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Residualità della sanzione detentiva

La normativa italiana

4. Residualità della sanzione detentiva

Arrivati a questo punto, la detenzione e la reclusione si configurano come una soluzione estrema e del tutto residuale. Durante le fasi del procedimento il codice di procedura minorile ipotizza, attraverso i vari istituti in esso contenuti, le possibili vie alternative per sottrarre il minore non solo allo stress e le pressioni del processo penale ma anche ad una sanzione che, molto spesso, rischia di essere più dannosa che vantaggiosa.

Tuttavia, laddove si presenti come necessario prevedere l’uso di misure limitative della libertà, il D.P.R. esprime in modo inequivocabile che la detenzione debba assumere dei connotati ben precisi, in termini di tempi, modalità di esecuzione, obiettivi da raggiungere. Anche in questo caso sono previste garanzie bene precise e definite per tutelare il giovane sottoposto a misure limitative della libertà: nemmeno in tale occasione viene meno la protezione del giovane e della sua condizione di vulnerabilità e fragilità psicologico-emotiva. Anzi, lo sforzo del sistema è quello di non perdere la sua finalità educativa e ri-educativa neppure in circostanze generalmente sfavorevoli al verificarsi di tali scopi. Nel sistema penale italiano la pena detentiva ha, per attribuzione costituzionale, una finalità di tipo rieducativo (art.27 Cost.), presentandosi come un’occasione di reinserimento sociale e ri-socializzazione del condannato. Questa

finalità nel processo penale minorile è amplificata e potenziata (Scivoletto 2012; Moro, Dossetti 2014): se il giovane è riconosciuto imputabile e colpevole di una azione conto la legge, se non sussistono le condizioni per percorrere le strade alternative tipicamente minorili, si pronuncerà una sentenza di condanna a cui seguirà l’erogazione di una pena. Si tratterà in questo caso di una pena attenuata, in base alla riformulazione del conteggio sulla “diminuente della minore età”(Ivi), concordando con le prescrizioni del codice penale che, all’art. 98, recita «il minore imputabile può essere sottoposto a sanzione penale, ma la pena è diminuita».

A tale proposito, l’entrata in vigore del D.P.R. 448/88 – resa attuabile tramite il D.L. 272/89 – ha introdotto modalità e obiettivi specifici di esecuzione della pena che possono essere sintetizzati con il concetto di “trattamento differenziato” (Ivi). Ci si riferisce ad un trattamento che, pur rifacendosi ai dettami costituzionali della rieducazione, assume peculiari connotati e forme di esecuzione proprio in virtù del suo essere differente, diverso, specifico appunto per i condannati entro il Tribunale per i Minorenni. Le novità introdotte dal D.L. 272/89 concernono molteplici aspetti della sfera sanzionatoria e intendono creare circostanze (almeno in astratto) favorevoli affinché il giovane sottoposto a pena restrittiva della libertà possa trovare ambienti in cui vedere soddisfatta anche la dimensione educativa ed affettiva, non solo quella normativa e di controllo (Palomba 2002; Scivoletto 2012). Ciononostante l’importante presenza di misure alternative non è accompagnata, a tutt’oggi, da un ordinamento penitenziario minorile organico e strutturato che possa così completare il sistema minorile penale definendo, dunque, il carattere di specificità anche in fase di esecuzione delle pene. Il recupero del ragazzo, il suo reinserimento armonico nella società e la riattivazione del rispetto dei valori fondamentali della vita sociale sono quindi svolti da strutture che ricalcano le previsioni della normativa utilizzata per gli adulti e che si dimostra, in molti frangenti, inevitabilmente inadatta al raggiungimento di tali scopi (Buffa 2010).

Si è cercato tuttavia di creare ambienti idonei a rispondere alle esigenze di crescita e alla necessità di limitare l’effetto dannoso che esperienze detentive lunghe e continuative possono cagionare sul ragazzo condannato ad espiare una pena. Il legislatore ha quindi riservato, entro il testo del D.P.R. 448/1988 e il conseguente D.L. 272/98, un’attenzione specifica alle forme e modalità di esecuzione delle condanne

emesse dal Tribunale per i Minorenni. L’intento che pervade i testi normativi è senza dubbio, la volontà di rieducare, attraverso forme sanzionatorie sostitutive e alternative, il minore che ha deviato e re-inserirlo al più presto nella società. Per tale ragione è stata prevista una importante e progressiva differenziazione degli istituti deputati alla detenzione che consentano, al loro interno, di espletare l’obiettivo risocializzante e non esclusivamente afflittivo consentendo uno sviluppo fisico, emotivo, psicologico che non escluda l’ambiente e la comunità esterna.

