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II. Archeologia in contesti industriali: una selezione di esempi significat

2.8 La Centrale Montemartini di Roma

Questo museo romano, sul Viale Ostiense 106, situato in una centrale elettrica, nasce da un'esposizione temporanea del '97, “Le Macchine e gli Dèi”, che affiancava ai reperti provenienti dai Musei Capitolini gli strumenti e i macchinari preesistenti testimonianti l'attività industriale: il successo della mostra è stato tale da renderla permanente nel 2005, rappresentando un perfetto connubio tra archeologia classica e archeologia industriale.

2.8.1 La storia dell'edificio

Il museo è situato all'interno della Centrale Montemartini, il primo impianto pubblico a produrre energia elettrica a Roma134, costruito agli inizi del XX secolo per

assecondare la precisa volontà politica di rinnovato orgoglio municipale e attenzione sociale del sindaco Ernesto Nathan. Attiva dal 30 giugno 1912, la centrale fu costruita lungo la Via Ostiense, tra i Mercati Generali e la sponda sinistra del Tevere135.

La costruzione di 20.000 metri quadrati fu realizzata in stile proto-razionalista, con raffinati dettagli in stile liberty, intitolata alla memoria del professor Giovanni Montemartini(Assessore al Tecnologico nella giunta Nathan, morto nel 1913), a cui si deve il progetto tecnico-finanziario della centrale. Rispetto al progetto originario la centrale subì nel tempo diverse modifiche legate quasi esclusivamente all'aspetto impiantistico: nata infatti come centrale a vapore, venne trasformata in una centrale diesel, con modernissimi macchinari produttivi come gruppi di motori diesel ed un turbo-alternatore a vapore136. La centrale assicurò per molti anni una progressiva

134 Forestiero, 2008.

135 Proprio in quegli anni era iniziata una sistematica industrializzazione dell'area ostiense, dato che la sua localizzazione rispondeva a diverse esigenze funzionali: la vicinanza al fiume poteva garantire la continua disponibilità di acqua, la collocazione al di fuori della cinta daziale garantiva l'esenzione dalle imposte sul combustibile e coincideva con una zona identificabile come la più antica della città; tale zona comprendeva, oltre alla suddetta centrale, anche il mattatoio, il gasometro, le strutture portuali, l'ex-Mira Lanza e gli ex- Mercati Generali.

illuminazione pubblica della città137.

Nonostante l'entrata in funzione di altre centrali elettriche, quella di Montemartini rimase a lungo in funzione, rinnovando periodicamente le macchine in uso (i cui motori diesel erano appartenenti alla ditta Tosi, sia quelli degli anni Venti sia degli anni Trenta), e modernizzando di conseguenza anche la rete cittadina di distribuzione dell'energia elettrica.

L'attività della Centrale non si fermò nemmeno durante la seconda guerra mondiale, periodo in cui questo fu praticamente l'unico impianto di produzione di energia elettrica sul quale la città poteva fare affidamento quando le truppe alleate entrarono a Roma nel '44, scampando anche alle distruzioni dei guastatori tedeschi del 1943 grazie ad uno stratagemma: si dice infatti che i dipendenti dell'Azienda esponessero sull'edificio le bandiere bianco-gialle per farla credere di proprietà del Vaticano. Dopo la guerra l'Aem (Acronimo di Azienda Elettrica Municipale, oggi Azienda Comunale Energia e Ambiente, società che che gestisce e sviluppa servizi pubblici nei settori dell'acqua, dell'energia e dell'ambiente) ripristinò ed ammodernò gli impianti. In tutto il paese ferveva la ricostruzione, la situazione economica migliorava sensibilmente e i consumi dell'utenza Acea salirono di nuovo (dai 224 milioni di kWh del 1946 ai 431 milioni del 1952). Tuttavia, sul finire degli anni Cinquanta, ebbe inizio il declino della Centrale: priva di automatismi, ormai indispensabili per il funzionamento corretto di qualsiasi grande impianto, oberata da costi di manutenzione elevati, presentòava una gestione troppo onerosa. Inoltre, a soddisfare le richieste dei clienti, in numero continuamente in crescita, vennero realizzati nuovi impianti. Nel 1963 una parte della Montemartini chiuse i battenti e pochi anni dopo anche la parte restante cessò la produzione di energia elettrica. 2.8.2 Dalla mostra al recupero della struttura

Negli anni Ottanta la centrale venne ristrutturata e riconvertita in Centro Multimediale e Art Center dall'Acea, su progetto, poco pubblicizzato, dello studio Nervi: tale progetto si concentrò sul corpo centrale del complesso, al fine di renderlo

137 I dati ci dicono: 131.000 kilowattora “consumati” dalla rete elettrica stradale nel 1912, 3 milioni e 300.000 nel 1915 e quasi 4 milioni e 440 mila nel 1920, mentre i lampioni passarono dai 4.900 del 1915 (non abbiamo dati in merito al 1912) ai 9.730 del 1920, (Cfr. Bertoletti et al., 1998).

un punto di riferimento per le attività terziarie e direzionali collegate ai quartieri Eur e Portuense138.

