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Segue: Il caso del trust post fallimentare affrontato dal Tribunale di Saluzzo

Nel documento Il trust e le procedure concorsuali (pagine 107-113)

CAPITOLO III: IL TRUST E IL FALLIMENTO 3.1 Premessa – 3.2 Cenni sul nuovo diritto concorsuale – 3.3 Il binomio trust-procedure

3.4 L’applicazione del trust nel fallimento

3.4.3 Segue: Il caso del trust post fallimentare affrontato dal Tribunale di Saluzzo

La fattispecie affrontata dal Tribunale di Saluzzo merita di essere ricordata perché si tratta di uno dei primi casi in cui, il giudice delegato, ha autorizzato il curatore a costituire un trust nell’ambito di una procedura fallimentare, al quale conferire le attività difficilmente smobilizzabili nel corso della procedura. Precisamente, si trattava di crediti di natura fiscale e commerciale non ancora realizzabili, e quote di partecipazione in società che apparivano inattive da molti anni.140

La procedura più diffusamente seguita dagli organi fallimentari, prima dell’intervento del riformatore, era quella di autorizzare la cessione dei crediti erariali a soggetti specializzati (istituti di credito o società finanziarie), prima della chiusura della procedura, nel rispetto delle regole fornite dalla legge. In alternativa, in sede di riparto, si assegnavano i crediti fiscali non riscossi, affidando contestualmente il mandato ad un soggetto specializzato, incaricato di seguire l’incasso e distribuirne il ricavato, tra i creditori concorsuali indicati nel piano di riparto finale.141

Lo scenario presentato, tuttavia, non risolveva gli inconvenienti legati ai costi che la procedura doveva sostenere in adempimento al contratto di mandato e nemmeno il problema della compensazione pretesa dall’Amministrazione finanziaria tra i debiti e crediti reciproci.

In questo contesto, è intervenuto inizialmente il Tribunale di Roma, decreto 4 marzo 2003, con il quale aveva previsto l’impiego del trust finalizzato al recupero dei crediti tributari.

Il Tribunale di Saluzzo, invece, non si è limitato a seguire il percorso intrapreso dalla giurisprudenza romana, ma ha ampliato il campo di applicazione del trust, forte dei cambiamenti intervenuti con la riforma del 2006, improntata sul potenziamento dell’aspetto privatistico del fallimento.

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DEMARCHI ALBENGO P.G. “Il trust postfallimentare e l’apparente chiusura del fallimento”, in

“Giurisprudenza di Merito”, n. 3, 2008, pag. 742.

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DE SANTIS A. “Il recupero dei crediti d’imposta nel fallimento ed il trust”, in “Foro Toscano”, n. 2, 2005, pp. 282 e seguenti.

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Nel provvedimento emanato, il giudice delegato osserva che “il conferimento delle attività fallimentari allo stato esistenti in apposito trust è economicamente più vantaggioso rispetto ad una cessione delle stesse, posto che, contrariamente a quanto avverrebbe in caso di cessione, nessuna garanzia dell’esistenza dei crediti conferiti risulta dovuta dal fallimento cedente [...]. Si rileva, infine, che il regime di segregazione dei beni conferiti rispetto al restante patrimonio del trustee, elimina in radice qualsiasi rischio che essi possano essere distratti per il soddisfacimento delle ragioni di eventuali creditori di quest’ultimo.”.142

Il trust, era configurato in modo che il trustee fosse un terzo soggetto e designava come beneficiari, tutti i creditori non ancora soddisfatti integralmente (con le modalità di pagamento previste dal piano di riparto). Infine, l’ufficio di guardiano, era affidato al curatore, che, a sua volta, ricopriva anche il ruolo di disponente del trust.

Nel caso in esame, la società era stata dichiarata fallita nel 1994, molto prima dell’intervento riformatore avvenuto tra il 2006 e il 2007.

In modo diligente, il curatore aveva svolto l’incarico affidato dal tribunale, occupandosi della cessione dei beni aziendali, dell’incasso dei crediti e dell’esperimento di azioni revocatorie al fine di riottenere le somme e i beni fuoriusciti illegittimamente in prossimità del fallimento.

In seguito alla ripartizione finale dell’attivo, ex art. 117 l.f., in capo alla procedura rimanevano alcuni crediti nei confronti dell’erario, per un importo definibile solo dopo aver presentato la dichiarazione dei redditi di fine procedura, ex art. 183 del T.u.i.r..

La ragione per cui il giudice delegato ha deciso di intraprendere la via del trust, si fonda sulla mancanza di ragionevoli motivi che spingono la procedura a proseguire. Pertanto, la sua continuazione non avrebbe fatto altro che aggravare i costi a carico del ceto creditorio.

