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La residenza del trust

Nel documento Il trust e le procedure concorsuali (pagine 156-159)

CAPITOLO V: PROFILI FISCAL

5.3 La residenza del trust

Il concetto di residenza fiscale, è legato alla questione relativa alla corretta imputazione dei redditi prodotti dal trust.

L’art. 23 del Testo Unico, ci spiega che il trust residente dovrà dichiarare tutti i redditi, ovunque prodotti (world wide principle). Al contrario, un trust che non è strettamente collegato con il territorio dello Stato, è tenuto a dichiarare i soli redditi prodotti in Italia, in modo analogo alle società.

In linea generale, per determinare la residenza, si devono osservare i criteri generali descritti nell’art. 73, terzo comma, del Tuir. Si richiede che, per ritenere il trust residente in Italia, almeno uno tra la sede legale, la sede amministrativa, l’oggetto principale del trust, siano ubicati nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta (più di 180 giorni nell’anno solare).

In relazione al primo criterio, laddove il trust ha per oggetto un’attività commerciale, la presenza di una sede legale appare piuttosto scontata. Al contrario, se il trust non si avvale di una stabile organizzazione, tale criterio andrebbe scartato ancorché non rilevante.

Purtroppo, né il legislatore della legge finanziaria 2007, tantomeno la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 48/E del 2007, nel fissare i criteri di collegamento con il territorio dello Stato, fanno riferimento alla “sede legale”. Secondo l’interpretazione fornita da uno studio effettuato dalla Direzione Regionale dell’Emilia Romagna, non potendovi applicare il criterio della sede legale, vi segue la valutazione della sede amministrativa e dell’oggetto principale. La Circolare, alla stregua di quanto enunciato dal suddetto gruppo di lavoro, cerca comunque di fare chiarezza, fornendo un criterio “residuale” che si focalizza sul domicilio fiscale del trustee. Precisamente, afferma che “risulterà utile per i trust che si avvalgono, nel perseguire il loro scopo, di un’apposita struttura organizzativa […]. In mancanza, la sede amministrativa tenderà a coincidere con il domicilio fiscale del trustee”.

Nonostante il testo della Circolare, dal punto di vista letterale, sia molto chiaro, parte della dottrina non ha condiviso l’interpretazione fornita dall’amministrazione finanziaria, osservando che il domicilio fiscale del trustee

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non necessariamente è legato al luogo dal quale derivano le direttive, per cui il criterio “residuale” risulterebbe fuorviante.222

Il secondo punto, concernente il criterio dell’oggetto principale, solleva alcuni dubbi quando i beni conferiti sono collocati in diversi Stati. Il gruppo di studio emiliano, suggerisce di fissare la residenza del trust nello Stato in cui sono svolte le attività di maggior rilievo.

Quando sorgono delle perplessità nel definire la corretta residenza del trust, dottrina e amministrazione finanziaria consigliano di ricorrere ai principi generali, dettati dalle Convenzioni Internazionali, contro le doppie imposizioni (es. Trattato Ocse). Queste, si applicano ai soggetti residenti in uno degli Stati contraenti. Sarà, poi, il contribuente a dover dimostrare l’effettiva residenza del trust. Tuttavia, l’unica Convenzione a comprendere espressamente l’istituto anglosassone, è quella sottoscritta tra il nostro Paese e gli Stati Uniti.223

Si tratta di una soluzione che appare particolarmente utile per contrastare l’istituzione di trusts in quei Paesi che si contraddistinguono per l’adozione di una fiscalità vantaggiosa (black list) e negano lo scambio di informazioni con la nostra amministrazione finanziaria.

In questo senso, l’art. 73, terzo comma, T.u.i.r., introduce due presunzioni legali formulate ad hoc, che attraggono nel nostro Paese la residenza del trust, istituito in un Paese non white list, al fine di ovviare a possibili fenomeni di localizzazione fittizia, tendenti all’ottenimento di indebiti vantaggi:

- disponente e beneficiario fiscalmente residenti in Italia;

- successiva attribuzione di beni da parte di un soggetto residente, nei confronti di un trust istituito in uno Stato non white list.

Quando si verifica almeno una delle due condizioni, il trust è ritenuto fiscalmente residente nel territorio italiano, salvo prova contraria.224

Il testo normativo non menziona solo il trust, ma allarga il campo di applicazione anche ad altri “istituti aventi analogo contenuto”. La circolare n. 48/E del 2007 è intervenuta sul punto, spiegando che si devono comprendere

222

Su tutti, FRANSONI G. “La residenza del trust”, in “Corriere tributario”, n. 32, 2008. 223

VIAL E. “Strumenti di tutela e gestione del patrimonio”, ed. Euroconference, Verona, 2010, pag. 76. 224

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anche quelle fattispecie che, nonostante abbiano un diverso nomen iuris, sono in possesso delle le stesse caratteristiche essenziali tipiche del trust.

Per quanto attiene al primo punto, la Circolare ha opportunamente precisato l’istante in cui rileva la residenza fiscale del trust, all’interno del territorio dello Stato. Non è necessario che la residenza del disponente e del beneficiario si verifichino nel medesimo periodo d’imposta. Quella del disponente si ricava al momento della formalizzazione dell’atto costitutivo ed eventuali cambiamenti di residenza del settlor sono ininfluenti.

Se ci si focalizza sulla figura dei beneficiari, la norma va applicata solo per i trusts in cui essi sono designati espressamente nell’atto dal disponente, tenendo conto che i beneficiari stessi possono comunque essere nominati in un momento successivo. In questi casi, l’amministrazione finanziaria precisa che la residenza fiscale del beneficiario, attrae, nel territorio italiano, la residenza fiscale del trust (a prescindere dal momento dell’effettiva erogazione), anche se questa si verifica in un periodo d’imposta successivo rispetto a quello in cui, il disponente, ha effettuato la designazione.225

Con riferimento al secondo punto, la norma statuisce che il nostro Paese attira la residenza di un trust istituito in uno Stato non white list, quando, dopo la costituzione, un soggetto residente dispone il trasferimento della proprietà o di altri diritti di un bene immobile, in favore del trust. Di conseguenza, tutti i redditi del trust, ovunque prodotti, saranno tassati in Italia secondo il principio del world wide income. La norma trova giustificazione nei confronti dei soli immobili ubicati nel territorio dello Stato.226

In materia di residenza, la Circolare conclude con un cenno all’applicazione, ove compatibili, delle disposizioni del T.u.i.r., che mirano a contrastare i fenomeni di esterovestizione, nei confronti dei trusts per i quali non è possibile applicare la specifica presunzione di residenza, ex art. 73, comma 3, del T.u.i.r..227 Si tratta di una circostanza molto improbabile, stante l’impossibilità del trust di

225

VIAL E. “Strumenti di tutela e gestione del patrimonio”, ed. Euroconference, Verona, 2010, pag. 77. 226

STESURI A.,PORTELLI S. “Il trust. Aspetti civilistici, fiscali e concorsuali”, ed. Sistemi Editoriali, Napoli, 2009, pp. 73 e seguenti.

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Il d.l. 223/2006 disciplina la materia dell’esterovestizione. Si prevede una presunzione relativa di residenza per le società ed enti, che sono controllati da soggetti residenti nel territorio dello Stato, oppure sono amministrate da un c.d.a., o altro organo di gestione, composto prevalentemente da consiglieri residenti in Italia.

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essere controllato da una società e la rarità con cui un trust estero gestisce un trust italiano.228

Nel documento Il trust e le procedure concorsuali (pagine 156-159)