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Dibattito e punti salienti del D.P.R n 448/

La normativa italiana

2. Dibattito e punti salienti del D.P.R n 448/

Nell’excursus storico della normativa italiana, si sono cronologicamente ripercorse le tappe principali che hanno portato alla strutturazione del processo penale a carico di minorenni così come lo conosciamo oggi. Il cosiddetto codice di procedura penale minorile, il D.P.R. n. 488/88 definisce e descrive nel dettaglio le prassi e le possibili strade che il procedimento può percorrere; il focus sulla centralità del ragazzo entro le misure adottate, la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti e le finalità rieducativo- riabilitative che pervadono tutto il testo normativo sono la concretizzazione di un percorso, non sempre lineare, che ha contribuito alla definizione del minore imputato e alle sue necessità. Il D.P.R. insieme a tutte le normative internazionali che hanno visto

la luce negli anni ’80 del secolo scorso, ha contribuito notevolmente a conferire al minorenne una propria autonomia e una propria identità separata ma non per questo inferiore rispetto all’adulto, in particolare rispetto alle figure genitoriali che hanno il compito di guida, cura e sostegno ma che non possono sostituirsi alla singolarità/individualità del ragazzo (Moro, Fadiga 2006). Tuttavia restano segni piuttosto importanti della presenza della famiglia entro gli articoli di tale codice.

Attraversando le varie fasi del procedimento è possibile rintracciare come il ruolo della famiglia sia sicuramente importante. I genitori del minorenne imputato debbono essere informati e aggiornati sul corso e sugli esiti di ciascuna decisione che riguardi la storia processuale del figlio, e sono chiamati a partecipare attivamente allo svolgimento dei provvedimenti adottati. Essi non rimangono figure secondarie, relegate ad una mera funzione di spettatori (Moro 2014) ma entrano a pieno titolo nella realizzazione dell’azione rieducativa che il processo intende perseguire: già in fase di misure cautelari29 è espressamente richiesta un’attiva collaborazione dell’esercente la potestà per l’attuazione di regimi di riduzione della libertà che non siano coercitivi come il collocamento in comunità o la custodia cautelare. Le misure di prescrizioni o permanenza in casa, la cui attuazione è preferita rispetto ad altri provvedimenti maggiormente afflittivi in virtù proprio della caratteristica di gradualità – dalla più blanda alla più restrittiva – con cui si impongono dette misure, attribuiscono alla famiglia un compito di primo piano, non solo per far si che esse si verifichino ma anche e soprattutto affinché ottengano il doveroso sostegno e incoraggiamento da parte dei tutori del giovane. Altrettanto essenziale appare il contributo della famiglia anche in fase di processo vero e proprio e in fase di attuazione dell’eventuale sanzione che ne deriva. Ai genitori, in primis, è richiesta una adesione al progetto educativo dell’Autorità Giudiziaria complementare a quella richiesta al giovane imputato: si auspica, in tale modo, di rendere più concreta e fattiva la proposta di intervento sul

29 Le misure cautelari entro il processo penale minorile assumono una configurazione differente rispetto

alle medesime previste in ambito ordinario. In particolare esse si identificano con specifiche caratteristiche (la tipicità, la residualità, l’applicazione “a cascata”, per citarne alcune) atte a estrinsecare le finalità ri-educative e risocializzanti del processo che permettono dunque una flessibilità di scelta e di attuazione. Numerose sono state le riflessioni socio-giuridiche riguardo questo argomento che hanno cercato di analizzare le modalità di attuazione e di delineare possibili criticità e ambiguità; tra tutti si segnala P.C. Pazè, Le misure cautelari per i minorenni, il tramonto del carcere, in E. Lo Giudice (a cura di), La delinquenza giovanile ed il nuovo processo penale per i minorenni, Giuffrè 1990; F. Palomba, Il

sistema del processo penale minorile, Giuffrè, 2002; C. Scivoletto, Sistema penale e minori, Carocci

