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Cenni sulla possibilità di misure di giustizia riparativa

La normativa statunitense

5. Cenni sulla possibilità di misure di giustizia riparativa

L’esistenza di alcuni spazi caratterizzati da flessibilità e informalità permette l’istaurarsi di misure di restorative justice entro gli interventi previsti nel sistema penale. A differenza di quanto accade nel nostro Paese, che utilizza forme di RJ prevalentemente entro i progetti di messa alla prova (ex art. 28) e quindi in un contesto squisitamente processuale, negli Stati Uniti è piuttosto diffuso l’utilizzo di strumenti riparativi come tecniche di diversion e quindi antecedenti alla fase processuale propriamente intesa. È possibile, infatti, individuare tre livelli in cui si riscontra l’uso delle pratiche mediative: una prima occasione è rappresentata dallo Station house

adjustment, momento in cui l’agente di polizia decide insieme all’autore dell’infrazione

e alla vittima quali provvedimenti adottare. Come si è avuto modo di descrivere, in questa circostanza è data grande importanza all’approccio della non- intervention sebbene si renda necessaria una forma di sanzione nei confronti del minore autore di reato: le misure adottate, dunque, si instaurano partendo da una impostazione meno afflittiva ma comunque responsabilizzante rispetto al fatto compiuto e alle conseguenze del medesimo. Appare, perciò, ideale come occasione in cui promuovere uno spazio dove il ragazzo abbia la possibilità di riparare il danno cagionato – seppur di scarsa o lieve entità – e di confrontarsi con la persona che di quel danno ne fa le spese (Sims,Preston 2006). L’adesione della vittima, in questi frangenti non è solo formalmente necessaria ma anche, e soprattutto, auspicata e incoraggiata al fine di creare una occasione di crescita e di riflessione per il giovane autore. Tra le misure previste in questa sede le più diffuse sono l’assegnazione ad attività di community service che mirino a restituire più o meno simbolicamente quanto sottratto alla collettività: alla vittima è data possibilità di esporre le proprie esigenze e le proprie richieste così che il ragazzo possa comprendere il disagio arrecato ad altri tramite le sue azioni e contestualmente si possa impegnare fattivamente per riparare le conseguenze negative delle sue azioni. Non di rado, la vittima è chiamata a co-partecipare a queste scelte, in una processo decisionale condiviso insieme all’agente di polizia, ai genitori del ragazzo e al ragazzo stesso; in questo frangente è possibile per la persona offesa ritrovare un luogo di riconoscimento e di riacquisizione di “presenza”, trovandosi come soggetto legittimato a esistere e partecipare entro le decisioni che riguardano la sanzione del conflitto che lo ha visto co- attore. È d’obbligo specificare che lo station house

adjustiment è utilizzato principalmente per azioni di scarsa rilevanza penale e di minimo

danno a cose e a persone (Henggeler 2016; Sims e Preston 2006) circostanze che permettono e facilitano in modo maggiore la volontà della vittima di incontrare l’autore di reato e partecipare a momenti di confronto in merito ai fatti accaduti e alle conseguenze che ne dovrebbero seguire. Non è raro, infine, che al termine di questi incontri il ragazzo possa produrre una lettera di scuse in cui, auspicabilmente, possa esprimere alla persona danneggiata il proprio rimorso e le proprie colpe e richiedere la possibilità di essere perdonato dopo aver scontato una penalità che gli permetta,

attivamente, di ristabilire e rinsaldare i legami fiduciari con il singolo e con la comunità tutta che l’atto deviante aveva contribuito a ledere.

Discorso assimilabile può essere fatto per le misure di RJ pensate all’interno degli interventi previsti dalla Juvenile Conference Committee (Smith 2005; P. J. Carr 2012; Clare 2015). Anche in questo caso il filo conduttore delle misure adottate si rifà al concetto di “non intervento” e le previsioni di sanzione sono per la maggior parte votate a una finalità risocializzante, anche a costo di sacrificarne la portata punitiva. I casi che giungono all’attenzione della commissione sono per la maggior parte riguardante condotte lesive dell’ordine pubblico come atti di vandalismo, lievi danneggiamenti a proprietà private e pubbliche che bene si prestano ad essere trattati attraverso modalità comunitarie di risoluzione. Non di rado, infatti, la scelta di misure di giustizia riparativa appare essere la forma privilegiata di affrontare la questione sanzionatoria in azioni di questo genere: laddove sia avvenuto un danneggiamento ad una bene pubblico o privato di media entità, procedere con una sanzione formale del tribunale potrebbe risultare controproducente ed effettivamente stigmatizzante. Il rischio di creare risposte sproporzionate e incomprensibili per il ragazzo che deve essere responsabilizzato rispetto alle azioni commesse ha generato prassi assimilabili a consuetudini (Shichor, Binder 1982; Carr 2005; Henggeler 2016) in cui al ragazzo viene prescritto di svolgere lavori socialmente utili e ripagare le conseguenze del disagio arrecato: tra le prescrizioni, molto spesso, si trovano misure riparative atte a coinvolgere anche la vittima e la comunità offesa dall’azione deviante. La restituzione di quanto sottratto o leso o la possibilità di ripagare – anche simbolicamente – il danno arrecato rappresentano, quindi, forme pseudo istituzionali di giustizia riparativa, utilizzata entro un contesto di diversion.

