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Confronto fra il numero dei disoccupati registrati dal censimento del 1931 e quello rilevato dalla Cassa nazionale per le assicurazioni sociali (a)

Nel documento I censimenti nell’Italia unita (pagine 191-198)

L A DISOCCUPAZIONE ATTRAVERSO I CENSIMENTI (1861-1936)

Tavola 12 Confronto fra il numero dei disoccupati registrati dal censimento del 1931 e quello rilevato dalla Cassa nazionale per le assicurazioni sociali (a)

PROFESSIONI

DISOCCUPATI

Al 31.03.1931 Al 21.04.1931

Secondo la Cassa nazionale per le Assicurazioni sociali

Secondo il censimento del 1931

Agricoltura, caccia e pesca

M 128.132 153.975

F 45.311 38.949

MF 173.443 192.924

Industria, trasporti e commercio

M 402.358 525.240 F 109.608 115.208 MF 511.966 640.448 Totale operai M 530.490 679.215 F 154.919 154.157 MF 685.409 833.372 Fonte: Istat 1935: 179

Nel 1936 venne realizzato il nuovo censimento della popolazione; data la vi-cinanza rispetto al censimento precedente, questa volta venne tralasciata l’indagine su determinati fenomeni, alcuni dei quali anche perché meglio rileva-bili con indagini continuative piuttosto che periodiche. Tra i quesiti non ripropo-sti vi era quello sulla disoccupazione (Istat1938:1). Il censimento del 1936 tut-tavia mise per la prima volta in evidenza la figura della persona “in attesa di pri-ma occupazione”, in riferimento a coloro che, pur essendo in grado di svolgere un’attività professionale per limiti di età e per preparazione, non l’avessero anco-ra mai svolta. La posizione di costoro, quantunque assimilata a quella degli inat-tivi, venne interpretata come transitoria. Data la provvisorietà della loro condi-zione non professionale, essi furono considerati come potenzialmente parte della popolazione attiva, costituendo nei fatti una parte dell’eccedenza dell’offerta di lavoro sulla domanda (Istat1939: 113).

Durante gli anni dell’avvio e del consolidamento del regime fascista l’informazione statistica sulla disoccupazione fu caratterizzata nel complesso da lacunosità e insufficienze. In una certa misura le difficoltà in cui versava la statisti-ca del merstatisti-cato del lavoro erano comuni a tutti i rami dell’apparato pubblico di rile-vamento. Nel 1928, nel 1931 e ancora nel 1941 vennero condotte alcune ricerche all’interno di una Commissione di studio per la statistica della disoccupazione, per stabilire criteri di rilevamento e classificazione dei disoccupati iscritti agli Uffici di collocamento. Questi tentativi, di fatto, non portarono ad alcun risultato concreto. Un indice della generale difficoltà a giungere a un risultato soddisfacente nell’indagine statistica sul mercato del lavoro è probabilmente il fatto che negli

Annali di statistica nel complesso i dati sul lavoro occuparono in questo periodo un

posto secondario (Favero e Trivellato 2000: 263-264 e sgg.).100

Tabella 13 - Popolazione attiva e inattiva secondo i censimenti (1861-1936) (a)

Popolazione attiva Popolazione inattiva Popolazione

totale

valore assoluto % sulla popolazione totale valore assoluto % sulla popolazione totale

1861 15.535.000 59,0 10.793.000 41,0 26.328.000 1871 15.941.000 56,6 12.210.000 43,4 28.151.000 1881 16.090.000 54,0 13.701.000 46,0 29.791.000 1901 16.695.000 49,4 17.083.000 50,6 33.778.000 1911 17.497.000 47,4 19.424.000 52,6 36.921.000 1921 17.468.000 46,1 20.388.000 53,9 37.856.000 1931 18.212.000 44,4 22.831.000 55,6 41.043.000 1936 18.583.000 43,8 23.816.000 56,2 42.399.000 Fonte: Istat 1976: 14

(a) Tra gli inattivi sono comprese le persone in cerca di prima occupazione.

10 Per una riflessione più ampia sull’informazione statistica relativa alla disoccupazione negli anni del regime, e per alcune considerazioni generali sul rapporto fra l’ideologia ruralista del fascismo, la sua politica natalista e l’approccio al problema della disoccupazione rimando ad Alberti 2011.

5. Conclusioni

L’esame dei censimenti realizzati in Italia fra il 1861 e il 1936 permette di mettere in risalto come la nozione di disoccupazione sia emersa soltanto tra Otto-cento e NoveOtto-cento, mantenendo tuttavia un elevato grado di indeterminatezza an-che durante i decenni successivi. I primi censimenti classificarono come non attivi gli individui stabilmente senza professione, definendoli però talvolta “disoccupati”. Di fatto, fino al 1881, i censimenti non contemplavano la registrazione della condi-zione del lavoratore abile al lavoro ma momentaneamente privo di un impiego. So-lo a partire dal 1901 la disoccupazione temporanea venne distinta da quella croni-ca, con l’inserimento di una domanda specifica nella scheda del censimento. La de-finizione di disoccupazione temporanea adottata nel 1901 includeva soltanto i lavo-ri manuali, e poteva comprendere anche l’inattività per malattia.

