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I censimenti del Regno di Sardegna e il censimento degli italiani all’estero del 1871 del 1871

Nel documento I censimenti nell’Italia unita (pagine 150-165)

I CENSIMENTI DEGLI ITALIANI ALL ’ ESTERO NELLA STATISTICA UFFICIALE (1861-1927)

2. I censimenti del Regno di Sardegna e il censimento degli italiani all’estero del 1871 del 1871

Il primo censimento degli italiani all’estero, limitato alla regione platense, era stato tentato già nel 1855 dall’iniziativa spontanea del patriota genovese Marcello Cerruti, allora incaricato d’affari del re di Sardegna in Argentina. In sintonia con le proprie aspirazioni unitarie e forse anche con quelle annessioniste di casa Savoia, Cerruti aveva distribuito le schede nominative non solo ai sudditi sardi, ma a anche agli altri italiani colà residenti. Apprezzando il tentativo del Cerruti, il Ministero degli Affari esteri sabaudo colse l’occasione per sollecitare il medesimo censimen-to da parte di tutti i suoi rappresentanti all’estero, ma le difficoltà oggettive e l’indisponibilità a quell’impresa da parte di molti agenti consolari permisero la rac-colta solo dei dati più elementari e solo in poche località. Con l’occasione del cen-simento generale sabaudo del 1857, i rappresentanti diplomatico-consolari sardi fu-rono invitati ancora una volta a censire i sudditi all’estero ma, come nel caso pre-cedente, le realizzazioni furono scarse e sommarie (Ministero degli Affari esteri 1884: XV-XVI, 75-78; “Gazzetta ufficiale piemontese” 1855, 1856, 1857, 1858; Clemente, Pirjevec; Cuneo 1940; Borsarelli 1959: 129-142).

Nel 1861 il primo censimento generale della popolazione del Regno d’Italia non si prefissò di censire tutti gli italiani all’estero, ma solo quelli espatriati temporanea-mente, tuttavia il Ministero degli Affari esteri prese l’iniziativa di raccogliere dati su tutti i presenti fuori dai confini nazionali e, ammaestrato dalla scarsa sollecitudine del

personale consolare in occasione del censimento sabaudo del 1857, non chiese una enumerazione precisa e nominativa, ma solo cifre approssimative e informazioni sul-le “condizioni economiche e morali” degli italiani all’estero. Eppure anche a queste condizioni le informazioni raccolte furono così scarse che Cesare Correnti, redattore della relazione al terzo volume del censimento, dovette lamentare di doversi accon-tentare solo delle cifre dei flussi periodici colti non all’estero, ma nei luoghi di par-tenza e di rimpatrio (Ministero degli Affari esteri 1884: XVIXVII).1

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Il primo vero censimento degli italiani all’estero fu, dunque, quello del 1871. La sua realizzazione fu decisa durante la discussione parlamentare della legge n. 297 del 20 giugno 1871 per l’effettuazione del censimento nazionale della popolazione. L’incarico fu affidato al Ministero degli Affari esteri (Mae) per quanto concerneva la rilevazione dei dati nei paesi stranieri e al Ministero dell’Agricoltura, industria e commercio (Maic) per quanto concerneva l’analisi e l’elaborazione statistica dei dati da parte della Divisione di statistica e della Giunta centrale di statistica.2

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La modalità di censimento scelta prevedeva che sarebbero stati i consoli e, do-ve questi mancavano, le regie legazioni italiane a realizzare il censimento mediante l’interrogatorio verbale degli italiani all’estero o, per chi abitava troppo lontano dai consolati, mediante la consegna delle schede di censimento ai capi famiglia. L’obbligo di presentarsi alle legazioni ed ai consolati per partecipare al censimento o il dovere di compilare le schede era divulgato mediante avvisi nei principali quo-tidiani locali e in quelli delle collettività immigrate, ma poiché ciò comportava una pesante spesa, la diplomazia italiana avrebbe dovuto invitare anche le autorità dei paesi ospitanti a pubblicare avvisi ufficiali in tal senso, con promessa di reciprocità in caso di censimenti esteri in Italia. Era prevista persino una multa sino a 50 lire per gli italiani all’estero che avessero rifiutato di rispondere al censimento, ma era fatta anche insistente raccomandazione ai consoli affinché rassicurassero gli italiani che la partecipazione al censimento non solo era gratuita, ma non avrebbe compor-tato per loro nessuna verifica delle loro eventuali pendenze con la legge e soprattut-to nessun cambiamensoprattut-to di cittadinanza. Si temeva, infatti, che molti connazionali all’estero si sarebbero sottratti al censimento nel timore che ciò avrebbe comporta-to per loro il riacquiscomporta-to della nazionalità italiana che non desideravano più, vuoi per sottrarsi al servizio militare, vuoi per non rinunciare ai diritti acquisiti all’estero. L’esperienza dei precedenti tentativi consolari di contare i connazionali espatriati dimostrava inoltre la loro tiepidezza nei confronti delle rappresentanze italiane:

