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Segue: il recupero dei crediti tributari maturati durante la procedura fallimentare

Nel documento Il trust e le procedure concorsuali (pagine 102-107)

CAPITOLO III: IL TRUST E IL FALLIMENTO 3.1 Premessa – 3.2 Cenni sul nuovo diritto concorsuale – 3.3 Il binomio trust-procedure

3.4 L’applicazione del trust nel fallimento

3.4.2 Segue: il recupero dei crediti tributari maturati durante la procedura fallimentare

Stando a quanto detto nel paragrafo precedente, risulta dunque, opportuno ricercare un’alternativa che permetta di incassare le risorse maturate durante la procedura, per destinarle successivamente ai creditori aventi diritto, secondo le modalità anticipate nel piano di riparto finale. Gli istituti della cessione del credito o del contratto di mandato, introdotti dal d.lgs. 5/2006, possono rappresentare una valida soluzione.

In modo più efficiente, può essere perseguita questa strada: il giudice delegato dal tribunale a seguire il fallimento, con un provvedimento autorizza il curatore a costituire un trust con funzioni liquidatorie. Affinché si possa ricorrere a tale strumento, è opportuno che il curatore lo ricomprenda tra le attività descritte nel programma di liquidazione, ex art. 104-ter, il quale va presentato nei 60 giorni successivi alla redazione dell’inventario.129

Le prime applicazioni del trust in materia concorsuale erano, infatti, finalizzate alla riscossione dei crediti tributari maturati durante il fallimento, ma concretamente esigibili dopo la chiusura, ponendo come beneficiari i creditori ammessi al concorso.130

Fino ad ora, la giurisprudenza non si è mai opposta al riconoscimento del trust a servizio di una procedura fallimentare e negl’ultimi anni è accresciuta esponenzialmente l’applicazione dello strumento inglese in questo senso. In particolar modo, si decide per conferire nel fondo i crediti sia di natura fiscale sia di natura commerciale, che sono più facili da riscuotere (o esigibili) dopo la chiusura della procedura.131

Il Tribunale di Roma nel 2003, è stato il primo a optare per l’impiego del trust finalizzato alla riscossione dei crediti.

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STESURI A.,PORTELLI S.“Il trust. Aspetti civilistici, fiscali e concorsuali”, ed. Sistemi Editoriali, Napoli, 2009, pag. 269.

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Tribunale di Roma, decreto 4 aprile 2003. 131

Tribunale di Roma, decreto 4 aprile 2003; Tribunale di Roma, decreto 9 novembre 2006. La stessa Corte, ha affidato al prof. Lupoi la redazione di alcuni passaggi del trust, costituito all’interno di una procedura fallimentare.

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Il giudice delegato, con decreto 4 marzo 2003, ha incaricato il curatore fallimentare di cedere in un trust, i crediti tributari che sarebbero maturati durante la procedura, di fatto esigibili solo al termine della stessa. La formalizzazione dell’atto di trust è necessariamente avvenuta prima della conclusione delle operazioni fallimentari.

In sede di costituzione, il curatore, nelle vesti di disponente, ha conferito i crediti tributari maturati durante la procedura, ad alcuni trustees qualificati, ai quali affidarne la riscossione e, contestualmente, ha nominato come beneficiari, i creditori elencati nel piano di riparto finale.

Lo spirito di liberalità con cui avviene la cessione dei crediti nel fondo, consente al curatore di non fornire un’idonea garanzia al credito (art. 1266 c.c.), salvo i casi previsti dalla legge per evizione e consente alla curatela di evitare di sostenere ulteriori costi.132

La soluzione del trust non era l’unica che poteva essere intrapresa. L’autorità giudiziaria aveva vagliato anche le altre ipotesi suggerite dal legislatore, tra le quali la cessione del credito pro soluto, la riscossione da parte dell’imprenditore tornato in bonis e il contratto di mandato. Tuttavia, nessuna di esse sembrava risolutiva e la via del trust, sotto l’aspetto applicativo, offriva maggiori garanzie per il raggiungimento degli scopi prefissati.133

La scelta con la quale il Tribunale ha incaricato specifici professionisti di svolgere l’attività del trustee, appare la più idonea. Infatti, solo quei soggetti che per professione svolgono questo tipo di attività, possono garantire il conseguimento dello scopo prefissato nell’atto istitutivo.

