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CESARE PAVESE: ERA DESTINO?

Nel documento LINGUAGGIO ASTRALE (pagine 96-107)

deciso di smettere di scrivere, senza però avere trovato una valida attività so-stitutiva. Non è difficile svelare quale sia il segreto accennato, scoperto negli anni dell’infanzia e della prima adolescenza e in seguito, dopo la fine della guerra, coltivato in una attività editoriale che avrebbe fatto la fortuna della ca-sa editrice Einaudi di Torino, per la quale fece pubblicare i testi più notevoli di tutto il secolo ventesimo sul tema del mito, della fantasia, della fiaba, della psicologia del profondo, della magia e della storia delle religioni, assumendo-ne in quegli anni la veste di dittatore culturale, come egli stesso dice ironica-mente di sè.

Tale segreto è quello racchiuso nei miti e nelle leggende di tutti i tempi an-tichi, in quell’inconscio e in quella nuova dimensione del tempo scoperta nel nostro secolo da autori come Freud, Jung, Frazer, Levi Bruhl, Propp, Graves, Eliade, le cui opere stava contribuendo a diffondere nella seconda metà del secolo. È il tema del contenuto della mentalità dei primitivi, dell’infanzia e de-gli adulti civili ma mentalmente malati. Il segreto accennato è quello che in tutti noi si riferisce al mistero della vita, al tocco del sacro, del magico e del religioso. È il segreto celato nel mistero della vita e della morte, della creativi-tà, degli dei e dell’immortalità.

Ecco perché il suo libro preferito risulta essere proprio Dialoghi con Leucò. Giungerà al punto di portarlo con sé nel luogo in cui aveva deciso di entrare eroicamente nell’altra realtà, nella dimensione parallela, affinché ne testimo-niasse la sua appartenenza. È l’operetta con la quale per la prima volta aveva osato affrontare il tema che peraltro costituiva il sottofondo della sua cultura durante l’adolescenza. Insomma il segreto da svelare che tutti ricordano e che quindi tutti sanno è quello che appartiene agli uomini di tutti i tempi, siano es-si poeti, letterati oppure gente comune che, senza osare di ammetterlo, credo-no ancora alle fiabe, alle leggende e alle tradizioni, magari a quella di Babbo Natale o di Gesù Bambino, in altre parole ai sogni e alla fantasia. Il che li espone al pericolo di essere presi per ingenui bambinoni o, peggio ancora, per insani di mente, se non proprio per pericolosi pazzi antisociali, agli occhi di coloro che hanno invece abbandonato l’infanzia per identificarsi con la sola ra-gione.

E Pavese, pur essendo divenuto uno scrittore professionale di successo, non si manteneva molto lontano dalla mentalità di chi queste cose le sa, ma finge di non saperle, mantenendo rispetto ad esse un distacco misto di ironia e di autosufficienza. Come se temesse di svelare il segreto, il quale deve restare lì a separare per sempre l’infanzia dall’età adulta, il sogno dalla realtà.

Ma veniamo al dunque, al perché e al come sono stato condotto a Cesare Pavese e al suo segreto, ormai non più celato, che tutti (me compreso) ricor-dano, connesso tra le altre cose all’unità degli opposti, e dunque al mistero del nascere e del morire.

Venerdì 24 ottobre 2003, giornata di sciopero generale: sto vedendo alla TV un film del ’62 che porta il titolo molto evocativo de L’Inferno è per gli eroi, film sulla seconda guerra mondiale con Steve McQueen, Fess Parker e James Coburn, titolo originale Hell is for heroes, di Don Siegel.

Dopo qualche minuto mi rendo conto che come spesso accade, sia nei film sia nei romanzi, ciò che conta, il messaggio, è solo il titolo, che tra l’altro sarebbe piaciuto a chi, come Pavese, prediligeva l’accostamento tra il compito dell’eroe e la morte in età giovanile, insomma il tema della discesa agli inferi e la ricerca della rinascita attraverso la tipica impresa del viaggio del mondo dei morti.

Allora alla fine del primo tempo spengo l’audio e telefono alla nipote di Ce-sare Pavese, per sapere se è riuscita ad ottenere l’informazione che le avevo richiesto, cioè l’ora di nascita dello zio. Sentivo infatti che era arrivata. Me la comunica ed ho la conferma: è proprio l’ora che le avevo anticipato, le 6 di mattina. Mi serviva infatti per calcolare il suo tema di nascita, del quale so-spettavo giustamente un AS in Leone o in Vergine.

Finisco di vedere il film per puro dovere e poi stendo il tema, mosso da una profonda curiosità, quella di verificare una mia ipotesi sul perché di un suicidio che fece a suo tempo scandalo e scalpore, in quanto nell’idea della ri-voluzione politica non rientra facilmente l’ammissione che ci si può ammazza-re per una delusione d’amoammazza-re. Infatti Pavese era già un mito letterario della si-nistra italiana.