giovane tramite il coinvolgimento di tutta la rete di relazioni entro cui egli è inserito. È indispensabile, tuttavia, non lasciarsi prendere da facili entusiasmi quando si parla di relazioni familiari. Sebbene si intenda generalmente l’ambiente familiare in termini di “nido d’amore” (Moro 2001) – il luogo cioè dove il ragazzo riceve attenzioni e cure, sostegno materiale, psicologico e affettivo da parte dei genitori che gli permettono, così, di formarsi come soggetto autonomo e quindi come adulto – in alcune circostanze tale luogo può rivelarsi un “nido di vipere” (Ibidem). La relazione genitori-figli ha subito, e tuttavia subisce, profonde modifiche che rendono tale rapporto ambiguo, sfuggente e distante che vede da un lato genitori sempre più smarriti e disorientati e dall’altro figli e figlie in cerca di autonomia e libertà ma, al medesimo tempo, bisognosi di affetto e di cure (M. Serra 2013; Galimberti 2007; Pietropolli Charmet 2010). Non di rado, quando queste incomprensioni e insoddisfazioni assumono proporzioni importanti e appaiono sempre più ingestibili, il nucleo familiare finisce dunque per trasformarsi in un intricato labirinto dove le funzioni di tutela e attenzioni alla crescita lasciano spazio a necessità di controllo e di sorveglianza che si manifestano in onnipotenze familiari (Moro 2001) nocive e controproducenti per l’armonioso sviluppo del giovane. Il coinvolgimento della famiglia perciò, per quanto auspicabile e – laddove proficuo – necessario, va valutato di volta in volta tenendo ben chiaro quale sia l’interesse del ragazzo da tutelare; il compito dei servizi in questo frangente appare dunque essenziale non solo per una definizione delle modalità e forme della partecipazione genitoriale ma anche per una attività di sostegno e supporto (intesi come spiegazioni delle motivazioni di determinati provvedimenti e compartecipazione alla effettiva realizzazione dei medesimi) a tutto il nucleo familiare.

La famiglia come istituzione rientra inoltre in un più ampio e complesso insieme di relazioni e strutture sociali (Donati 2006; Donati 2013) dalle quali non può prescindere e con le quali è in costante e reciproca connessione. È infatti da questa riflessione che muove la ragione di quanto previsto dall’articolo 9 del D.P.R., in merito agli accertamenti sulla personalità del minorenne: lo scopo del legislatore è di coinvolgere tutta una serie di figure che gravitano intorno all’esistenza del giovane e che, necessariamente, ne conoscono le abitudini e le capacità da mettere in campo. Il background personale e sociale va scoperto e reso noto anche attraverso il coinvolgimento di tutti coloro abbiano avuto rapporti con il ragazzo, in modo da poter

acquisire informazioni utili ed efficaci per eventuali provvedimenti da adottare. Il ragazzo è pensato inserito in una serie di relazioni che influenza le sue scelte in termini di opportunità e possibilità di crescita, che coinvolge differenti attori con differenti ruoli (docenti, allenatori, educatori, guide spirituali, medici). Si tratta però di un contesto entro cui il ragazzo non gioca un ruolo passivo, inteso come dominante rispetto alle scelte del giovane o deterministico negli esiti possibili, ma entro cui egli sceglie quale strada intraprendere e quali valori e regole seguire. Certamente, la struttura dell’ambiente da forma e favorisce alcune affiliazioni ad altre e facilita la condivisione di certi valori rispetto ad altri – molto spesso valori contro culturali e differenti da quelli dominanti – ma essenziale appare anche il contributo attivo del ragazzo nell’adesione a certe realtà e a certe dinamiche (Matza 1976). L’idea di prediligere valori di riferimento e comportamenti conferisce al soggetto un ruolo attivo, responsabile; egli, infatti «entra in contatto con il suo ambiente e con gli altri che vivono in esso, si scontra con loro, riflette sulle loro credenze, considera criticamente il loro stile, prevede o immagina il posto che avrà fra loro e si preoccupa se, scegliendo loro, gliene saranno preclusi altri» (Matza 1976: 167). L’individuo quindi non subisce passivamente l’apprendimento, nulla accade alle “sue spalle” né a sua insaputa (Ibidem), ma attivamente valuta, studia e accoglie i dettami della cultura cui prendere parte convertendosi, in alcune circostanze, all’accettazione di norme e valori differenti da quelli della società dominante.