Sono altri i motivi che hanno indotto l’autorità competente a commissionare le suddette mansioni ad un soggetto diverso dal curatore fallimentare. Talvolta, i Tribunali moderni, per superare le obiezioni che riguardano l’ultrattività degli organi fallimentari, evitano di nominare il curatore sia come trustee, sia come guardiano. In quest’ultimo caso, compete al ceto creditorio la scelta di un soggetto di fiducia al quale affidare tale incarico.

132 L’istituto dell’evizione rappresenta una garanzia che il cedente offre al cessionario nel caso un terzo soggetto avanzi delle pretese sul bene ceduto e lo sottragga dalla proprietà del cessionario.

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MONTEFAMEGLIO M. “La protezione dei patrimoni. Dagli strumenti tradizionali ai nuovi modelli di

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Le mansioni affidate ai trustees, consentivano la rapida chiusura del fallimento e il soddisfacimento della massa dei creditori secondo l’ordine aggiudicato nel piano di riparto. Il ruolo del guardiano, invece, era stato offerto al curatore, previo consenso del ceto creditorio. In questo modo si garantiva il corretto funzionamento delle operazioni liquidatorie.

Un trust così configurato, consente di ripristinare l’effetto segregativo, che di norma svanisce con la chiusura del fallimento, con riferimento a quelle attività che durante il concorso non è stato possibile monetizzare, riservandone la destinazione ai creditori non interamente soddisfatti dalle precedenti ripartizioni.

Nonostante, la contrarietà di parte della dottrina, il contenuto del provvedimento del giudice delegato è stato regolarmente ratificato dal Tribunale Fallimentare riunito collegialmente, con decreto 11 marzo 2004. L’ordinanza richiedeva che l’atto di trust dovesse assumere la forma dell’atto pubblico, affinché potesse essere opposto ai terzi.

L’atto, inoltre, prevedeva che il curatore (contemporaneamente disponente e guardiano del trust), comunicasse il vincolo di destinazione al debitore ceduto e verificasse che le somme riscosse dai trustees fossero regolarmente depositate in un conto corrente bancario appositamente acceso. Infine, i creditori concorrenti, nel ruolo di beneficiari, affiancavano il curatore nell’attività di controllo del corretto funzionamento del trust.134

In seguito, la giurisprudenza del Tribunale di Roma, è stata oggetto di ispirazione da parte di altre autorità competenti, tra tutte:

- Tribunale di Saluzzo, 9 novembre 2006: il decreto del giudice delegato ha espressamente permesso al curatore di conferire, nel fondo del trust, le attività ritenute marginali ai fini della procedura, per via della oggettiva complessità realizzativa;

- Tribunale Fallimentare di Roma, decreto 11 marzo 2009: il contenuto richiama testualmente il provvedimento del tribunale di Saluzzo e

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BONFATTI S. “La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali. Atti”, ed. Giuffrè, Milano, 2011, pp. 293 e seguenti.

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prevede l’istituzione di un trust finalizzato al recupero dei crediti, solo al termine delle operazioni fallimentari;135

- Tribunale di Parma, decreto 3 marzo 2005: ha omologato la proposta di concordato preventivo “misto”, mediante l’istituzione di un trust al quale conferire tutti i beni della società. Il tribunale ha provveduto ad affidare al commissario giudiziale il ruolo di trustee.

