• Non ci sono risultati.

II. Archeologia in contesti industriali: una selezione di esempi significat

2.7 Il Museo delle navi antiche di Pisa

Questo museo, aperto al pubblico da domenica 16 giugno 2019, si trova negli Arsenali Medicei pisani ed è costituito da un insieme di edifici cinquecenteschi adibiti originariamente alla costruzione di navi, ubicati sul lungarno pisano, nei pressi dell'antica area oggi conosciuta come Cittadella, ed ospita le antiche navi romane ritrovate fortunosamente a fine anni Novanta durante i lavori di ammodernamento della stazione di Pisa San Rossore (Fig. 2.28).

Fig. 2.28: Museo delle Navi Antiche – Facciata. Foto dell'Autore.

2.7.1 La storia dell'edificio

Realizzato su disegno di Bernardo Buontalenti, architetto fiorentino vissuto tra XVI e XVII secolo, l'edificio fu costruito durante gli anni di potere di Cosimo I, come parte della sua politica di riorganizzazione territoriale pisana, vicino ai preesistenti arsenali repubblicani, antico complesso di edifici del XIII secolo volto alla produzione di galee per l'antica Repubblica di Pisa. Dopo i bombardamenti della seconda guerra

mondiale è rimasto un solo edificio.

Il complesso è composto da una serie di capannoni in mattone, originariamente aperti, con la facciata rivolta sull'Arno. Già aperti prima del 1540, i cantieri sono stati fin da subito attivi nella produzione di galee. Nel XVII secolo la loro crescita venne ostacolata dalla costruzione di nuovi arsenali a Livorno e Portoferraio, tuttavia la sua attività continuò fino al secolo successivo mediante ordini privati. Nel XIX secolo si ha la definitiva chiusura degli arsenali, trasformati nella sede della scuderia reale dei Lorena111. Durante la seconda guerra mondiale tutta la zona viene colpita da

bombardamenti, che danneggiano notevolmente il complesso.

Dopo il restauro architettonico della struttura iniziato nel 2013, gli arsenali sono destinati ad ospitare il museo ancora in fase di allestimento.

2.7.2 Il recupero: dal cantiere di scavo al museo

La rinascita dell'edificio è stata possibile grazie unicamente alla straordinaria scoperta delle imbarcazioni avvenuta nella stazione ferroviaria di Pisa San Rossore. L'identificazione delle navi avvenne durante i lavori per la realizzazione di un fabbricato, nel 1997, voluto dalle Ferrovie dello Stato, funzionale alla nuova gestione della linea tirrenica nell'area destinata a piano caricatore merci del complesso ferroviario della stazione di Pisa San Rossore. Prima della sua costruzione sono stati fatti dei saggi preventivi, i quali hanno confermato l'interesse archeologico della zona, confermato dalla scoperta del porto antico e dai relitti di navi112. Le Ferrovie

dello Stato rinunciarono a portare a termine il loro progetto, portando nel novembre del 1998 a cominciare le operazioni di scavo (Fig. 2.29). Le scoperte presentavano caratteri di particolare rilevanza, non solo per l'alto numero di imbarcazioni individuate – databili tra inizio del II e fine del V secolo d.C. – e per il loro stato di conservazione eccezionale, ma soprattutto per la possibilità di indagare il contesto di un porto nella sua interezza, potendone ricostruire la storia, compresa tra l'età classica e l'età tardo-antica113.

L'interesse che fin da subito suscitò ha fatto sì che intervenissero il Capo del Governo e i vertici politici di alcune amministrazioni locali, oltre che la cittadinanza

111 Notizia riferita dal professor Maurizio di Puolo. 112 Bruni, 1999.

pisana stessa, fortemente entusiasta dei ritrovamenti, e fu proprio grazie a questi interventi e a questo interessamento che le ricerche poterono andare avanti114.

Fig. 2.29: I primi scavi alla stazione di S. Rossore. Immagine da Camilli A. et al., 2007, Roma, pag.

61.

La collocazione cronologica di questo contesto (un antico porto) è ardua e incerta, in quanto ubicato all'interno di un'area d'insediamento risalente almeno alla fine del IX secolo a.C., tuttavia numerosi materiali consentono di collocare l'esaurirsi del suo utilizzo come area portuale tra il V e il VI secolo, in coincidenza con il tracollo del sistema urbano romano (non a caso i livelli più superficiali di questo bacino hanno restituito diverse parti di pavimenti a mosaico, pareti affrescate stucchi ed elementi architettonici in marmo e ciò che resta di una piccola statua in marmo con segni di antichi restauri). Lo scavo inoltre evidenziò che questo settore portuale conobbe in età antica un graduale e progressivo interramento, provocato dai depositi alluvionali dell'Auser, e trattandosi di un porto interno è naturale che fosse soggetto ad insabbiamento, grazie al quale le navi si sono conservate in ottimo stato, questo influì anche sulla situazione stratigrafica, con un'alternanza di sedimenti terrestri e fluviali che rese difficile determinare la proda del porto, che comunque sembra collocarsi pochi metri oltre il limite meridionale dell'area di scavo115.