Egli è però un fatto positivo (e neppure si smentì questa volta) – afferma-va Giacomo Malafferma-vano, relatore del censimento alla Giunta centrale di statistica – che buona parte degli emigranti italiani, o per oblio della patria lontana, o per timore delle leggi non osservate, obbedisce con ritrosia a qualsiasi appello che tenda a riaffermare i vincoli che, o sono da tempo negletti, o si vorrebbero far dimenticare (Statistica generale del Regno d’Italia 1874: XVIII).

1 Studio “parziale e imperfettissimo” è definito il censimento degli italiani all’estero del 1861 dalla relazione dell’analogo censimento per il 1871 (Statistica generale del Regno d’Italia 1874: I).

2 Come è noto, le istituzioni centrali della statistica ufficiale italiana si svilupparono nel seno del Maic. Per tale evoluzione, confronta, tra i tanti: Giuva, Guercio 1992; Marucco 1996; D’Autilia, Melis 2000; Favero 2001; Favero 2006.

Il Mae raccomandava, quindi, ai consoli di distinguere accuratamente i registri consolari dei connazionali, che attestavano legalmente la cittadinanza italiana, dai registri di censimento che non dovevano avere alcun valore legale, ma solo statisti-co. Soprattutto, per non incorrere in contrasti di diritto internazionale con i paesi esteri e per non suscitare quindi l’ostilità di questi all’effettuazione del censimento, il criterio adottato fu quello di censire come italiano chiunque si dichiarasse tale nell’interrogatorio verbale o nella compilazione della scheda indipendentemente dalla sua reale cittadinanza. Si capisce bene come tale criterio liberasse gli statistici dalle controverse e inestricabili questioni di attribuzione di cittadinanza, ma conte-nesse anche il grave rischio di escludere dal censimento tutti i cittadini italiani all’estero che non volevano farsi riconoscere come tali e di includere invece coloro che non erano più cittadini italiani ma volevano farsi censire come tali. Quanto questi due opposti rischi inficiassero le statistiche non è dato di sapere, né la Giunta centrale di statistica, analizzando i dati raccolti dai consoli, se ne preoccupò, rite-nendo evidentemente che tali rischi fossero minori di quello di voler stabilire con certezza la cittadinanza degli italiani all’estero.

Quanto ai dati sociodemografici richiesti negli interrogatori e nelle schede, essi erano piuttosto accurati e rivelavano gli interessi di natura ideologica ed economica che il Mae e il Maic attribuivano alla presenza italiana all’estero, come emergerà dall’analisi delle discussioni in seno alla Giunta centrale di statistica. Erano richiesti: 1) cognome, nome e paternità;

2) sesso; 3) età;

4) stato civile (se celibe, coniugato o vedovo); 5) luogo d’origine o di nascita (comune e provincia); 6) professione od occupazione nel luogo d’origine; 7) luogo di dimora all’estero (comune e provincia); 8) occupazione o professione attuale, all’estero; 9) istruzione (se sappia leggere e scrivere); 10) religione cui si appartenga;

11) lingua abitualmente parlata; 12) da quanto tempo sia all’estero.

Una volta raccolte le interviste o ritirate le schede compilate, i consoli avreb-bero riportato tutti i dati delle medesime in un apposito registro e avrebavreb-bero quindi spedito tanto i registri che le schede al Mae. A parte, i consoli o i loro incaricati dovevano registrare anche i connazionali imbarcati a bordo di navi italiane e stra-niere che approdavano nelle loro circoscrizioni consolari e che non avevano già ri-sposto in Italia al censimento generale della popolazione (si trattava in sostanza dei marinai e dei viaggiatori in transito). Anche costoro venivano quindi sommati nel calcolo degli italiani all’estero. Immediatamente, però, molti degli stessi consoli si resero conto delle gravi difficoltà e degli alti costi di queste procedure e chiesero quindi al Mae di poter ricorrere ai censimenti generali della popolazione residente dei paesi d’immigrazione ove questi fossero stati presenti e pressoché coevi alla da-ta di censimento previsda-ta, ossia la notte tra il 31 dicembre 1871 e il 1 gennaio 1872. Ciò fu senz’altro accordato e in tal modo le modalità di censimento a cui si fece ri-corso furono tre: innanzitutto l’interrogatorio o la distribuzione nominativa delle