L’esperimento del 1901 probabilmente non diede i risultati sperati, tanto è ve-ro che il quesito sulla disoccupazione venne tralasciato nei due censimenti succes-sivi e ripreso solo nel 1931. A favore di questa scelta giocò anche la progressiva diffusione di dati sul mercato del lavoro di altra natura, in particolare di quelli pub-blicati con regolarità dall’Ufficio del lavoro governativo a partire dal 1904, ricavati per lo più dalle organizzazioni sindacali.

Da un esame complessivo dei censimenti considerati anche le nozioni di “atti-vità” e “inatti“atti-vità” risultano da molti punti di vista problematiche. Gli elementi di distorsione più evidenti connessi all’utilizzo di queste due categorie sono, come è noto, la sottostima del lavoro femminile e l’impossibilità di rendere conto dell’irregolarità del lavoro tanto degli uomini quanto delle donne.

La diversa rappresentazione del lavoro maschile e femminile (il primo ricondot-to al modello del breadwinner, il secondo a quello della domesticità) ha avuricondot-to come esito da un lato una sottostima dell’attività lavorativa femminile, dall’altro una sovra-stima di quella maschile. Come hanno affermato Barbara Curli e Alessandra Pescaro-lo, “la zona grigia dei lavori flessibili rimane nascosta, per un lungo periodo, al fem-minile dalla immagine della domesticità, al maschile dall’attribuzione di una profes-sione a tutti gli uomini nelle età centrali” (Curli, Pescarolo 2003: 98).

Le donne dedite alle attività domestiche erano considerate, al pari di tutti gli altri inattivi, “senza professione determinata”, con la conseguenza che nei censi-menti presi in esame le donne costituivano la parte largamente maggioritaria degli individui considerati al di fuori di una condizione professionale. La condizione di disoccupazione temporanea, infatti, anche quando fu oggetto dell’indagine censua-ria, venne attribuita molto più agli uomini che non alle donne.

La sottostima nei dati censuari del lavoro femminile agricolo, caratterizzato da una forte promiscuità tra le occupazioni domestiche e quelle dei campi, è un fatto no-to, che, dopo un’accentuazione a partire dal censimento del 1901, assunse la sua massima intensità nei rilevamenti del ‘31 e del ‘36. Nelle indagini dell’Istat le donne erano massicciamente classificate come “coadiuvanti”, cioè aiutanti non titolari della professione. La categoria del coadiuvante, introdotta negli anni Trenta, assunse subi-to una connotazione marcatamente femminile: stando ai risultati del censimensubi-to del 1931 i coadiuvanti costituivano il 41,5 per cento dei maschi attivi in agricoltura, e l’84,5 per cento delle donne occupate nello stesso settore (Salvatici 1999: 16).

Prescindendo dai diversi fattori di distorsione della realtà già presi in considera-zione, va sottolineato che più in generale la comparazione fra i risultati dei diversi censimenti risulta problematica sia per la continua modifica dei criteri di rilevamento e di classificazione dei dati, sia per la variabilità della data del censimento (nel 1861, nel 1871 e nel 1881 il 31 dicembre; nel 1901 il 10 febbraio, nel 1911 il 10 giugno, nel 1921 il 1° dicembre, nel 1931 e nel 1936 il 21 aprile) (Tavola 9).1111

Nell’arco di tempo preso in considerazione l’emergere della nuova categoria di disoccupato temporaneo, la ridefinizione delle nozioni di attività e inattività e il processo di progressiva sottovalutazione del lavoro femminile devono molto, infi-ne, anche al tentativo, portato avanti dagli statistici, di convergere verso criteri di classificazione del lavoro condivisi a livello internazionale. (Patriarca 1998; Roll-Hansen 2010). È all’interno di questo più ampio contesto che vanno collocate le trasformazioni che ho esaminato.

11 I lavori di Ornello Vitali risalenti agli anni Sessanta, tesi a valutare criticamente l’attendibilità dei dati dei cen-simenti e a rendere comparabili le informazioni sugli attivi e sugli inattivi, restano ancora oggi un punto di rife-rimento (Vitali 1968; Vitali 1970). Ricollegandosi a questo filone di indagine, successivamente anche Vera Za-magni ha ripreso il lavoro di ricostruzione delle serie storiche dei dati censuari, con particolare riferimento alle informazioni sull’occupazione (Zamagni 1987).

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