114 Bruni, 2002. 115 Cfr. nota precedente.

Il lavoro degli archeologi, tra ottobre 1999 e marzo 2000, riportò alla luce un grande canale con andamento rettilineo orientato in senso nord-est/sud-ovest, realizzato verosimilmente tra la tarda età augustea e l'età tiberiana in base ai materiali in esso recuperati116, ed una serie di strutture di incerta funzione, due fosse rettangolari e un

pozzetto a pareti verticali, che i materiali associati117 indicano come coeve al canale.

Al di sotto di queste strutture, ad una quota di circa -3,50 metri, è stato individuato uno strato sabbioso, apparentemente privo di strutture, con materiali del II-I secolo a.C.

In ogni caso la scoperta più singolare di tutta l'area è costituita dal rinvenimento di ben sedici imbarcazioni, giunte fino a noi in un eccezionale stato di conservazione grazie alle particolari condizioni di giacitura in cui versavano, e con simili ritrovamenti fu chiara la necessità del loro mantenimento e della divulgazione delle scoperte, nonché della loro fruizione pubblica.

Fin da subito non mancarono i problemi: da chi ritenne tempo sprecato tutta quanta la ricerca, credendo che ben poco di quanto veniva riportato alla luce avesse una qualche importanza, ai problemi di conservazione dei reperti, tuttavia risultava chiaro fin da subito ai più l'unicità del contesto Pisa San Rossore, dato il suo essere uno dei cantieri archeologici più complessi del Mediterraneo per quantità e – soprattutto – qualità dei rinvenimenti e per i problemi sul loro mantenimento: era necessaria una sede museale.

La conservazione dei reperti fu un evidente problema perché, nonostante l'eccezionale stato di conservazione, le stesse operazioni di scavo portarono ad un rapido degrado dei materiali e pertanto risultò necessario trovare un luogo sicuro dove preservarle. Per la loro conservazione è stato scelto l'uso di vetro-resina Kauramin, resina della ditta farmaceutica tedesca BASF, già usata per le navi rinvenute a Magonza; una scelta andata incontro a notevoli resistenze, in parte per la sua tossicità, bassa ma comunque presente, ma soprattutto per la sua principale caratteristica, ossia il suo essere irreversibile118.

Nel febbraio del 2000 una commissione scientifica presieduta da Salvatore Settis

116 Tra i quali degne di menzione frammenti di anfore di tipo Dressel 2-4 di produzione italica, Dressel 7-11 e un frammento di un fondo di una coppa di sigillata italica con bollo rettangolare CN.ATEI.

117 Frammenti di anfore tipo Dressel 2-4, Dressel 6.A, Dressel 7, Dressel 7-11, di sigillata italica, parete sottili.

ebbe l'incarico di tracciare le linee guida per un museo dedicato ai reperti dell'antico porto urbano119. La commissione produsse una prima relazione (14 Settembre 2000)

dove si individua la sede museale più appropriata: gli Arsenali Medicei, complesso monumentale capace di evocare l'antica grandezza marinara della città che l'anno precedente aveva già ospitato i reperti di San Rossore in una mostra120.

Nella relazione vengono poi individuate le linee portanti del futuro museo: un museo che tramite le navi rinvenute durante le operazioni di scavo, avrebbe raccontato una storia più vasta, comprendente quella delle rotte commerciali nel Mediterraneo, delle tecnologie della navigazione, della circolazione di persone, degli scambi di merci. La stessa commissione, ampliata il 16 luglio 2001, realizzò una seconda relazione con un quadro tecnico-scientifico del contesto urbano e del complesso degli Arsenali Medicei121. Alla fine, nell'estate del 2001, venne raggiunto un accordo tra le varie

Amministrazioni, e nel frattempo la provincia organizzò una mostra itinerante di due delle sedici imbarcazioni (navi C e F), passando dal palazzo delle Nazioni Unite a New York per poi arrivare fino a Tokyo, in occasione della quale il Polo Tecnologico di Navacchio ha realizzato copie delle navi in scala 1:10, uno dei quali donato peraltro al palazzo delle Nazioni Unite122.