Negli ambienti di collegamento tra la sala macchine e quella delle caldaie vennero effettuati interventi di demolizione di alcune murature e di opere in cemento armato, rimossi paranchi e piani di scorrimento, ripristinati dei solai già esistenti, integrati e rifatti i pavimenti ed il rivestimento in pietra serena della nuova scala d'accesso, realizzate nuove murature, intonaci e rivestimenti impermeabili. L'operazione compiuta dall'Acea non aveva precedenti a Roma e rappresentò un momento di passaggio d'importanza vitale per il quartiere Ostiense, senza contare che, con il recupero della centrale si ripropose il problema della salvaguardia di una tipologia di patrimonio culturale, quello industriale, spesso ignorato da pubblico e addetti ai lavori.

Nel 1997 si cercava una sede adatta per poter ospitare una mostra temporanea per parte delle collezioni dei Musei Capitolini, collocate nei loro magazzini: la necessità di disporre di una grande struttura, adatta ad ospitare sculture monumentali e alla ricostruzione di complessi archeologici, su cui spicca il frontone del Tempio di Apollo Sosiano139, fece ricadere la scelta sulla vecchia centrale.

I reperti esposti erano venuti alla luce durante i lavori edilizi per Roma Capitale, nel 1870, da parte della Commissione Archeologica Municipale, istituita per l'occasione, che seguì e documentò gli scavi connessi alle opere di urbanizzazione umbertina, funzionale alla realizzazione dei quartieri residenziali riservati alla classe di “ministeriali” che sarebbe giunta in città per occuparsi dello Stato unitario: gli imponenti cambiamenti nell'assetto territoriale trasformarono radicalmente il paesaggio urbano, con conseguente distruzione di ville e giardini circondanti la città140. Nonostante questi interventi distruttivi si salvò un'enorme mole di

materiali141, i quali vennero depositati momentaneamente in magazzini provvisori

138 Bertoletti, Cima, Talamo, 1998. 139 Bertoletti, Cima, Talamo, 2006.

140 A questo proposito uno degli episodi più famosi di questa distruzione fu quella della perdita di Villa Ludovisi-Boncompagni, tra Pincio e Quirinale.

141 Tra i vari materiali rinvenuti negli sterri tra il 1872 e il 1885 ed enumerati da Rodolfo Lanciani citiamo: 705 anfore con iscrizioni; 2360 lucerne in terracotta; 1824 iscrizioni in marmo o in pietra; 77 colonne di marmi rari; 313 pezzi di colonne; 157 capitelli di marmo; 118 basi; 590 opere in terracotta; 405 opere in bronzo; 711 tra gemme, pietre incise e cammei; 18 sarcofagi di marmo; 152 bassorilievi; 192 statue di marmo (in ottime

allestiti nelle zone di scavo e poi – divise a seconda della diversa “dignità” allora attribuita loro – presero strade diverse142. Nel tempo infatti questi reperti furono

esposti, anche se solo in forma parziale, nei Musei Capitolini.

Una volta scelto il luogo di esposizione dei reperti si resero necessarie diverse modifiche, come nella Sala Macchine, dove è stato necessario demolire un soppalco laterale, riverniciandolo poi con tinte analoghe a quelle preesistenti, sostituire le tende motorizzate e rimuovere quelle oscuranti143. Tutto questo con in mente il

duplice obiettivo di esaltare il contenitore, da considerarsi di per sé un museo a tutti gli effetti, attraverso il suo contenuto, e cercare di mantenere il delicatissimo equilibrio tra due realtà a confronto, quella archeologica e quella industriale: l'effetto che ottenuto ha portato all'interazione di queste due realtà senza snaturarsi a vicenda, concentrando l'attenzione dei visitatori ora sulla macchina industriale, ora sulle sculture antiche, portando inevitabilmente ad un contrasto tra “Le Macchine e gli Dèi”, da qui il titolo della mostra, curata dal Professor Eugenio La Rocca e con l'intervento dall'architetto Francesco Stefanori per il restauro architettonico.

