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Tutte le informazioni che abbiamo sulle maioliche fiorentine sono riconducibili al nome di Galeazzo Cora301, che ha studiato la produzione di ceramiche a Firenze e nei dintorni.

La villa di Cafaggiolo appartiene inizialmente a Averardo di Francesco de' Medici, per via di successione arriva a Cosimo il Vecchio e Lorenzo, rispettivamente nonni di Lorenzo il Magnifico e Giuliano il primo e di Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco l'altro. Lorenzo il Magnifico ed il fratello Giuliano cedono la loro parte della tenuta ai cugini che, dal 1485, diventa di proprietà dei figli di Pierfrancesco de' Medici302; i fratelli danno in affitto per quaranta lire l'utilizzo delle

fornaci per stoviglie, negli invetari successivi infatti compaiono molti oggetti in terracotta, con ogni probabilità realizzati in quel casolare303.

La fabbrica di maiolica di Cafaggiolo nasce alla fine del XV secolo; utilizzando ancora una volta l'inventario del 1498, si legge i termini di un contratto di affitto del forno presente in quella residenza rurale stipulato con due vasai: Piero e Stefano di Filippo Schiavone304 per la cifra

precedentemente detta. Solo due anni dopo viene redatto un altro contratto secondo il quale i ceramisti si impegnavano per tre anni con gli Antinori, assicurando continuità alla produzione (questo significa che lavoravano insieme padri, zii, figli, nipoti della stessa famiglia, pronti a portare a termine ogni lavoro lasciato incompiuto da un altro membro).

La fabbricazione di ceramica invetriata era molto sviluppata al tempo, non solo in toscana, ma in tutto il centro italia; le ceramiche potevano essere decorate a monocromia azzurra oppure policrome e comprendevano diverse tipologie di oggetti da cucina o decorativi. A fine Quattrocento i maggiori centri specializzati nella tecnica della maiolica sono Cafaggiolo e Montelupo.

I due fratelli orciolai lavorano fianco a fianco fino al 1507, anno in cui muore Piero, il suo lavoro viene assicurato dal fratello Stefano (che muore nel 1532) e dal nipote che subentra al suo posto 301Galeazzo Cora, Angiolo Fanfani, La maiolica di Cafaggiolo, Centro Di Editore, Firenze, 1982.

302Galeazzo Cora, Storia della maiolica di Firenze e del Contado secoli XIV e XV, Sansoni editore, Firenze, 1973. Lorenzo il Magnifico vende ai cugini la villa di Cafaggiolo. Quando il Magnifico sta al Cafaggiolo, prima di vendere la casa ai cugini, si reca là con moglie, i figli e il Poliziano che sta con loro fino al 1479, anno in cui viene allontanato per delle divergenze con la Clarice Orsini.

303Le informazioni sulle fornaci vengono individuate nei catasti, negli inventari insieme ai contratti riguardanti gli affitti; le fornaci vengono citate anche da J. Shearman The collection of the younger Branch of the Medici in «Burlington Magazine» numero 862, gennaio 1975, CXVII.

304I due artisti firmano i loro lavori intrecciando sul retro le loro iniziali S e P, le due lettere secondo Marco Pinelli potrebbero rimandare anche al motto mediceo semper, in fin dei conti i due vasai dovevano molto alla famiglia dei Medici. Www.ilfilo.net , Le ceramiche di Cafaggiolo, dicembre 1992.

Jacopo; come riporta Cora, simile a Jacopo risulta essere secondo Rackham il “pittore di Vulcano”, che realizza tra gli altri manufatti anche il piatto con tema mitologico Diana e

Endimione305.

Come vuole la tradizione iconografica, Diana è in piedi vicino ad Endimione che giace davanti a lei addormentato, inoltre intorno al giovane si vedono due putti che si muovono intorno al personaggio con dei pampini di edera in mano. La donna indossa soltanto un leggero abito, ha i capelli in parte raccolti e in parte sciolti. Con il braccio sinistro indica al putto Endimione mentre con l'altro regge un giavellotto (identico all'arma che uccide la coppia di centauri nella tavola di Piero di Cosimo); il giovane uomo è sdraiato su un fianco e ha soltanto un panno che nasconde le nudità. I personaggi si trovano in una radura, sulla destra si vede un ampio bacino solcato da due navi, mentre a sinistra si vede una buia grotta ricavata da una collina306. Il bordo del piatto

comprende una straordinaria quantità di figure: putti, ittiocentauri, personaggi ibridi (nella parte superiore uomo, mentre in quella inferiore si fondono elementi tipici di pesci e rettili, in alcuni ibridi compaiono anche delle ali), e animali (aquile e cavalli); compare una solo donna trasportata in groppa a ittiocentauro che insieme al suo simile solleva una torcia accesa. Sul retro del piatto si vedono tralci con giovani foglie e fiori e le iniziali degli artisti S e P incrociate, marchio di fabbrica.