Nell’atto istitutivo è stata inserita una clausola con la quale l’imprenditore/debitore, come forma di tutela nei confronti dei creditori aderenti, offriva i propri beni personali nell’ipotesi in cui, il valore realizzato dalla cessione dei beni aziendali, non avesse garantito la percentuale minima di pagamento prevista dalla legge.136

I numerosi contesti in cui la giurisprudenza ormai consolidata si è servita del trust, non sono sufficienti a convincere quella parte di dottrina che continua a rifiutare l’abbinamento trust-concorsualità. I motivi, come spiegato nel corso del paragrafo, sono legati alla mancanza di necessità e di opportunità nel ricorrere allo strumento inglese. Inoltre, tali autori sollevano la questione di incompatibilità del trust con la fase liquidatoria del fallimento. In sostanza, l’applicazione del trust non permetterebbe al trustee di risolvere le controversie che possono sorgere durante l’accertamento dello stato passivo o in sede di riparto.137

In realtà, si tratta di un problema che non ha ragione di esistere: l’istituzione di un trust non solleva gli organi preposti al fallimento dai loro incarichi, tanto meno si assiste ad un trasferimento di poteri da un soggetto ad un altro, come ad esempio il ruolo di curatore improvvisamente svolto dal trustee. Un contesto simile implicherebbe la nullità del trust, ai sensi dell’art. 18 della Convenzione. Anche se il medesimo curatore fosse incaricato dal Tribunale a ricoprire l’ufficio di trustee, si tratterebbe di un’attività che non condiziona il ruolo pubblico per il quale è stato chiamato a svolgere.

135

MONTEFAMEGLIO M. “La protezione dei patrimoni. Dagli strumenti tradizionali ai nuovi modelli di

segregazione patrimoniale”, ed. Maggioli, Rimini, 2010, pag. 171.

136

LO CASCIO G. “Proposta di concordato preventivo mediante trust”, in “Il fallimento”, n. 3, 2009, pag. 587.

137

BONFATTI S. “La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali. Atti”, ed. Giuffrè, Milano, 2011, pp. 293.

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Il trust deve essere concepito come uno strumento accessorio che non potrà mai interferire con il regolare funzionamento della procedura.

Il Tribunale di Roma, in modo molto chiaro, ha individuato una configurazione di trust che si adatta perfettamente all’approccio privatistico sollecitato dal riformatore, finalizzata a garantire il miglior soddisfacimento del ceto creditorio.

Se la causa del trust non si dimostrasse meritevole, l’atto istitutivo non riceverebbe nemmeno il consenso dell’autorità giudiziaria, chiamata a verificarne la legittimità.

Infine, ricordiamo che in base alle indagini fornite da autorevoli studiosi della materia, si dimostra che, lo strumento inglese, consente di realizzare risultati più vantaggiosi rispetto agli altri istituti disciplinati dal legislatore, come ad esempio la cessione del credito ai terzi.

Nei fallimenti, è prassi procedere con la cessione, in capo a soggetti specializzati (agenzie per la riscossione, istituti di credito), dei crediti difficilmente riscuotibili durante la procedura. Affinché l’atto di cessione del credito d’imposta, possa ritenersi perfezionato correttamente, è necessario, innanzitutto, che sia redatto per atto pubblico. In seconda istanza, il curatore è obbligato a rispettare le condizioni descritte nell’art. 43-bis d.p.r. 602/73. Per quanto concerne il credito Iva, invece, il riferimento è l’art. 5, comma 4-ter, legge 154/1988. Il mancato rispetto delle prescrizioni ut supra, rende la cessione inefficace nei confronti dell’amministrazione finanziaria.138

La cessione del credito, ha uno svantaggio: consente un realizzo non superiore al 20-30% dell’importo facciale dei crediti, a fronte dei rischi accollati dall’intermediario finanziario.

Il trust, invece, evita un’eccessiva decurtazione del credito perché consente di liquidare una somma pari al valore nominale del credito e, per non ledere i diritti della massa dei creditori, quest’ultimi sono designati come beneficiari finali del trust.139

138

MAURO M. “Imposizione fiscale e fallimento”, ed. Giappichelli, Torino, 2011, pp. 146-147. 139

ZANCHI D.“Diritto e pratica dei trusts. Profili civilistici”, ed. Giappichelli, Torino, 2008, pag. 238; CECCHELLA C.“Trust e fallimento”, 2010.

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3.4.3 Segue: Il caso del trust post fallimentare affrontato

Nel documento Il trust e le procedure concorsuali (pagine 102-107)