Anzitutto i decreti prevedono la creazione degli Istituti penali minorili (IPM) che sostituiscono i precedenti Istituti di osservazione, utilizzati in caso di custodia cautelare, e le Prigioni scuola utilizzate, invece, a scopo detentivo. L’organizzazione interna degli IPM e le metodologie d’intervento usate operano nel senso che queste strutture non rimangono chiuse e autoreferenziale ma che, grazie alla formazione lavoro o attività scolastiche e di studio, permettono al ragazzo di attivare o mantenere relazioni e contatti significativi con il tessuto sociale che è al “di fuori”. Entro le mura di tali istituti deve essere garantita l’assistenza di cui il giovane necessita sul piano sociale, professionale ed educativo aprendo quindi a momenti orientati verso la possibilità di fornire spazi e momenti di autonomia e socializzazione, che contribuiscono in modo proficuo a generare stimoli positivi e fruttuosi per il suo sviluppo (Scivoletto 2012).

A fianco degli IPM il legislatore ha provveduto anche a disciplinare la creazione di altre tipologie di istituti deputati ad accogliere ragazzi sottoposti a interventi limitativi la libertà che sappiano, però, mantenere aperti i canali di reciprocità con il territorio esterno, incentivando attività di formazione lavoro e tempo libero che permettano una permeabilità di scambi significativi con le realtà al di fuori del contesto detentivo. Nello specifico, sono stati previsti istituti di semilibertà e di semidetenzione che, come è facile intuire, svolgono funzioni di limitazione per coloro che usufruiscono di misure alternative alla sanzione. Si tratta di spazi che ospitano i ragazzi nelle ore notturne e nei giorni festivi, permettendo dunque che il naturale svolgimento della giornata avvenga entro il contesto socio-educativo tradizionale e senza che il ragazzo esperisca modalità altamente restrittive di contenimento (Ivi). In queste circostanze si vanno a concretizzare le necessità di mantenere ancorato il ragazzo al suo contesto di provenienza e appartenenza, cercando di trasmettere valori e strumenti virtuosi non già in un ambiente “protetto” o avulso dalla sua realtà ma producendo occasioni che

mettano il giovane in condizione di sperimentarsi in relazioni stimolanti e proficue entro un percorso di risocializzazione che lo vede partecipe e padrone delle sue scelte. I servizi diurni (art. 12 D.L. 272/89), centri polifunzionali nati dalla collaborazione con le realtà socio-economiche del territorio che promuovono la partecipazione sociale e comunitaria degli adolescenti, si muovono proprio in quest’ottica. Usati prevalentemente per esigenze legate all’espletamento delle misure cautelari, permettono di sviluppare progettualità valide ed efficaci che coinvolgano tutte le istituzioni il cui scopo è quello di intervenire sulle esigenze giovanili: scuola, associazioni sportive e di volontariato, cooperative educative, servizi socio-assistenziali (De Felice 2007). Un discorso specifico va fatto per le misure cautelari, disciplinate dagli artt. da 19 a 24 del D.P.R.; esse sono la custodia cautelare, le prescrizioni, il collocamento in comunità e la permanenza in casa. Connotate dal principio di tipicità, secondo cui ai minorenni possono essere applicate misure previste e disciplinate dal D.P.R. 448/1988 e mai quelle usate per gli adulti, la loro applicazione è lasciata alla facoltà del giudice, il quale ha un margine di discrezionalità nel decidere se e come applicare la misura cautelare, tenendo conto della valutazione della personalità del minore ed il reato da egli commesso (Moro, Dossetti 2014; Palomba 2002). C’è da specificare infine che queste misure hanno scopo prevalentemente cautelativo e preventivo e sono decisioni adottate in una prospettiva di controllo della pericolosità sociale del minore e del potenziale danno che egli potrebbe apportare nella comunità, ma non perdono mai il loro intento risocializzante e rieducativo. Le misure di custodia cautelare seguono un criterio “a cascata” nella misura in cui, nel caso fosse necessario provvedere alla loro attuazione, si predilige sempre la forma cautelare più blanda e meno limitante che può essere, successivamente, inasprita nel caso di inadeguatezza della medesima a fungere il suo ruolo di contenimento e sorveglianza. Cosi come per le sanzioni detentive anche per le misure cautelari si adotta il principio di residualità e brevità della misura e anche in questo frangente è essenziale far si che rimanga saldo il principio della massima individualizzazione delle sanzioni entro una logica di flessibilità che deve caratterizzare ogni intervento sul ragazzo (Scivoletto 2012).