Dato questo scenario e considerate le finalità specifiche che il procedimento penale intende raggiungere, la centralità della figura del minore e il suo processo evolutivo sono alla base delle misure previste e la rieducazione non assume connotati di modifica o di snaturamento ma punta soprattutto e prevalentemente sulle risorse del ragazzo, sulle potenzialità già possedute. Si deve quindi lavorare in tale direzione, sfruttando al meglio le potenzialità possedute dal ragazzo è renderle fruttuose e virtuose dentro il contesto in cui egli si trova. Entro il procedimento il minore assume un ruolo di primo piano: il processo non è costruito contro di lui ma con lui e per lui (De Felice 2007; Moro, Busnelli Fiorentino 1990; Scivoletto 2012), ed è necessario renderlo parte attiva, renderlo consapevole ed informato delle misure assunte nei suoi riguardi, guidarlo attraverso il percorso penale spiegandogli, di volta in volta, la ragione di certe scelte garantendo, ovviamente, un adeguato sostegno emotivo e psicologico. Tutto il

procedimento deve essere calibrato sulle competenze cognitive e di comprensione del ragazzo e senza interrompere i processi educativi in atto. Il percorso giudiziario non può rappresentare una frattura netta, un momento di crescita alieno e avulso nell’esistenza del ragazzo ma trovare senso e ispirazione nelle sue competenze e nelle sue propensioni, oltre che dalla sua volontà di partecipare attivamente alle misure previste. Maggiormente il ragazzo sarà guidato in un percorso di comprensione, condivisione e compartecipazione degli obiettivi delle misure previste, maggiore sarà la possibilità di ottenere un esito positivo nel percorso rieducativo (De Felice 2007). Tutti gli interventi debbono essere calibrati in un continuo bilanciamento tra sostegno, controllo, partecipazione e coinvolgimento. In questo scenario, pertanto, a fianco di competenze tecnico- giuridiche il legislatore richiede, agli organi e agli attori del procedimento, altre tipologie di competenze e professionalità che sappiano integrare la mera risposta penale e che rendano i decisori capaci di scelte che superino le sola e rigida logica dell’applicazione della legge.

Scorrendo tra i vari articoli del Decreto Presidenziale si nota, dunque, come sia conferita alla magistratura minorile (perciò specializzata) grande discrezionalità nelle scelte che vengono modellate sulle specifiche necessità della situazione del ragazzo e come esse assumano sempre contorni di possibilità e mai di obbligatorietà. Le scelte fatte non restano invariate e rigide nel tempo ma possono essere riviste e modificate in accordo con gli eventuali progressi o regressi del ragazzo. La discrezionalità in capo agli attori dunque richiede una particolare specializzazione in termini di competenze in ambito minorile per far si che non si scada in situazioni di arbitrarietà (De Felice 2007; Moro, Fadiga 2006). Come si è avuto modo di sottolineare in precedenza , tale specializzazione intende garantire la possibilità di delineare, in modo più consapevole e completo, una progettualità che abbracci i differenti aspetti della vita del ragazzo e che permetta la definizione di un percorso in sintonia con i bisogni e le necessità del medesimo. La compartecipazione e l’importante coinvolgimento della componente onoraria e degli operatori dei servizi è volta alla creazione di “canali privilegiati di comunicazione” tra l’Autorità Giudiziaria e imputato coinvolto nel procedimento in modo da integrare la comunicazione giuridico-legale – necessaria all’interno di un tribunale – con un approccio rieducativo che tenga in considerazione aspetti evolutivi, cognitivi, emotivi e psicologico- sociali del ragazzo.