Nel 2005 i cantieri sono stati aperti al pubblico e venne fatta a Roma una mostra dei reperti promossa dal MiBAC (Fig. 2.30). La nave denominata “Alkedo” in particolare ha meritato una mostra itinerante il 18 luglio 2006 anch'essa nel cantiere; tutto questo per tenere alta l'attenzione sui ritrovamenti. Ciò non deve sorprendere, data l'importanza straordinaria di queste navi: esse rappresentano un raro caso di materiali organici in ambienti umidi eccezionalmente conservati (Fig. 2.31).

Nel 2014 il MIBACT stanziò 4,5 milioni di euro per la creazione del museo, 2,5 milioni per il restauro dell'edificio e per tutti gli strumenti accessori quali vetrine e schermi, e 2 milioni per il restauro delle navi123.

119 Si nominano qui i restanti membri della commissione: Carmine Ampolo; Angelo Bottini; Stefano Bruni; Corrado Bucci Morichi; Paolo Galluzz; Michel Gras; Pier Giovanni Guzzo; Patrick Pomey. La commissione venne ampliata l'anno seguente con Gugliemo Malchiodi, Riccardo Di Donato e Anna Maria Mignosi Tantillo.

120 “Le Navi Antiche di Pisa”, 2000.

121 Come detto dal Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico della Scuola Normale Superiore di Pisa, 2006.

122 Nunes, 2001.

Fig. 2.30: Anfore dalla mostra itinerante del 2006. Immagine da Camilli A., De Laurenzi A., Mileti

M.C., Remotti E., Setari E., 2007, pag. 67.

Fig. 2.31: Il rinvenimento della nave D. Immagine da Fiesoli F., “Pisa. Cantiere delle Navi Antiche.

2.7.3 L'allestimento museale

Il museo recentemente inaugurato si basa sul progetto dell'architetto Maurizio di Puolo, il quale ha anche collaborato attivamente nella rinascita a museo della Centrale Montemartini, e del suo studio Meta Imago, coadiuvato da Artico/Arte, responsabili dell'allestimento delle vetrine. È stato possibile visitare il museo nella sua interezza in anteprima (oltre al fatto che dal 2016 è possibile visitare, solo su prenotazione, due delle sale, la IV e la V): l'ingresso è situato nel grande cortile dove trova posto il bookshop (Fig. 2.32), e l'articolazione espositiva, suddivisa in otto sale, si svolge all'interno degli spazi e delle campate degli Arsenali, suddivisi per aree tematiche, tutte collegate da un lungo corridoio124. Naturalmente al centro di tutto

sono le navi di San Rossore, ricostruite e montate su appositi sostegni125.

Fig. 2.32: Museo delle Navi Antiche (Pisa) – Cortile. Foto dell'Autore.

124 Notizia riferita da Elisabetta Setari. 125 Camilli, 2010.

La pavimentazione e le pareti interne dell'edificio sono state completamente ristrutturate, mentre il percorso espositivo in cui si articola il museo è composto di otto stanze suddivise in più sezioni, ed ognuna di esse viene corredata da touch screen a scopo didattico e vetrine modulari costruite in modo tale da essere facilmente smontabili e trasportabili a seconda delle necessità126.

La prima sala (“La città tra i due fiumi”) serve da introduzione alle scoperte archeologiche dello scavo pisano, mostrando la storia di questo centro urbano dalle origini all'alto medioevo, con reperti archeologici posti su sostegni o in vetrine, e inseriti all'interno delle vecchie celle per i cavalli, appositamente mantenute e ristrutturate (Fig. 2.33).

Fig. 2.33: Museo delle Navi Antiche (Pisa) – Cippo di origine etrusca, forse facente parte di un

tempio. Foto dell'Autore.

Si prosegue con “Terra e acque”, sala illustrante i vari aspetti dell'economia pisana nell'antichità, partendo dallo stretto legame con le acque, sia interne sia esterne, per poi proseguire con una terza sala dedicata alle alluvioni (chiamata per l'appunto “La furia delle acque”), la quale illustra l'effetto catastrofico di queste ultime sul territorio, spiegando inoltre le modalità di formazione dell'eccezionale deposito archeologico delle navi. Interessante la scelta di esibire, in appositi contenitori, tutto ciò che è stato rinvenuto durante le esondazioni: non solo materiali archeologici ma anche rifiuti a noi contemporanei come bottiglie di plastica.

Il percorso continua con un sezione metodologica che tratta dell'intervento sulle navi dello scavo pisano (“Navalia”), delle originali tecniche di costruzione navale, delle moderne tecniche di restauro, corredata da strumenti per la costruzione di navi (quali mazzuoli, scalpelli, chiodi, rivetti, mortase ecc.) e la ricostruzione del cantiere navale di età adrianea. Subito dopo una sala dedicata interamente alle imbarcazioni (chiamata semplicemente “Navi”), la quale si articola su due distinte campate: la prima ospita le imbarcazioni per il mare aperto, l'Alkedo introduce anche al tema delle navi da guerra, sul lato opposto invece le navi commerciali, tra cui le navi D e I127.