L’alternativa era quella di decretare la chiusura del fallimento dopo aver conseguito l’ultima ripartizione, ai sensi dell’art. 118 l.f., punto tre, concedendo ai

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creditori concorsuali la facoltà di agire individualmente sulle attività a disposizione dell’imprenditore in bonis.

Il trust istituito dal curatore, assume la forma del trust c.d. interno, in ordine alla collocazione nel territorio italiano di tutte le attività conferite nel fondo. L’unico elemento di estraneità è rappresentato dalla legge regolatrice, che nel caso di specie si tratta della “Trust Jersey Law”, alla quale si ricorre spesso in materia concorsuale.143

Più volte, alcuni autori auspicavano degli interventi da parte dell’autorità giudiziaria, che potessero individuare nel trust la soluzione ideale per risolvere la fase di stallo che emergeva in prossimità della chiusura del fallimento, a causa dell’impossibilità di riscuotere i crediti di natura commerciale e tributaria in tempo utile.144

Il ricorso al trust, sembra rispondere alla legittimità delle pretese dei creditori partecipanti al concorso.

Innanzitutto, ai sensi di quanto dispone la Convenzione de L’Aja, la segregazione patrimoniale evita che i beni trasferiti nel trust possano, in alcun modo, essere aggrediti da eventuali creditori personali del disponente o del trustee. Un effetto che, al contrario, non si verifica se si adotta la soluzione del mandato, dal momento che l’istituto non garantisce alcuna segregazione.145 Al contempo, il vincolo di destinazione, ex art. 2645-ter c.c., consente di comunicare al debitore ceduto l’avvenuta costituzione dell’atto.

Inoltre, i creditori sono certi di essere i destinatari delle somme che pervengono al trust, beneficiando dell’ordine in cui sono stati inseriti nel piano di riparto definito dal curatore fallimentare, senza preoccuparsi di dover intraprendere individualmente un’azione di rivendica.

Parte della dottrina non critica tanto l’originalità con cui il Tribunale piemontese è pervenuto alla decisione di conferire i crediti tributari nel fondo del trust, ma si rivolge alla decisione di comprendere nel fondo anche altri tipi di attività, quali: crediti commerciali contestati o prescritti oppure vantati nei

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Tribunale di Bologna, 1 ottobre 2003; Tribunale di Bologna, 30 settembre 2003; Tribunale di Bologna, 16 giugno 2003, Tribunale di Verona, 8 gennaio 2003; Tribunale di Parma, 21 ottobre 2003; Tribunale di Parma, 3 marzo 2005.

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LUPOI M. “L’atto istitutivo di Trust”, ed. Giuffré, Milano, 2005, pag. 595. 145

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confronti di clienti falliti, e partecipazioni al capitale sociale di società che risultano essere inattive.

Il coinvolgimento di ulteriori attività, aumenta la criticità della posizione assunta dal Tribunale, in corrispondenza dell’elevata probabilità che sorgano delle controversie, la cui risoluzione non può essere affidata al trustee. La chiusura del fallimento solleva dal proprio incarico tutti gli organi preposti alla procedura, compreso il curatore, il quale sarebbe competente a dirimere i conflitti sorti in sede di accoglimento delle domande di insinuazione o in sede di riparto.

“Il problema dell’ultrattività degli organi preposti alla procedura, rappresenta la maggiore difficoltà al riconoscimento delle legittimità del conferimento dei beni residui nel fondo”.146 E’ una fattispecie che si focalizza sull’interpretazione dell’art. 120 l.f., nel quale sono descritte le circostanze in cui è possibile ricorrere all’ausilio degli organi fallimentari, anche dopo la chiusura del fallimento. L’interpretazione letterale, non consente di riconoscere ulteriori fattispecie oltre quelle previste dalla norma. Se si opta, invece, per un’interpretazione estensiva della norma, allora si deve accettare in toto il provvedimento emanato dal giudice delegato.

L’obiezione persiste anche con riferimento ai limiti imposti alle ragioni creditorie di coloro che non hanno partecipato alla procedura. Il trust prevede che le somme riscosse dal trustee, siano destinate ai soli creditori concorrenti secondo le modalità di trattamento indicate nel piano di riparto finale, escludendo di fatto tutti gli altri soggetti aventi diritto.

Il Tribunale di Saluzzo giustifica questa deroga al principio della parità di trattamento, ponendo l’accento sulle oggettive difficoltà di ottenere benefici apprezzabili in relazione ai beni residuali conferiti nel fondo. Per quanto concernono i crediti di natura tributaria, si escludono violazioni in questo senso, poiché si tratta di crediti sorti durante la procedura fallimentare.