schede di censimento ai capifamiglia italiani da parte della diplomazia italiana coa-diuvata in ciò anche dalle autorità locali straniere; secondariamente, ove mancava-no i consoli o la localizzazione degli italiani era loro igmancava-nota, il ricorso agli eventuali censimenti generali realizzati dai servizi statistici dei paesi di destinazione; infine, le stime ipotetiche da parte dei consoli del numero degli italiani che non sarebbero stati raggiunti né dalla prima, né dalla seconda modalità di rilevazione. Il censi-mento si fondò, insomma, da un lato, su dati effettivamente rilevati e, dall’altro, su cifre puramente presunte, nelle reciproche proporzioni che vedremo.

Nelle circoscrizioni consolari particolarmente vaste o dense di italiani, i conso-li avrebbero potuto nominare delle giunte e “sotto-giunte” di statistica formate da-gli individui più colti, prestigiosi, influenti e patriottici delle collettività italiane ai quali avrebbero affidato il compito di distribuire e raccogliere le schede di censi-mento. Ma già qui emergevano delle difficoltà poiché, a parte le circoscrizioni con-solari limitate o con pochi connazionali dove quindi la costituzione delle giunte era superflua, pochi, o in varie località del tutto assenti, risultarono i notabili italiani capaci e disposti a collaborare con i consoli alla distribuzione e raccolta delle sche-de, e così, di fatto, di giunte di statistica se ne costituirono relativamente poche. Malvano, nella propria relazione sul censimento presentata alla Giunta centrale di statistica, non esitava a definire i volontari delle giunte “eccezioni alla regola gene-rale dell’inerzia e dell’indifferenza” e ad attribuire l’indisponibilità al fatto che gli italiani potenzialmente adatti a costituire le giunte erano “assorti in altre occupa-zioni” o vi era nelle collettività “deficienza di persone idonee” o alla circostanza che non valeva la pena di costituire le giunte dove gli italiani erano troppo dispersi e dunque la loro localizzazione era ignota anche ai notabili delle collettività. Il con-sole di New York, Ferdinando De Luca, affermava addirittura che, poiché negli Stati Uniti gli stranieri potevano acquisire quasi immediatamente la nazionalità americana, non si curavano più dei rapporti con le legazioni della madrepatria e perciò egli reputava “assai difficile il formare tali Giunte in un paese in cui nessuno vorrebbe perdere il suo tempo in cose che non riescono a proprio interesse indivi-duale, ed in cui il far parte di tali commissioni non lusinga né profitta d’alcuna ma-niera”. Il console di San Francisco gli faceva eco affermando che i candidati che aveva designato per la giunta di statistica non si accordarono mai sul giorno in cui riunirsi, mentre gli altri numerosi corrispondenti della sua circoscrizione consolare a cui si era rivolto per ottenere le informazioni sociodemografiche richieste dal censimento gli avevano fornito il nominativo di solo una decina di italiani. Veri o presunti che fossero tali ostacoli, fatto sta che ove non era possibile nominare le giunte di statistica, i consoli o affidavano la distribuzione delle schede di censimen-to alle aucensimen-torità locali, o, dove esistevano, ricorrevano ai censimenti locali, o spera-vano che gli appelli a rispondere al censimento pubblicati sui giornali locali rag-giungessero tutti i connazionali, o si accontentavano dei soli nominativi già regi-strati negli elenchi consolari dei connazionali, o procedevano a stime per induzio-ne, con tutte le incertezze che derivavano da questi tre ultimi espedienti.3

3 Per le ricordate modalità di rilevazione confronta la relazione di Malvano al censimento (in data 3 giugno 1873),

il regolamento dello stesso e la circolare di istruzione agli agenti diplomatici e consolari in Statistica generale del Regno d’Italia 1874: XVII-LXXX. Per le giunte di statistica effettivamente costituite confronta: Id.: LXXVI. Per le affermazioni dei consoli di New York e di S. Francisco confronta Id.: XLIII, XLV. Giacobbe

