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L’impatto della Convenzione de L’Aja sulla giurisprudenza italiana

Nel documento Il trust e le procedure concorsuali (pagine 32-38)

1.5 Il dibattito giurisprudenziale

1.5.1 L’impatto della Convenzione de L’Aja sulla giurisprudenza italiana

L’emanazione della legge di ratifica della Convenzione, ha intensificato, dal punto di vista civilistico, i dibattiti a livello dottrinale.

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Testo della sentenza in “Foro Italiano”, 1956, I, 1019. 41

MONTEFAMEGLIO M. “La protezione dei patrimoni. Dagli strumenti tradizionali ai nuovi modelli di

segregazione patrimoniale”, ed. Maggioli, Rimini, 2010, pp. 124-125; DE GUGLIELMI BARLA E. “Trust:

opinioni a confronto: atti dei congressi dell’Associazione “Il Trust in Italia””, ed. Wolters Kluwer Italia,

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Una corrente di pensiero opposta all’istituzione del trust, non dibatteva tanto sulla legittimità dello strumento, ormai accettata, ma contestava gli effetti che l’atto produceva.

Al contrario, un’altra corrente di pensiero, non solo optava per l’ammissibilità dei trust c.d. interni, ma auspicava che i beni conferiti nel fondo (beni immobili e beni mobili registrabili) potessero essere regolarmente trascritti nei pubblici registri, ai sensi degli articoli 2644 e seguenti del codice civile, con l’indicazione del relativo vincolo.

Il primo aspetto per cui i sostenitori del no-trust ritenevano l’atto costitutivo illegittimo, è rappresentato dalla presunta violazione del numerus clausus (paragrafo 1.5). Tale principio, da sempre vigente nel nostro ordinamento, impone l’unicità del diritto in relazione ad un bene, per cui non si possono configurare ipotesi di limitazione del diritto di proprietà. Di conseguenza, non permette lo sdoppiamento della titolarità dei diritti in capo a più persone, a differenza del diritto inglese, il quale distingue espressamente tra proprietà legale e proprietà sostanziale.

La dottrina opponente, parte dal presupposto che il trust, essendo un istituto di derivazione anglosassone, è tenuto a rispettare la disciplina inglese, in cui è previsto lo sdoppiamento del diritto di proprietà.

Il legislatore della Convenzione, al corrente dell’impossibilità, per i Paesi di civil law, di accettare un principio contrario alle norme imperative interne, è intervenuto spiegando che nel trust esiste una sola “categoria” di proprietari dei beni conferiti nel fondo, rappresentata dai trustees. I beneficiari sono, invece, solo coloro che ripongono delle aspettative sui quei beni.

Il secondo aspetto di discussione, riguarda il contrasto con il principio della responsabilità patrimoniale disciplinato dall’art. 2740 c.c.. Secondo la norma, “il debitore deve adempiere le obbligazioni contratte con tutti i suoi beni presenti e futuri, e le limitazioni di responsabilità non sono ammesse se non nei casi previsti dalla legge”.

Tuttavia, va puntualizzato che anche il ricorso ad alcune forme di società, (s.r.l., s.p.a., ecc.) costituisce, di per sé, una limitazione del principio della responsabilità personale universale. Basta pensare al particolare caso del

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fallimento di una s.r.l. unipersonale, nonostante si tratti di un unico socio, egli risponde con il solo patrimonio conferito nella società.

Anche la giurisprudenza ha spiegato che la realizzazione di un patrimonio separato non è frutto dell’autonomia negoziale (es. il contratto di leasing non è espressamente disciplinato dal codice civile), ma una previsione dell’art. 11 della Convenzione. Inoltre, il combinato disposto dagli artt. 2 e 12, ha introdotto una nuova “forma di proprietà”, caratterizzata dal fatto che i beni oggetto della segregazione patrimoniale, vengono trasferiti al trustee con la sola finalità di realizzare quanto previsto nell’atto istitutivo.42

Per questo, agli interpreti del diritto si richiede di rispettare le disposizioni descritte della Convenzione, in adempimento al principio della gerarchia delle fonti, vigente nell’ordinamento interno.