Nuovi interventi vennero fatti anche per il secondo ed il terzo piano. Per ospitare la caffetteria vennero demolite delle opere in ferro e cemento armato, basamenti in ghisa ed alcune murature di rifacimento; venne consolidato il solaio e realizzate le opere complementari per le scale esterne. Sempre in questi settori furono demolite le opere in ferro e in cemento armato, i basamenti in ghisa e alcune murature, realizzandone di nuove con intonaci, rivestimenti e contro-soffittature. Gli ambienti vennero sottoposti a tinteggiatura e verniciatura e la pavimentazione vennero rifatte. Per la realizzazione degli impianti tecnologici si è cercato di rispettare quanto più possibile gli standard qualitativi indicati dalla Direzione dei Musei Capitolini, in specie per quel che riguarda la conservazione delle opere esposte. Nel progetto fu inoltre previsto anche l'adeguamento del sistema delle vie d'uscita alle vigenti

condizioni); 21 figure di animali in marmo; 266 tra busti e teste; 54 pitture (in mosaico policromo); 47 oggetti in oro; 39 oggetti in argento; 36.679 monete (in oro, argento e bronzo); un'enorme quantità di piccole reliquie in terracotta, osso, vetro, smalto, piombo, avorio, bronzo, rame e stucco.

142 Le statue furono esposte in Campidoglio; i mosaici, gli affreschi e gli elementi decorativi nel

magazzino al Celio (il quale, nel 1929, fu inaugurato come Museo dell'Antiquarium Comunale); per gli Horti Lamiani e di Mecenate furono allestite alcune sale in Campidoglio, benché non tutte furono esposte, grazie alla meraviglia che suscitarono all'epoca.

esposizioni di legge.

L'interesse di pubblico e di addetti ai lavori via via crescente ha trasformato la mostra da esperimento temporaneo a sede permanente per parte delle collezioni dei Musei Capitolini, e questo nonostante la riapertura di alcuni settori dei Musei Capitolini, alla fine di una lunga stagione di ristrutturazioni, che ha visto il rientro delle sculture dei giardini dell'Esquilino (ad esempio gli Horti Lamiani, di Mecenate, i Tauriani e i Vettiani) che sono tornate nel Museo del Palazzo dei Conservatori come ricordo dell'ordinamento ottocentesco che rifletteva l'orgoglio delle grandi scoperte di Roma Capitale144.

2.8.3 L'odierno percorso museale: la Sala Colonne

Una volta superata l'imponente facciata, decorata da cornici marcapiano, lesene, capitelli e fregi, l'esposizione si snoda attraverso un percorso che illustra le fasi più antiche della città, dall'età arcaica a quella tardo-repubblicana, ponendo l'accento sui momenti principali dell'evoluzione urbana, i quali sono documentati dagli esemplari più significativi delle collezioni capitoline che, seppur frammentarie, restano comunque in grado di esprimere il clima delle grandi conquiste militari e delle campagne di propaganda.

Il percorso museale ha inizio al piano terra, dove si trova la stanza detta delle Colonne, nome che deriva dai numerosi pilastri in cemento armato che originariamente avevano il compito di sostenere le tre caldaie poste nella sala al piano superiore. Sul soffitto sono ancora visibili delle tramogge, simili ad imbuti tronco-piramidali, che si riempivano con le scorie del carbone usato per alimentare le caldaie.

Questo spazio è quasi privo di luce naturale, motivo per cui l'allestimento è stato progettato in un colore giallo-oro in modo da avere uno sfondo luminoso per i reperti esposti, inerenti all'età repubblicana ed alla sfera religiosa e funeraria, come le pitture della tomba dei Fabii e della tomba Arieti che riflettono nella sfera privata la memoria delle tabulae triumphales (Fig. 2.36), nonché reperti relativi alla vita privata e alla ritrattistica. È infatti presente, ad esempio, una cassa in peperino con coperchio a doppio spiovente con decorazioni semplici (Fig. 2.37) che serviva a protezione e contenimento dell'altra, ben più preziosa, in marmo greco e decorata

originariamente con colori di cui ormai non restano che labili tracce.