Il D.P.R. 448/88 costituisce, dunque, un perfettamente idoneo punto di riferimento e una struttura d’appoggio per il processo penale minorile garantendo un trattamento adeguato – individualizzato e attento alle esigenze del singolo - e funzionale ad un effettivo recupero del ragazzo autore di reato. Alla soglia dei quasi 30 anni in vigore, risulta essere ancora un strumento innovativo e d’avanguardia entro il panorama europeo, in particolar modo nell’idea di minore che va a delineare e nel ruolo che gli conferisce sia durante il processo che durante l’esecuzione delle misure (Galli, Tomé, Alesso 2008). A fianco del “progetto processuale” che i servizi e i giudici debbono predisporre – individuando quindi quali strumenti adottare per intervenire nel caso in questione – è prevista, ed auspicata – la creazione di un “progetto educativo” che valorizzi tutte le risorse del ragazzo al fine di ricreare le condizioni favorevoli per l’armonioso sviluppo della personalità del giovane (Moro, Dossetti 2014).

Tuttavia, le specificità e le norme prescrittive contenute entro gli articoli del codice di procedura minorile non raramente si trovano a fare i conti con questioni e problematiche legate alle continue evoluzioni che modificano il volto della società e delle relazioni che si instaurano al suo interno. In primis, basti pensare alle frammentazioni e ricostruzioni dei nuclei familiari e abitativi che contribuiscono alla formazione di una rete di relazioni di potestà, intesa anche come cura, convivenza, sostegno materiale e morale del ragazzo, accompagnamento lungo il percorso di crescita e acquisizione di autonomia, parzialmente difformi rispetto a quelle delineate nel D.P.R (Zanatta 2008; Di Nicola 2008; Giddens 2000). Non è raro, infatti, che la tutela del ragazzo sia affidata a membri del nucleo familiare allargato – nonni, zii, patrigni e matrigne – o famiglie affidatarie che affiancano quelle naturali in collaborazione con i servizi del territorio. Queste nuove conformazioni sociali pongono di fronte a sfide inedite e delicate, che contemplano la presenza di ulteriori figure educative ed affettive rispetto alle figure, tradizionalmente intese, di “madre e padre” ma non per questo meno importanti nell’esistenza del ragazzo (Zanatta 2008; Di Nicola 2008). È essenziale, a tale proposito, individuare in questo frangente tutte le risorse familiari a disposizione del giovane imputato e promuovere una attiva e partecipe presenza delle medesime all’interno dei programmi attivati in sede processuale, senza rischiare di irrigidirsi su strutture e dinamiche sociali antiche e, non sempre, rappresentative della realtà attuale.

La situazione si fa ancor più netta e cogente nel caso in cui il minorenne in considerazione appartenga ad una nazionalità straniera o si trovi nel nostro territorio sprovvisto della supervisione di un adulto parente, come minore straniero non accompagnato (Di Nuzzo 2013; Silva, Campani 2004) . Le massicce ondate migratorie che hanno investito il nostro Paese (Palidda 2008; Ambrosini 2011), e il considerevole numero di minorenni coinvolti in questi flussi ha provocato cambiamenti importante nella composizione dell’insieme dei giovani implicati nei procedimenti dell’Autorità Giudiziaria. Non più dunque solo ragazzi italiani, coinvolti in una rete di relazione e inseriti entro attività educative e formative istituzionalizzate (scuola, attività sportive, volontariato, luoghi di aggregazione) ma anche giovani migranti, soli, sguarniti di un contesto familiare protettivo - che adempi al ruolo di sostengo e tutela nell’iter processuale - e privati di circostanze concrete che permettano l’applicazione di una serie di misure alternative e l’adozione di programmi di recupero altri rispetto alla sanzione tout court. Molto spesso, dunque, l’unica via possibile appare quella che prevede una risposta severa e fortemente limitante la libertà del ragazzo, rappresentando così una risposta tardiva e non raramente emergenziale del fenomeno che, a tutt’oggi, genera ancora riscontri contrastanti e mantiene vivo e acceso il dibattito di operatori studiosi (Bichi 2008; Sbraccia, Scivoletto 2004).

È fondamentale, a questo punto, interrogarsi sull’attualità del D.P.R., anche alla luce delle profonde trasformazioni che il nostro tessuto sociale sta vivendo, non già in termini di prescrizioni e possibili percorsi processuali – per le quali, il nostro codice di procedura minorile rimane invece all’avanguardia e d’esempio per gran parte del panorama internazionale – quanto piuttosto riguardo alle figure in esso considerate e che giocano un ruolo cardine nell’ottenimento degli scopi educativi che alimentano il procedimento.