La segregazione che caratterizza il trust, permette al trustee di incassare le somme e di destinarle ai creditori concorrenti, non integralmente soddisfatti dai riparti precedenti, senza correre il rischio che l’amministrazione finanziaria possa

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ponderare la possibilità di compensarli con quelli rimasti insoddisfatti in sede di riparto.147

Non si ritiene giuridicamente corretto, evocare l’illegittimità del trust fondata sulla sola violazione della par condicio creditorum. Per quanto concerne il conferimento dei crediti di natura tributaria, innanzitutto il trust consente al curatore di evitare la cessione ad un istituto incaricato alla riscossione o procedere con eventuali attività di cartolarizzazione dei titoli. Inoltre, il ricavato che ne deriva, è comunque distribuito tra i creditori concorrenti risultanti dal piano di riparto, esattamente come è stabilito dall’atto che istituisce il trust, con la differenza che i creditori non subiscono alcuna decurtazione del credito altrimenti temuta mediante la cessione ad un terzo.148

Un altro dubbio emerso in sede di dibattito, da parte della dottrina contraria all’ammissibilità del trust fallimentare, riguarda l’apparente chiusura del fallimento.

L’art. 118 l.f. descrive gli eventi che conducono alla chiusura del fallimento. Tralasciando i punti 1, 2 e 4, la fattispecie di cui si è occupato il tribunale piemontese riguarda il punto 3, laddove è stabilito che si giunge alla chiusura del fallimento “quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo”. Tuttavia, la presenza di crediti e di altre attività residuali, oggetto di conferimento nel fondo del trust non ancora smobilizzate, apparentemente ostacola la normale chiusura della procedura. Gli autori continuano, sostenendo che la ripartizione finale implica l’effettiva distribuzione di tutte le attività ai creditori. Non si tratta, quindi, della “redazione di un progetto di ripartizione”, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 115 l.f. (pagamento delle somme assegnate ai creditori) e 116 l.f. (rendiconto del curatore).149

Il Tribunale di Saluzzo e le dottrine che invece accettano l’applicazione del trust in questo senso, ribadiscono che una tale forzatura della norma fallimentare, trova giustificazione nella volontà di perseguire l’interesse precipuo della massa dei creditori. Procrastinare le attività fallimentari in modo infruttuoso, si traduce

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Corte di Cassazione, 16 novembre 1999, n. 775. 148

IOZZO F. “Note in tema di trust e fallimento”, in “Giurisprudenza commerciale”, n. 1, 2008, pp. 207-208. 149

DEMARCHI ALBENGO P.G. “Il trust postfallimentare e l’apparente chiusura del fallimento”, in

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in un aumento dei costi a carico dei creditori, i quali dovrebbero essere pagati in prededuzione. Tale aumento, inoltre, non è controbilanciato dai benefici che ne possono derivare e contrasta con lo scopo privatistico della procedura.

Infine, il Tribunale piemontese osserva che il conferimento ad oggetto, non rientra né nell’istituto della donazione in mancanza di animus donandi da parte del settlor nei confronti del trustee, né tantomeno nelle cessioni a titolo oneroso, non essendovi un qualsiasi pagamento per effetto della cessione dei crediti. Ciò detto, il ricorso al trust permette di realizzare dei vantaggi anche dal punto di vista fiscale.

Analizzando i costi, vediamo che quelli di costituzione sono calcolati in misura fissa con riferimento all’imposta di registro, che si sconta al momento del trasferimento della proprietà di beni e diritti al trustee, ai sensi dell’art. 11, parte prima, allegato al d.p.r. 131/86. Le somme destinate ai beneficiari, invece, sono sottoposte ad una tassazione separata nella misura dell’8% del valore dei beni ceduti, ai sensi dell’art. 6 della legge 3 ottobre 2006, n. 262 (“donazioni o altri atti a titolo gratuito”).

Tra le fattispecie che sono sottoposte alla nuova imposizione, certamente non rientra la cessione di crediti.

Come si è visto, la decisione da parte del giudice delegato, di autorizzare il curatore a costituire un trust al quale conferire le attività che residuavano dalla procedura, ha manifestato lo scatenarsi di numerosi dibattiti a livello dottrinale. Senza dubbio, ogni fattispecie costituisce un caso diverso e deve essere analizzata in modo dettagliato prima di assumere decisioni che escono dai soliti schemi imposti dall’ordinamento interno.

E’ proprio sull’accentuata privatizzazione della crisi d’impresa e il depotenziamento degli interessi pubblicisti a seguito della riforma, che è più agevole ricorrere anche a strumenti non del tutto familiari, come lo è il trust, in grado di migliorare le aspettative della massa dei creditori partecipanti al concorso fallimentare.

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