È presente anche una sala dedicata al commercio marittimo (“Commerci”), con oltre 13.000 anfore da trasporto rinvenute nello scavo (molte delle quali appese su una delle pareti), dove saranno illustrate, grazie ai vari materiali rinvenuti, le dinamiche del commercio e di scambio dell'antichità, evidenziando anche la tipologia delle anfore e dei marmi importati. Una settima sala dedicata alla navigazione, con materiali, oggetti, ricostruzioni e apparati multimediali per illustrare le tecniche di navigazione nell'antichità, e infine una sala dedicata alla vita di bordo, illustrante l'altra faccia della navigazione, mostrando i reperti che originariamente appartenevano all'equipaggio, come attrezzi e oggetti da gioco, sempre sfruttando le celle delle vecchie scuderie, ora riempite da vetrine dotate di un sistema di illuminazione interna.

Al di là di ciò che ogni sala ha da offrire, l'elemento che caratterizza più di ogni altro l'esposizione sono senza dubbio le navi, mostrate nella loro interezza nei grandi ambienti delle campate e oltretutto visibili dall'alto con l'ausilio di alcuni ponti, in particolare l'Alkedo (nave C), rinvenuta nella parte più meridionale del bacino a San Rossore, a circa tredici metri ad occidente di una banchina del I secolo (Fig. 2.34).

L'imbarcazione ha subito diversi traumi a seguito dell'urto con il fondale, e tuttavia le sue condizioni di conservazione risultano eccellenti. L'imbarcazione deve il suo nome ad una placchetta (la quale viene esposta in una vetrina di fronte) inchiodata ad una panca dell'imbarcazione, dove è stato possibile leggere, da destra verso sinistra, le lettere “A L K O”, le quali sono state integrate portando al nome attuale, che in latino significa “gabbiano”128.

Fig. 2.34: Museo delle Navi Antiche (Pisa) – Ricostruzione dell'Alkedo. Foto dell'Autore.

L'Alkedo è una barca con vele ma aveva anche aperture destinate ai remi, con una lunghezza di poco meno di quattordici metri e una larghezza nel punto centrale di due metri e ottanta; il fasciame è in pino marittimo con alcune parti in abete, i correnti in pino marittimo e pioppo, le ordinate invece in materiali diversi: fico, olio, frassino, leccio ed olmo129, e simile – anche per dimensioni – all'esemplare della nave

128 Notizia riferita da Gloriana Pace.

129 Nella zona prospiciente la barca sono stati rinvenuti diversi oggetti quali ossa lavorate, lucerne, frammenti in vetro, ceramica sigillata, cime e corde di varia lunghezza.

di Nemi130. La barca conserva incredibilmente tutti i suoi elementi strutturali, bitte di

prua comprese131, ciononostante la sua datazione purtroppo risulta difficoltosa,

benché i pochi materiali in essa rinvenuti facciano pensare ad un periodo compreso tra la tarda età augustea e la prima età tiberiana132. Così come la sua datazione, anche

lo scopo di questa nave è ancora oggi dibattuto: inizialmente si pensava potesse essere un'imbarcazione militare, adesso invece prevale l'opinione che avesse avuto due vite, nascendo come imbarcazione privata (in pratica una sorta di antico yacht) per poi diventare un mercantile (ciò potrebbe spiegare i materiali in essa rinvenuti)133.

All'interno del museo sono ovviamente presenti anche altre imbarcazioni, con relativi oggetti rinvenuti in esse (non tutte però ancora musealizzabili, dati i problemi legati al restauro), tra le quali risalta la nave A (Fig. 2.35), risalente al II secolo d.C., la quale doveva raggiungere una lunghezza superiore ai quaranta metri, rendendola una delle navi più grandi tra quelle rinvenute, e proprio per le sue dimensioni viene esposta ricostruendo parte del cantiere di scavo, durante il suo recupero.

Fig. 2.35: Nave A (interno visto dall'alto) durante lo scavo. Immagine da Remotti E. et al., 2010, pag.

23. 130 Bonino, 2006.

131 L'eccezionale conservazione è ulteriormente confermata dalla consistente presenza di residui di colore rosso o ocra rossa, applicato sulla fiancata della nave.

132 Una lucerna, un lagynos e tre lucerne, due Dressel 2-4 terraconensi e una Dressel 9. 133 Notizia riferita da Gloriana Pace.