Accanto a tali ostacoli v’era anche il caso che persino alcuni consoli addirittu-ra si rifiutarono di rispondere ad ogni corrispondenza relativa al censimento, oppu-re mancavano del tutto le sedi consolari o erano momentaneamente vacanti. Il pro-blema maggiore era, comunque, quello di natura geografica, spesso, cioè, non si sapeva dove esistessero le collettività italiane e dunque non si sapeva dove inviare agenti a distribuire le schede di censimento. Ciò accadeva soprattutto nei grandi paesi d’oltreoceano dove, da un lato, le sedi consolari erano poche e dunque vastis-sima era la circoscrizione sotto la responsabilità del medesimo console; dall’altro lato, l’impiego degli italiani era specialmente extraurbano (braccianti, coloni, mina-tori eccetera) e dunque le collettività o i semplici individui erano dispersi su territo-ri vastissimi. Azzeccatissima era dunque l’immagine a cui territo-ricorreva Alberto Pisani Dossi, relatore dell’analogo censimento per il 1881, per rappresentare il patetico ten-tativo dei consoli di raggiungere con le schede gli italiani all’estero e per preferire dunque il censimento “territoriale”, ossia quello nazionale del paese d’immigrazione che, in quanto generale, era condotto in tutte le località indipendentemente dalla pre-senza degli italiani: “Se ci si permette un paragone, diremmo che il censimento con-solare gli è come il getto a caso di una piccola rete in una vasta piscina; poca è la preda; nel territoriale invece si asciuga, per così dire, l’intero stagno e non c’è pescio-lino che sfugga” (Ministero degli Affari esteri 1884: XVIII).

Sfortunatamente, però, era proprio nel caso dei grandi paesi d’immigrazione d’oltreoceano che i censimenti nazionali recenti o mancavano o erano del tutto inu-tilizzabili a causa del fatto che i cittadini stranieri nati in loco e persino parte note-vole di quelli nati all’estero non erano segnalati tra gli stranieri ma aggregati alla massa dei cittadini autoctoni. Partirò dunque dall’analisi del censimento condotto nei paesi d’oltreoceano poiché era qui che, per ammissione degli stessi diplomatici e statistici, il censimento era più impreciso e lontano dalla reale consistenza della presenza italiana.

In alcuni paesi la rilevazione non poté nemmeno essere effettuata, era innanzi-tutto il caso del Messico, per la temporanea mancanza di rappresentanti diplomatici e dove pure la presenza italiana nella capitale era supposta “assai considerevole” e di fatto in tutto il paese sarebbe ammontata a 6.103 individui secondo il censimento del 1881. Non fu effettuata in Equador per la mancanza assoluta di risposte da par-te del console in Guayaquil, non nel distretto consolare di San José di Cucuta in Colombia per le medesime ragioni, non a Santo Domingo, dove le autorità locali non diedero le informazioni sugli italiani richieste dal console, e non in Paraguay (dove pure gli italiani erano supposti essere numerosi) a causa delle difficili condi-zioni in cui versava il paese a seguito della recente aggressione da parte dell’Argentina e del Brasile e della guerra civile. Ma anche nelle più importanti

Isacco Malvano, detto Giacomo, legato politicamente ad Emilio Visconti Venosta, destinato agli alti gradi nella direzione del Mae, socio fondatore della Società geografica italiana (Sgi), consigliere di questa dal 1873 durante la presidenza di Cesare Correnti e promotore di varie indagini della Sgi sull’emigrazione italiana, era al momen-to diretmomen-tore della Direzione generale dei consolati e del commercio del Mae e conosceva quindi molmomen-to bene pre-gi e virtù del personale diplomatico italiano all’estero. Era, inoltre, al momento membro del Consiglio superiore del commercio e anche ciò può avere contribuito all’attenzione strumentale (in politica estera come per l’economia) con la quale, come dirò più oltre, la Giunta centrale di statistica riguardava il censimento degli ita-liani all’estero del 1871. Su Malvano confronta Serra 1992, Università degli studi di Lecce, Dipartimento di scienze storiche e sociali 1987, ad nomen, e Nicolosi.