Inoltre, in un settore inaugurato nel dicembre del 2017, sono esposti sarcofagi in ottime condizioni sarcofagi di vario tipo, come uno in marmo proconnesio raffigurante Apollo e Marsia risalente al II secolo d.C., e un altro con vittorie alate sempre in marmo proconnesio dell'ultimo quarto del II secolo d.C. Presenti nel complesso e inserite su apposite pedane anche terrecotte, lettighe, e statue, la più importante è forse il c.d. Togato Barberini (Fig. 2.38), la cui toga è il riflesso della cittadinanza romana imposto da Augusto, che sostiene le immagini degli antenati (padre a sinistra e nonno a destra). Presenti anche diversi ritratti di uomini illustri, quali Marco Antonio (o Catone il Censore), Caio Giulio Cesare, Augusto e via dicendo, ma anche teste di barbari, ritratti femminili e stele.

Fig. 2.37: Centrale Montemartini – Cassa in peperino a doppio spiovente (Sala delle Colonne). Foto

da Bertoletti M. et al., 1997, pag. 41.

2.8.4 La Sala Macchine

Dal piano terra una scala conduce a quella che per molti è la sala più bella della Centrale Montemartini, ovvero la Sala Macchine. La sua principale caratteristica è rappresentata da due colossali motori diesel completamente restaurati (Fig. 2.39-40). La sala è inoltre caratterizzata da uno studio approfondito dei dettagli: il pavimento a mosaico policromo disegna il perimetro dei macchinari, i lumi di ghisa blu alle pareti, l'alto zoccolo in finto marmo e le ampie vetrate che incorniciano un panorama esterno in cui svettano il gasometro e gli altri macchinari industriali. In questa sala sono esposti reperti appartenenti alla fase tardo-repubblicana, vale a dire nel periodo in cui a Roma si assiste a quel rinnovamento artistico e architettonico che avrà il suo culmine in età imperiale.

Fig. 2.39: Centrale Montemartini – Sala Macchine, statue affiancate ai motori diesel di fronte al

Fig. 2.40: Centrale Montemartini – Sala Macchine, particolare con statue con alle spalle il gigantesco

motore. Foto dell'autore.

Nello spazio centrale della sala macchine è stata inserita una struttura che richiama un porticato stilizzato, realizzato in compensato e dipinto in celeste cinerino, che da un lato riprende i colori del mosaico del pavimento ed allo stesso tempo lascia in vista lo spazio preesistente con le enormi macchine che occupano gli spazi laterali della sala, scandita come le navate di una chiesa, e così facendo l'apparato espositivo, che svolge inoltre la funzione pratica di ospitare una parte degli impianti tecnologici – in primis i corpi illuminanti – evoca un ambientazione consona agli oggetti ospitati, statue e busti, culminando con l'espediente della fuga della trabeazione che conduce verso un finto timpano, sormontato ed enfatizzato dal vecchio carroponte dove sono collocati frammenti provenienti da un elemento architettonico originario ora disperso.

Ogni pezzo è ospitato all'interno dello spazio definito ed incorniciato dalla finta campata, che a sua volta riecheggia ed amplifica la scansione ad elementi verticali già presente nelle macchine poste alle spalle. Questa soluzione ritmica è congeniale non solo alle imponenti macchine ma anche ai reperti archeologici presenti nei corridoi laterali con busti montati come erme ed inquadrati sullo sfondo di un

riquadro di ghisa145.

Il reperto archeologico principale della sala è la decorazione frontonale del Tempio di Apollo Sosiano (Fig. 2.41), composta da uno straordinario gruppo di sculture provenienti dalla Grecia, inserite sullo sfondo della ricostruzione stilizzata del timpano, e fronteggiata da una splendida scultura marmorea di Atena.

Fig. 2.41: Centrale Montemartini – Ricostruzione del frontone del tempio di Apollo Sosiano (Sala

Macchine). Foto dell'Autore.

La composizione rappresenta un'Amazzonomachia, in cui si è riconosciuto uno degli episodi legati al mito di Eracle. Al centro della scena campeggia l'immagine acefala di Atena, con peplo attico e egida, ispirata alla Parthenos di Fidia, alla sua destra Eracle, caratterizzato da una grande resa anatomica della possente muscolatura, che sta muovendo contro un'amazzone, forse Ippolita, della quale resta solo una parte del torso coperto da un morbido panneggio del peplo attico. Una Nike frammentaria e sospesa in volo, alla sinistra di Atena, pone sul capo di Teseo una corona, simbolo di vittoria. Tutte le sculture del gruppo frontonale erano originariamente policrome, come si evince dalle tracce di colore sulla Nike. Sulla base di considerazioni di

carattere stilistico è stato proposto di attribuire la creazione del complesso frontonale ad una personalità artistica che ha subito l'influsso della tradizione ionica e di datarne l'esecuzione in un periodo compreso tra il 450 e il 425 a.C. Allo stesso periodo sono datate le metope e il fregio del Partenone, con cui le sculture del frontone del Tempio di Apollo Sosiano condividono strette analogie.