Nonostante l'episodio mitologico abbia origine da una fonte letteraria classica, e quindi sia accompagnato da una precisa iconografia, la composizione risulta familiare: la donna sembra riprendere la Pallade medicea, anche il paesaggio alle spalle dei personaggi ha delle notevoli tangenze: a sinistra un “ostacolo” chiude la scena mentre a destra si scorge in lontananza un bacino sul quale navigano delle imbarcazioni.

Il ceramista, sia esso Jacopo di Stefano Schiavone, ipotesi accreditata da Marco Pinelli o il pittore di Vulcano, secondo Rackhman, deve aver visto la Pallade e il centauro di Botticelli, tanto è chiaro l'utilizzo di tale modello; sicuramente conoscitore della pittura fiorentina del secolo anche per la rappresentazione del paesaggio marittimo in secondo piano.

305Il pittore di Vulcano (?), Diana guarda Endimione dormiente, piatto a coppa, diametro 26 cm, Cafaggiolo 1510, Fundação Calouste Gulbeenkian, Lisbona.

306Secondo Apollonio Rodio, tra le tante versioni del mito, la bellezza di Endimione fede innamorare Era, Zeus per gelosia lo condannò a dormire un sonno lunghissimo, di cinquant'anni, al buio di una caverna sul monte Latmo; Artemide scopre il bellissimo giovane dormiente ed ogni notte torna li per guardarlo. Questa versione del tema sembra ricalcare perfettamente il piatto proveniente da Cafaggiolo.

Conclusione

L'elaborato finale ha cercato di presentare un escursus delle rappresentazioni artistiche del tema della centauromachia, dall'arte antica al Rinascimento. Le molteplici opere descritte hanno la funzione di esemplificare lo sviluppo del mito nell'arte, analizzando eventuali cambiamenti o la permanenza di alcuni topoi.

L'indagine ha inizio nel mondo antico in cui la mitologia assumeva significati morali: i centauri vengono interpretati dunque come la barbarie, uomini bestiali che non riescono a controllare i propri impulsi all'interno di un contesto sociale. Se in Grecia agli animali mitologici era avvicinato anche un significato politico (popoli barbari sottomessi), l'aspetto morale sarà quello che continuerà a vivere attraverso i secoli; la caratterizzazione negativa del centauro con la lussuria e con il vizio permette a questo personaggio di assumere un ruolo di spicco nelle numerose allegorie che vengono utilizzate nell'arte figurativa, che si trovano nel rinascimento in particolar modo.

A questo proposito dopo aver percorso, attraverso alcuni esempi, molti secoli della storia dell'arte si giunge al Rinascimento, momento storico-culturale centrale in questo lavoro. Il Rinascimento ripropone una conoscenza dell'antico in tutte le sue forme: la letteratura e l'arte in prima linea; la riscoperta dei testi antichi procede di pari passo con la nostalgia per un'arte classica. Negli artisti che occupano il centro della tesi si percepisce questa tensione verso il passato, affrontato con sfumature diverse a seconda delle personalità dei singoli. Bertoldo è un esperto dell'antico e trasmette questa passione al giovane Michelangelo che, dal canto suo rielabora così profondamente quello che vede da rendere ogni opera unica nell'arte.

La centauromachia del Buonarroti infatti non si rifà precisamente ne al testo ovidiano ne ai precedenti artistici dell'antichità; l'unico rapporto che si cerca di mettere in luce nell'elaborato è quello con Piero di Cosimo. La tavola di Piero di Cosimo subisce molte oscilllazioni cronologiche ma, se fissiamo la realizzazione dell'opera all'anno 1485, non è possibile escludere un rapporto tra i due.

La volontà di questa indagine è quella di sottolineare l'importanza di un fiorente contesto come quello fiorentino di fine Quattrocento e inizio Cinquecento, in cui gli artisti lavorano per i medesimi committenti, o famiglie molto vicine tra loro, conoscendo le opere dei colleghi contemporanei.A Michelangelo e Piero di Cosimo si unisce anche Sandro Botticelli che realizza capolavori per il ramo cadetto della famiglia Medici; alla Centauromachia di Piero e alla Zuffa di

Michelangelo si aggiunge/collega la Pallade botticelliana, una psicomachia che si inserisce in una complessa interpretaione morale del tema mitologico.

Se Piero di Cosimo dipinge la battaglia all'interno di un ciclo di opere che si propongono di analizzare lo sviluppo della condizione umana, Michelangelo “sfrutta” il tema per cercare sorprendenti esiti scultorei, spostando in secondo piano il significato morale del tema. Botticelli conosce la mitologia e lo dimostra nella complessa decorazione della Calunnia, in cui i centauri non svolgono un ruolo secondario; anche in questi finti rilievi il significato metaforico e morale degli episodi con protagonisti i centauri risulta evidente. Sulla scia della Calunnia può essere letta la Pallade degli Uffizi in cui ancora una volta il centauro rappresenta una bestialità domata dalla ragione, una psicomachia : una battaglia combattuta con le armi dell'intelletto.

Quello che tenta di spiegare questo elaborato è la connessione che doveva interessare i capolavori fiorentini del tempo; in una ricerca iconografica volta allo studio di un mito si può, a volte, cercare altre forme attraverso le quali il significato del medesimo tema si esaurisce completamente.

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