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Il Museo del Ferro di Piombino: un'occasione persa

Questo museo, progettato ma mai ultimato, con ogni probabilità non vedrà mai la luce. Quello piombinese ovviamente non è il solo caso di museo non terminato, ma risulta di notevole importanza, date non solo le potenzialità che la struttura è in grado di offrire per un possibile allestimento, ma anche per le vicende storiche ad esso legate, che hanno portato non solo ad una radicale trasformazione del paesaggio in cui risiede, ma anche all'avvio di un settore, quello metallurgico, che tra alti e bassi influenzerà la crescita e lo sviluppo dell'economia italiana, con caratteristiche che sono presenti ancora oggi.

Per tutti questi motivi si è ritenuto doveroso un suo inserimento nel presente lavoro e, per avere una chiara comprensione dei fatti, fornire un breve quadro storico, partendo dalle origini dell'attività metallurgica contemporanea nel territorio di Piombino.

1.4.1 La storia dello stabilimento

Nel 1864 nasce a Piombino la Magona d'Italia, su iniziativa dell'imprenditore di origine inglese Alfred Novello, a cui si associarono Jacopo Bozza, l'ingegnere Auguste Ponsard e Alessandro Gigli, praticamente le prime figure di spicco in questo settore nel panorama italiano.

Tra gli anni Trenta e la fine degli anni Quaranta si assiste ad un periodo di forte instabilità degli stabilimenti siderurgici di Piombino. Tale instabilità è dovuta sia a motivazioni economiche sia agli eventi catastrofici che hanno contraddistinto questo periodo storico. Nel 1936, a seguito della crisi mondiale, lo stabilimento passa sotto il controllo dell'IRI49, e l'anno successivo fu istituita la Finsider per gestire gli

stabilimenti siderurgici acquisiti dall'IRI. Sotto la nuova gestione, e sotto la supervisione di tecnici come i noti ingegneri industriali italiani Agostino Rocca ed Oscar Sinigaglia (il quale sarà presidente della Finsider dopo la seconda guerra mondiale),riprese l'interesse verso gli impianti a ciclo integrale e quello piombinese ottenne importanti finanziamenti atti alla sua ristrutturazione e ad incrementarne la capacità produttiva, e tuttavia il 10 ottobre 1943, a causa della seconda guerra mondiale, l'attività di rinnovamento degli impianti venne bloccata ed il controllo dello stabilimento passò in mano all'esercito tedesco, il quale l'anno successivo bombardò tutta quanta la zona (Fig. 1.15). La città di Piombino dopo il 25 giugno 1944 risultò gravemente danneggiata anche a causa degli intensi bombardamenti degli alleati, che colpirono la zona urbana e industriale: la rapida riattivazione dello stabilimento riuscì grazie all'impegno degli operai e dei tecnici, e alle buone condizioni della centrale elettrica50, che uscita indenne dal conflitto costituì una

solida base per la ricostruzione.

49 Acronimo per “Istituto per la Ricostruzione Industriale”, istituito nel 1933 dall'allora

presidente del consiglio Benito Mussolini per evitare il crollo del sistema creditizio sorto nel 1929 e che nel dopoguerra divenne il fulcro degli investimenti pubblici nell'economia italiana. Cesserà la sua attività nel 2002.

50 La centrale elettrica era stata minata dai tedeschi, prima di abbandonare la città, tuttavia per

Fig. 1.15: Stabilimento di Piombino – Mappa delle bombe cadute nello stabilimento dal dicembre

1943 al giugno 1944. Immagine da Panciatici, 1996, pag. 38.

Nel febbraio del 1981 lo Stabilimento raggiunse la punta massima di occupati della sua storia, pari a 7.823 dipendenti51. Tuttavia poco tempo dopo la domanda di acciaio

subì una brusca contrazione a livello mondiale, e di fronte alla conseguente crisi dei consumi vennero stabilite dalla Commissione Cee le quote produttive per nazione, con incentivi per la chiusura degli impianti inefficienti portando, nel 1985, gli operai dello stabilimento di Piombino in cassa integrazione.

Per risollevare la situazione nel 1990 venne approvato per Piombino il progetto “Utopia”, una grande manovra riguardante lo stabilimento piombinese, che prevedeva lo spostamento dell'area a caldo, a circa 5 km dalla città, creando un cuscinetto tra città e stabilimento, la realizzazione di un Corex52 in sostituzione di uno

dei suoi altiforni, Afo4, e il raddoppio della produzione con impianti innovativi e all'avanguardia, ma il progetto fallì per mancanza di finanziamenti statali53.

In quello stesso anno, il 1992, lo stabilimento venne scorporato dall'Ilva e conferito ad una nuova S.p.A., l'“Acciaierie e Ferriere di Piombino”, di cui i maggiori azionisti erano l'Ilva e la società privata bresciana “Gruppo Lucchini”. L'ingresso del socio

51 Panciatici, 1996.

52 Procedimento per la produzione di ghisa liquida dove non è necessario l'utilizzo di carbon

coke.

privato comportò un piano di ristrutturazione degli organici; ma dopo mesi di tentativi per trovare un accordo, la domenica del 6 gennaio 1993, ad oltre 700 dipendenti venne recapitata la lettera di sospensione dal lavoro, con il risultato che gli operai risposero scioperando, con il blocco degli impianti durato 38 giorni.