In questa sede viene presentata anche un'ipotesi ricostruttiva di un piccolo monumento di forma circolare, il c.d. Perirrhanterion (Fig. 2.42), i cui frammenti furono recuperati nell'area del Teatro di Marcello, dove vennero depositati dopo il loro rinvenimento negli anni Trenta146.

Fig. 2.42: Centrale Montemartini – Perirrhanterion (Sala Macchine). Foto dell'Autore.

L'opera appare frammentaria e composta da parti di fregio-architrave decorati con rami d'alloro e bucrani sul lato esterno e con girali di acanto su quello interno, da due capitelli corinzi ed una piccola porzione della cornice, il tutto sorretto da sostegni metallici. Il piccolo edificio è databile, in base all'iscrizione con dedica di Vespasiano e ai caratteri stilistici dei rilievi vegetali, alla prima età flavia, e doveva sorgere tra il Tempio di Apollo ed il Teatro di Marcello147.

L'allestimento di questa seconda sala gioca sui toni dell'azzurro e ha il compito di

146 Bertoletti, Cima, Talamo, 2006. 147 Cfr. nota precedente.

delimitare lo spazio, servendo da confine tra ciò che si espone e ciò che fa parte dell'ambiente.

Altre opere qui mostrate provengono dall'area sacra di largo Argentina, che fu esplorata negli anni Venti del secolo scorso e portò alla luce quattro templi di età repubblicana. Nelle vicinanze di uno di questi è stata rinvenuta, anche se frammentaria, una colossale statua di culto, lavorata con la tecnica dell'acrolito (parti nude lavorate in marmo e mantello in bronzo), ricostruita come figura stante che reggeva, nell'incavo del braccio destro, un corno dell'abbondanza, simbolo della divinità: l'altezza, così come viene ricostruita, viste le dimensioni della testa (1,46 metri, Fig. 2.43), doveva raggiungere gli otto metri, misura corrispondente alle misure del tempio. È questo un esempio eccezionale di statua cultuale con datazione piuttosto precisa (intorno al 100 a.C.), che ben rappresenta il gusto spiccatamente classico dell'epoca148.

Fig. 2.43: Centrale Montemartini – Testa colossale in esposizione (Sala Macchine). Foto dell'Autore.

148 Per la sua creazione è stato avanzato il nome di Skopas minore, artista greco chiamato a lavorare a Roma, insieme a molti altri, per mettere in forma greca le divinità romane.

2.8.5 La Sala delle Caldaie

Questa seconda sala ospita l'enorme caldaia a vapore (Fig. 2.44), che le dà il nome e, al pari dei motori diesel della precedente, impone in maniera vistosa la sua presenza grazie ai suoi quindici metri di altezza. Da segnalare l'analogia di interventi di demolizione e riverniciatura applicati alla Sala Caldaie proprio come nella sala macchine, con l'aggiunta della messa a norma della scala verso il Tevere. Anche nella Sala Caldaie sono state predisposte soluzioni espositive analoghe a quelle della Sala Macchine, creando strutture espositive che trasformano il grande vano quadrangolare antistante in uno spazio a metà strada tra il giardino di una villa e un museo, aiutata forse dalla scelta del verde come tinta dominante. Si arriva così alla sensazione di essere immersi in un mondo acquatico, una grande piscina o vasca, forse anche per via delle enormi vetrate e per il mosaico pavimentale che insistono sempre su questo tono lacustre.

A differenza della Sala Macchine, dove l'arredo museale offriva la lettura di uno spazio orientato in maniera rettilinea come una specie di basilica o di tempio, in quest'ambiente gli elementi pannellati scandiscono tante aree quadrangolari, come horti, vasche o giardini, a cui corrispondono esattamente, nella parte superiore della sala, le strutture della griglia delle luci da teatro.

Gli aspetti connessi alla sfera privata sono illustrati in questa sala per mezzo della ricostruzione dell'apparato decorativo di grandi residenze gentilizie, come gli Horti Sallustiani sul Quirinale e i Liciniani sull'Esquilino, magnifici nella sala sono le statue e i ricchi mosaici delle domus in esposizione, circondati da corde (Fig. 2.45- 46). In questa sala erano anche esposti reperti provenienti dagli horti Lamiani, da quelli di Mecenate, dagli Horti Tauriani e quelli Vettiani, ma la stragrande maggioranza di questi reperti sono stati riportati ai Musei Capitolini, una volta finiti i restauri nel 2005.