Il terzo e ultimo aspetto di dibattito, riguarda la legittimità dei trusts interni, i quali sono tipici degli ordinamenti di civil law. Questi, si caratterizzano per essere privi di elementi di estraneità e per la loro stretta connessione con un unico ordinamento giuridico. L’esempio tipico, si verifica quando, un cittadino italiano, costituisce un trust su beni siti nel territorio italiano in favore dei propri familiari, i quali devono necessariamente avere cittadinanza italiana.

La dottrina, giustificava il proprio orientamento in ordine alle disposizioni prescritte dall’art. 13 della Convenzione. La norma statuisce espressamente che: “nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria di trust in questione”.

E’ una posizione del tutto condivisibile se, la stessa norma, non prevedesse delle eccezioni tali da renderla una norma di chiusura.

Qualora il legislatore italiano non riconoscesse ad un concittadino la possibilità di costituire trust interno e, allo stesso tempo, permettesse ad un cittadino straniero di costituire un trust nel nostro Paese, avente per oggetto beni

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Tribunale di Bologna, sentenza 30 settembre 2003, citato anche dal Tribunale di Velletri nell’ordinanza 29 giugno 2005.

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siti in Italia, violerebbe apertamente i principi costituzionali imposti dall’art. 3.43

La norma, infatti, impone che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Ciò detto, non si spiega la ragione per cui un Paese decida di adottare una norma sovranazionale, se poi non ne riconosce la validità.

L’adesione alla Convenzione, non deve essere letta come la perdita della sovranità nazionale. Se così fosse, le norme di chiusura di cui agli art. 13 e seguenti, non avrebbero alcun significato. Inoltre, si concorda con la scelta adottata dal legislatore convenzionale di concedere al disponente, la libertà di individuare la legge regolatrice che egli ritiene più opportuna (art. 6), tenendo presente che, in mancanza di una norma interna adatta (art. 5), il disponente deve ricorrere ad una legge straniera, che non contrasti con le norme imperative contenute nell’art. 15 della Convenzione.

Per fare ordine: l’art. 13 permette ai Tribunali di non ammettere il riconoscimento di un trust interno in virtù dei suoi elementi significativi, ma, allo stesso tempo, lo Stato non nega la possibilità di istituire dei trusts che abbiano tali caratteristiche. E’ questo il motivo per cui l’art. 13 deve essere considerato, a tutti gli effetti, una norma di chiusura: l’autorità giudiziaria, può non riconoscere il trust quando mira ad operare in frode all’ordinamento presso il quale è stato costituito.

Nonostante ciò, è bene sottolineare che, anche se l’art. 13 non fosse stato introdotto, non ci sarebbero stati vuoti legislativi all’interno del nostro sistema giuridico. Questo, grazie all’esistenza della clausola di salvaguardia disciplinata dall’art. 1344 c.c., la quale sanziona con la nullità l’abuso dell’autonomia contrattuale, finalizzata a operazioni elusive o fraudolente.

La prima Corte italiana ad ammettere la costituzione di trusts interni, è stata il Tribunale di Milano. In data 27 dicembre 1996, ha omologato, con decreto, una delibera dell’assemblea dei soci di una società di capitali che prevedeva l’emissione di un prestito obbligazionario garantito da un trust di scopo interno,

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Per un maggior approfondimento sul tema: LUPOI M. “Legittimità dei trusts interni”, in “I trusts in Italia

oggi”, Milano, 1996, pag. 37 e seguenti; CANESSA N. “I trust interni. Ammissibilità del trust e applicazioni

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disciplinato dalla legge di Jersey. Precisamente, la società aveva previsto la costituzione di una società di diritto inglese, alla quale conferire precise unità immobiliari, che sarebbero poi state date in locazione. Contemporaneamente, intendeva trasferire le azioni della new-co ad un trustee, che nella fattispecie era rappresentato da una società fiduciaria italiana, responsabile della gestione del finanziamento.

Lo scopo del trust prevedeva che: la fiduciaria (il trustee), incassasse i canoni di locazione e non distribuisse i dividendi fino alla fine della durata del trust. Nell’ipotesi di mancato rimborso del prestito, il trustee aveva l’obbligo di restituire quanto gli era stato conferito dal disponente.

