piano serve, in particolar modo, a consentire di rilanciare nel mercato l’imprenditore per mezzo di finanziamenti, senza correre il rischio di imbattersi nell’azione revocatoria qualora il piano non andasse a buon fine. In mancanza di quei soggetti che ancora credono nel progetto societario e continuano ad investire nell’impresa, quest’ultima sarebbe inevitabilmente spinta verso il baratro del fallimento.164
L’applicazione del trust nell’ambito dei piani attestati, come mezzo per ripianare i debiti societari, vincola il professionista, chiamato ad attestare la sua validità, a verificare anche la ragionevolezza delle disposizioni contenute nell’atto istitutivo.
L’imprenditore, conferisce nel fondo i beni che, una volta ottenuta la liquidità derivante dalla loro cessione, sono necessari per soddisfare una parte di creditori specificamente individuati.
Il debitore è consapevole che le disposizioni novellate non richiamano espressamente l’istituto anglosassone. Tuttavia, la liceità del trust non è in discussione, poiché in linea con i suggerimenti forniti dal legislatore, il quale si preoccupa di scongiurare il fallimento, anche mediante forme alternative per la risoluzione della crisi d’impresa.
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Si potrebbe obiettare sulle modalità di trattamento dei creditori. In virtù del principio della parità di trattamento, sembra scorretto veicolare le somme derivanti dalla liquidazione dei beni conferiti nel trust fund, solo ad alcuni creditori a discapito di altri.
In realtà, soprattutto negli ultimi anni, il principio della par condicio si è costantemente affievolito, a seguito delle numerose deroghe apportate dal legislatore all’art. 2741 c.c.. Ciò, è testimoniato soprattutto dalle procedure stragiudiziali per la risoluzione della crisi d’impresa, a causa della mancanza di controlli da parte delle autorità giuridiche (accordi di ristrutturazioni dei debiti e piani attestati), indipendentemente dall’applicazione del trust. Tuttavia, è una circostanza che si verifica anche nel concordato preventivo e fallimentare, laddove il proponente presenta una differenza di trattamento nei confronti dei creditori appartenenti a classi diverse.
L’unica forma di tutela nei confronti dei creditori che sospettano comportamenti collusivi da parte dell’imprenditore, è la repentina presentazione dell’istanza di fallimento per evitare che, in caso di conversione della procedura, “i pagamenti preferenziali” rientrino tra le operazioni esenti da revocatoria.
Pertanto, molto dipende dal modo con cui l’imprenditore si serve degli strumenti forniti dall’ordinamento giuridico.
Per quanto concerne l’operatività dei piani attestati, il punto focale riguarda l’interpretazione dell’art. 67, comma 3. Ci si chiede se gli atti dispositivi del trust, rientrino nel campo applicativo dell’ombrello giudiziario.
L’imprenditore che intende ricorrere strategicamente al trust, sfrutta a proprio favore, le continue deroghe al principio della par condicio creditorum. Egli, è interessato a destinare i beni conferiti nel fondo, in favore di quei creditori che rappresentano una prospettiva per il proprio rilancio all’interno del mercato. Il concretizzarsi della situazione testé descritta, consente al debitore, seppur in un momento successivo, di ottenere la liquidità necessaria a pagare interamente anche i creditori che non sono stati compresi tra i beneficiari del trust.
Tuttavia, alcune interpretazioni fornite dai giudici, non si soffermano sulla questione concernente l’opponibilità alla procedura fallimentare, quanto sulla nullità dell’atto (art. 13 de La Convenzione de L’Aja). Il Tribunale di Milano,
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decreto 16 giugno 2009, ha dichiarato la nullità del trust per violazione della parità di trattamento tra i creditori, ritenuto ancora un principio imperativo e inderogabile di ordine pubblico.165
E’ un’interpretazione che chiaramente fa discutere, in particolar modo per le motivazioni con cui le Corti sono giunte alle conclusioni, tralasciando le numerose deroghe di cui si sostanzia la par condicio che, allo stato attuale, non può più considerarsi un principio inderogabile.