stinazione le statistiche erano molto incerte. In Argentina, che il censimento rivelò essere allora la prima nazione al mondo per presenza di italiani, esisteva solo il consolato di Buenos Ayres, dunque, per censire l’intero immenso paese ci si rivolse alle autorità locali. Queste rifiutarono di collaborare denunciando il censimento come una indebita ingerenza nella sovranità nazionale. Al 1871 il mito della “più grande Italia al Plata” presso le élite italiane era ancora di là da venire e dunque probabilmente il rifiuto argentino non derivava dal timore dell’eventuale espansio-nismo politico-territoriale italiano.4 In compenso si poterono costituire numerose giunte e sotto giunte di statistica grazie alla generosa e appassionata disponibilità di molti notabili locali italiani con i quali si censì tanto la capitale che le più remote province. Tuttavia, la cifra dei censiti nominativamente nella capitale e nei suoi sobborghi fu giudicata dal console inferiore al vero e quindi aumentata ipotetica-mente del 15 per cento. Quanto alle province, a parte i numerosi rifiuti di farsi cen-sire, Malvano sottolineava “come un grandissimo numero di Italiani abbia potuto sfuggire al censimento”, tanto che per le province di Corrientes, Rosario, Goya ed altre ancora il console, le giunte di statistica e lo stesso Malvano ritenevano che il numero dei censiti nominativamente fosse inferiore del 50 per cento ed anche del 100 per cento alla realtà. In definitiva, sulla base delle cifre ipotetiche riferite dal console e dalle giunte di statistica locali, Malvano ritenne che ai 56.016 italiani contattati direttamente per tutta l’Argentina occorresse aggiungerne altri 20 o 30 mila, giungendo così alla cifra di 90 mila italiani, dove quindi oltre un terzo di essi era calcolato per pura ipotesi e senza alcun riscontro empirico (Statistica generale del Regno d’Italia 1874: LV).

Anche in Uruguay vigeva la presenza di un solo console, nella capitale, e poi-ché esisteva già allora una vasta e dispersa presenza italiana, fu necessario ricorrere alle giunte di statistica. Nonostante la loro capillare azione, console e giunte riten-nero che il numero di 24.136 italiani effettivamente contattati fosse inferiore di cir-ca un terzo a quello realmente presente, stabilendo così la cifra in parte ipoteticir-ca di 32 mila italiani. In Brasile non soltanto era presente il solo console di Rio De Janei-ro, ma, benché non fosse ancora arrivata la grande ondata di coloni veneti e lom-bardi per le piantagioni di caffè, il territorio di presunta distribuzione degli italiani era già immenso. Malvano riteneva quindi che “la difficoltà [di censire] era enorme e quasi insormontabile nelle provincie” anche perché spesso i connazionali non avevano ancora stabile dimora. Soccorsero le autorità locali e le giunte di statistica degli immigrati italiani, ma si riuscì così a contattare direttamente solo 2.519 con-nazionali quando il console riteneva che ve ne fossero, invece, “non meno di 15.000”. La cifra ipotetica accettata era dunque superiore di ben sette volte a quella effettivamente censita. Per le medesime difficoltà, in Venezuela si censirono diret-tamente 1.066 connazionali, ma su suggerimento dei consoli di Caracas e di Mara-caibo si accettò la cifra di 2 mila individui dove, dunque, la parte stimata era pari alla metà della cifra totale accettata. Per l’insieme di Perù, Cile e Bolivia dovette provvedere il solo console di Lima, coadiuvato da giunte e sotto giunte di statistica,

4 Per tale visione imperialista e strumentale dell’emigrazione italiana al Plata e la sua relazione con le illusioni e le delusioni del colonialismo in Africa confronta, tra i tanti: Ostuni 1983b; Ruberti 1996. In generale, per la concezione imperialista dell’emigrazione italiana nell’Italia liberale confronta: Sori 1979: 127-158; Manzotti 1969: 28-29, 48-51, 102-107; Choate 2008; Surdich 1983.

ma il risultato di soli 2.337 italiani venne considerato “come inferiore d’assai al ve-ro” e Malvano, sulla scorta della corrispondenza consolare, riteneva che “l’indifferenza e più ancora la diffidenza dei nazionali sarebbe stata la precipua ca-gione dell’insuccesso” (Statistica generale del Regno d’Italia 1874, XXXIX-XL). Per la Bolivia e il Cile non si riuscì neppure a indicare le cifre ipotetiche che, co-munque, erano giudicate certamente superiori a quelle degli italiani direttamente censiti. Per il Perù, su suggerimento del console, in luogo dei 1.321 connazionali direttamente censiti, si accettò la cifra ipotetica di 4 mila o 5 mila.

La lacuna più grave, però, per scarsità di dati e per importanza della presenza italiana, era quella degli Stati Uniti d’America. Qui i due soli consoli del tempo, quelli di New York e di San Francisco, rifiutarono risolutamente di eseguire il cen-simento diretto avanzando come pretesti l’immensità del territorio loro sottoposto e soprattutto l’indifferenza e l’ostilità dei connazionali al censimento. A loro parere, l’assimilazione quasi immediata operata dalle leggi statunitensi rendeva superfluo il ricorso degli italiani ai propri rappresentanti diplomatici, se non per chiedere sus-sidi in caso di infortunio o malattia. Per tale ragione, come sosteneva il console di New York, De Luca, gli italiani non si registravano neppure nei registri anagrafici

Nel documento I censimenti nell’Italia unita (pagine 150-165)