La società, aveva la possibilità di percorrere anche altre strade per il raggiungimento dello stesso scopo ma, la soluzione del trust, appariva la più rapida e la più conveniente dal punto di vista finanziario. Infine, il trust consentiva di costruire un tesoretto derivante dai canoni di locazione degli immobili, in modo da disporre della liquidità necessaria per estinguere il prestito.44

Il Tribunale, nel momento in cui omologava la delibera assembleare per la costituzione del trust, ammetteva contestualmente la legittimità di costituire trusts interni.

Il Tribunale di Lucca, invece, con sentenza del 23 settembre 1997, è intervenuto in materia di successioni, riconoscendo il trust testamentario. La corte ha affermato che: “anche se il trust è lesivo delle aspettative di un legittimario, tuttavia non è da considerarsi nullo”.45

La tesi è sostenuta dall’art. 15, comma 2, della Convenzione, secondo la quale, fermo il rispetto delle norme imperative di legge, “il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici”. Di conseguenza, l’interprete si trova nelle condizioni di dover rendere operativo il trust per dare seguito agli effetti voluti dal disponente.

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STESURI A., PORTELLI S. “Il trust. Aspetti civilistici, fiscali e concorsuali”, ed. Sistemi Editoriali, Napoli, 2009, pag. 35 e seguenti. L’alternativa poteva essere la costituzione di un’ipoteca sui beni immobili, ex artt. 2410-2414-2831 c.c. che, tuttavia, in caso di mancato rimborso alla scadenza, si sarebbe dovuto procedere con atti di esecuzione immobiliare, i quali avrebbero comportato elevati costi e tempi molto lunghi.

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Il de cuius aveva istituito un trust regolato dalla legge americana, incaricando il trustee di provvedere discrezionalmente al fabbisogno della figlia e dei nipoti e, solo al compimento del 25esimo anno di età di quest’ultimi, suddividerne il patrimonio in parti uguali. La figlia impugnò il testamento, eccependone la nullità per fedecommissoria vietata e per violazione delle norme imperative.

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Va menzionata l’importanza, in tema di procedure concorsuali, attribuita all’ordinanza del Tribunale di Firenze, pronunciata il 6 giugno 2002. La Corte ha precisato che il trust non può e non deve sottrarsi alla legge italiana, in materia di conservazione delle garanzie patrimoniali del debitore, nei confronti dei suoi creditori. Però, non va dimenticata anche l’operatività dell’azione revocatoria. Infatti, la Corte ha stabilito che, nel caso in cui il debitore “trasferisca la quasi totalità del proprio patrimonio in un trust a beneficio solo di alcuni creditori (con palese violazione del principio della par condicio creditorum), privandosi in questo modo della garanzia patrimoniale che assiste tutti i creditori di uno stesso soggetto, può trovare applicazione l’azione revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c.”.46

Per questi motivi, il Tribunale ha disposto sia il sequestro conservativo di tutti i beni del settlor, ancorché debitore, sia quanto trasferito al trustee fino alla concorrenza del credito spettante di diritto al convenuto.

Il trust assume un’importanza che va oltre alle questioni proposte fino a questo momento. L’istituto si rivolge anche alla tutela dei soggetti più deboli, non efficacemente tutelati dagli altri strumenti giuridici presenti nel nostro ordinamento. Si ricordano: i provvedimenti del Tribunale di Modena, 11 agosto 2005, del Tribunale di Genova, decreto 14 marzo 2006, del Tribunale di Firenze, decreto del giudice cautelare 4 aprile 2004 e l’ordinanza recentissima del Tribunale di Milano, 20 gennaio 2012. Tutte queste Corti, hanno esplicitamente affrontato, con parere positivo, la questione dell’ammissibilità del trust interno, avente per oggetto beni in favore di un soggetto diversamente abile, beneficiario del trust, con la relativa nomina del trustee, nel ruolo di amministratore di sostegno e del patrimonio. 47

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Cfr. Tribunale di Firenze, ordinanza 6 giugno 2002. 47

DRAGONETTI A.,PIACENTINI V.,SFONDRINI A. “Manuale di fiscalità internazionale”, ed. Wolters Kluwer Italia, Milano, 2009, pag. 939 e seguenti; MONTEFAMEGLIO M. “La protezione dei patrimoni. Dagli strumenti

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1.5.2 Giurisprudenza a confronto: Tribunale di Belluno,

Nel documento Il trust e le procedure concorsuali (pagine 32-38)