La parte finale del declino dello stabilimento avvenne nel 2005 quando, a seguito della ristrutturazione finanziaria e degli investimenti impiantistici, la maggioranza del gruppo Lucchini passò, pur mantenendo il proprio nome, al gruppo russo Sever- stal, uno dei più grossi gruppi siderurgici del mondo, nonché uno dei primi gruppi in- dustriali russi ad aver fatto acquisizioni all'estero. La crisi non venne superata a causa di una produzione insufficiente e il Commissario Straordinario Piero Nardi nominato dal governo per gestire lo stato d'insolvenza, visti gli alti costi di mantenimento del- l'impianto, la scarsità di richiesta di prodotti siderurgici, e considerando anche che le banche reclamavano i crediti pregressi, decise nel 2014 di fermare l'impianto.

1.4.2 La situazione attuale

Nel 2008 la Lucchini e il Comune di Piombino raggiunsero un accordo secondo cui il Comune autorizzava la demolizione di Afo1 (il primo altoforno dello stabile) per il riutilizzo dell'area liberata da parte dell'azienda, e in cambio la società conferiva al Comune un'area a ridosso della città, utilizzata per lo svasamento delle loppe (scorie di acciaieria), consentendo all'Amministrazione, subentrata alla proprietà, di destinarla al piano Piuss54 denominato “Città futura”. L'azienda inoltre affidò

all'AIPAI un doppio incarico: un “progetto conoscenza” per documentare al meglio Afo1 prima della sua demolizione e un “progetto di fattibilità” per definire modello e struttura di un futuro “Museo-archivio del ferro e dell'acciaio”, attraverso il recupero del capannone “siviere”55, utilizzato almeno dagli anni Ottanta, come da interviste ad

ex-operai e tecnici, per la preparazione di lingottiere prima del colaggio diretto senza passaggio da colata continua, e dismesso in seguito all'affermarsi del colaggio in colata continua (Fig. 1.16).

54 Il Piuss (Piano Integrato di Sviluppo Urbano Sostenibile) è uno strumento per la

pianificazione urbana complessa, oltre che uno strumento di sviluppo economico locale e di rigenerazione urbana che opera in genere mediante interventi di recupero, riqualificazione, riconversione e valorizzazione del patrimonio urbano esistente.

Fig. 1.16: Museo del Ferro (Piombino) – Immagine del museo. Immagine da Preite, 2017, pag. 156.

Il primo incarico, chiamato “progetto conoscenza”, si articolava su tre punti: anzitutto una ricognizione archivistica incentrata su Afo1 prima e durante la sua demolizione (Fig. 1.17), seguita da una ricostruzione analitica del processo metallurgico nelle sue diverse fasi (riportando su piante e sezioni a colori i flussi dei gas di altoforno, dell'aria preriscaldata, dei fumi esausti, ecc.), e infine un rilievo dell'impianto con strumenti laser tridimensionali; il modello 3D messo a punto attraverso le rilevazioni ha consentito di generare infinite piante e sezioni del complesso e di “navigare” liberamente all'interno e all'esterno della struttura, modificando a piacimento il punto di osservazione.

Il piano di fattibilità scaturiva dall'ipotesi di recuperare l'edificio industriale dismesso degli anni Settanta destinato alla manutenzione del manto refrattario delle “siviere”, che doveva essere demolito.

Gli esperti dell'AIPAI valutarono che per dimensioni e struttura questo fosse la sede ideale per l'allestimento del nuovo Museo del Ferro, e proposero il progetto agli amministratori comunali che lo approvarono: dallo studio di fattibilità si passò dunque al progetto preliminare, che in seguito fu approvato ed inserito nel Piuss. Il Museo del Ferro doveva articolarsi in due grandi sezioni, una riservata all'esposizione della “tecnologia”, improntata a un criterio tipologico comparativo, per illustrare l'evoluzione della metallurgia dai primi forni etruschi, fino ai moderni impianti di produzione dell'acciaio dal Bessemer Thomas al Linz-Donawitz (L.D.), utilizzati nello stabilimento di Piombino; l'altra sezione si sarebbe organizzata secondo un principio narrativo, con quattro isole tematiche articolate in successione cronologica, in grado di rimandare ad un particolare periodo dello stabilimento, in un arco di tempo che si svolge dal 1865 alla crisi degli anni Ottanta del Novecento. Il

Museo doveva essere inserito in un parco, non tematico e privo di percorsi guidati56.

Fig. 1.17: Piombino – Afo1 prima della sua demolizione. Immagine presa da Preite M., 2009, pag. 29.

Foto di M. Preite.

All'inizio la vicenda parve decollare: il protocollo fu sottoscritto nel luglio 2008, ma a settembre sopraggiunse la crisi economica, così gli ordini dei clienti della Lucchini si azzerarono, centinaia di operai vennero messi in cassa-integrazione e nel mese di dicembre l'altoforno fu messo in stand by (per poi essere rimesso in funzione nel gennaio 2013). Con un ritardo di poche settimane nella firma del protocollo e con gli operai in cassa-integrazione, all'azienda risultò impossibile giustificare un finanziamento (seppur esiguo) su un progetto culturale.

Alla fine l'intero progetto museale è finito nel dimenticatoio, ed alla luce della situazione attuale, il Museo del Ferro e dell'acciaio posto nell'ex-siviere pare non avere un futuro, nonostante il potenziale estremamente alto.

II. Archeologia in contesti industriali: una