Altra questione si delinea invece nell’uso di misure di giustizia riparativa entro una cornice di de-istituzionalizzazione rappresentata dalla probation. Considerata a tutti gli effetti una misura limitativa della libertà, la probation viene utilizzata in casi più gravi e più socialmente allarmanti tanto da essere considerata una forma piuttosto rigida di penalità (Clare 2015; Scivoletto 1999). La sua funzione, tuttavia, resta quella di permettere un percorso di sanzione, seppur controllata e sorvegliata, promotrice di una risocializzazione alle norme maggiormente diffuse nella collettività nell’auspicio di un pronto e positivo ri- ingresso nella medesima. Anche in questo caso dunque ci sono

circostanze che permettono la scelta di forme di giustizia riparativa entro le progettualità della probation che assumono un valore importante nella prospettiva di riallacciare legami fiduciari interrotti e creare momenti di incontro e socialità il ragazzo e la comunità tutta. Tra le prescrizioni della probation può esserci la possibilità di fare lavori socialmente utili e ripagare materialmente le conseguenze delle loro azioni o le spese derivanti dal danno causato (spese mediche di vario genere – ospedale, eventuali terapie, etc.) o produrre una lettera di scuse alla vittima. Il valore negoziale di tali misure è piuttosto importante e non di rado l’esecuzione di una o più forme di riparazione potrebbe assumere un significato fortemente strumentale tuttavia i benefici tratti nel lungo periodo sia dal ragazzo che dalla collettività rappresentano una valida occasione per ripristinare un equilibrio che la commissione del reato ha contribuito a spezzare (Carr 2005; 2012).

Oltre a ciò è importante ricordare come le vittime di reato negli Stati Uniti abbiano maggiori possibilità di coinvolgimento e di espressione rispetto alla realtà italiana entro il procedimento penale. All’interno delle procure, molto spesso, sono presenti gli uffici dedicati alle victim-wintesses advocay e parte dell’accusa portata avanti può tenere in considerazione quelle che sono le richieste delle vittime (Gibbs 2013; Weisz 2008). In ciascun ufficio è prevista una persona deputata alla comunicazione con le vittime, che accoglie le loro richieste e risponde ai loro dubbi in modo da tenerli aggiornati e informati sullo stato del processo e sugli eventuali sviluppi: essa ha il compito di rendere edotta la parte offesa dei possibili servizi e programmi che sono a sua disposizione per superare ed affrontare le eventuali conseguenze del reato e, al contempo, mantiene i contatti con il prosecutor e lo aggiorna sulle richieste e sulle necessità della parte offesa. È chiaro, dunque, che tale spazio permette alla vittima di vedere valorizzato il proprio ruolo e la autorizza ad esprimere il proprio vissuto di sofferenza in relazione al fatto vittimizzante potendo chiedere, a quel punto, di vedere riconosciuti i propri bisogni e le proprie esigenze. Inoltre, le vittime trovano uno spazio di parola nel momento processuale in cui viene emessa la sentenza (c.d. sentencing

hearing) in cui esse sono invitate a partecipare all’udienza e possono produrre un Victim Impact Statement (VIP) (Naka 2008; Lens, Pemberton, Bogaerts 2013; Lens et al. 2016;

“Victim Impact Statement” 2002) in cui leggono o dichiarano, precedentemente all’emissione della sentenza vera e propria, quale è stato il loro stato d’animo durante e

successivamente l’evento vittimizzante e quali le emozioni che lo hanno seguito. Non c’è comunicazione diretta con l’offensore imputato ma, in sede processuale, è concesso uno spazio di parola per dichiarare il proprio stato emotivo e personale. Il dibattito in merito all’efficacia e ai vantaggi che le vittime traggono dalla possibilità di portare all’attenzione del tribunale e dell’autore di reato le proprie emozioni resta ancora abbastanza controverso (Lens et al. 2015; Lens, Pemberton, Bogaerts 2013) e i benefici ricavati da tale pratica sono a tutt’oggi di difficile definizione, sebbene resti innegabile il fatto che esista istituzionalmente uno spazio apposito entro la struttura del procedimento che permetta alle vittime di essere riconosciute come soggetti presenti nelle dinamiche processuali.

Tali occasioni, assenti nella realtà italiana, non possono essere considerate come forme di giustizia riparativa tout court ma rappresentano indubbiamente un momento importante per i protagonisti del reato e permettono di fare entrare nelle burocratizzate procedure penali aspetti sconosciuti ma essenziali – legati, appunto al portato emotivo e personale che il danno ha causato – che divengono componente legittima e legittimata delle misure adottate nei confronti dell’imputato. Alla vittima, è concessa la possibilità di condividere in una sede istituzionale i fatti e le reazioni che sono seguiti al fatto vittimizzante, in un contesto dunque che sappia tutelarla e dare spazio anche alla “sua” esperienza del reato.

II PARTE