Ma in realtà sono anche motivato dal desiderio di verificare se in quel do-cumento del destino che è l’oroscopo personale, il tragico gesto fosse previsto fin dalla nascita. Inoltre vorrei chiarire che il mio interesse per Pavese non fa parte di un mondo letterario, non sono infatti né un critico, né un giornalista, né un professore di letteratura e nemmeno uno studioso di politica, sono inve-ce un libero inve-cercatore dello spirito, anzi a dire il vero ne sono un trovatore. Lo spirito infatti l’ho già trovato, ma ogni giorno che sorge lo devo ritrovare da capo, accumularne l’energia e far sì che altri lo trovino per la prima volta. Lo spirito è qualcosa che però non va scambiato con l’intelletto, ciò che i francesi chiamano ésprit, è invece qualcosa che sorge interiormente, piuttosto che dal-la percezione sensoriale del mondo esterno.

Ma dopo questa precisazione epistemologica torniamo all’indagine che lo spirito stesso mi ha imposto: osservo bene l’oroscopo che ho sotto gli occhi e alla fine mi dico che no, non può essere stato dettato dal destino l’impulso sui-cida. Intanto l’AS è a 16 della Vergine ed il Sole è proprio sull’AS, non in dodi-cesima casa. Quindi non si presentano prove particolarmente difficili da indi-viduare e da superare nell’arco dell’esistenza.

Sulla base comunque di questa prepotente curiosità nei confronti delle mo-tivazioni profonde e nascoste che in generale ci spingono ad atteggiarci nei confronti della morte e del morire, passo poi a rivedere le poche cose che co-nosco della vita di Pavese, a partire della scoperta che avevo fatto poco tem-po prima di un suo dato biografico, vale a dire del suo soggiorno nel territorio di Crea nel Monferrato durante la seconda guerra mondiale, poco prima del-l’armistizio fino alla liberazione.

Questo fatto mi aveva particolarmente incuriosito perché metteva in evi-denza una probabile significativa coincievi-denza con una mia esperienza, il mio soggiorno nel territorio del Biellese durato quasi vent’anni, a partire dal 1979,

dopo un pellegrinaggio alla Madonna Nera di Crea e alla Vergine Nera di Oro-pa.

Ma il primo incontro con Pavese risale a quando avevo 18 anni, alla lettura cioè del Compagno, il romanzo letto durante l’ultimo anno di liceo proposto dalla prof. d’italiano, comunista, Maria Teresa Rosso. Lo rileggo, ma non mi dice niente, è invece il suo diario che mi attira, questo Mestiere di vivere che ho tra le mani, al quale è affidato, ne sono certo, il segreto della sua morte, non solo, ma anche della sua vita e della sua opera letteraria.

Pavese era un creatore vero, questo suo neologismo, nonché la contrap-posizione tra il mestiere del poeta e il mestiere di vivere, farà fortuna, è entrato oggi nel mondo della canzone. Avevo comunque il sospetto fondato che nella sua vita il comunismo e la rivoluzione non avessero la preminenza che hanno voluto far credere i loro sostenitori.

Il sospetto in realtà mi era già sorto agli inizi degli anni 80 alla seconda ri-presa di Pavese, quando avevo scoperto durante la stesura del mio primo Ca-lendario del Dio Anno, il suo interesse tramite Dialoghi con Leucò per il mito e per la religione. Mi aveva sorpreso che l’autore del Compagno avesse scelto un libro sul mito qual è appunto Dialoghi con Leucò. Voglio perciò approfondi-re ora tramite il diario i motivi profondi di questa sorpapprofondi-resa.

Dunque leggo e rileggo il diario, per ottenere informazioni sulla sua vita, per pormi un’idea precisa dell’uomo, non dello scrittore, che era poi ciò che lui voleva e finisco per riscontrare come il diario sia pervaso da una profonda dicotomia, quella tra arte e vita, a tal punto da far sorgere il sospetto che la morte stessa fosse ricercata proprio per sanare per assurdo tale conflitto esi-stenziale e tale suprema contraddizione che nasce nella coscienza di ogni uo-mo in uo-modo del tutto reale.

Alla fine giungo alla conclusione: no, non era destino, non sta scritto nel linguaggio delle stelle. Nel tema di nascita il Sole sull’Ascendente lo porta a brillare, a diventare una star, famoso agli occhi altrui oppure ai propri. Nel mio mestiere sono re, scrive nel suo diario senza falsi pudori. Infatti è come il Sole a mezzogiorno, a 42 anni al culmine della propria vita ottiene il premio Strega che lo sanziona ufficialmente scrittore di successo. E questo è il Sole. Ma la dominante del tema è mercuriana, di un Mercurio però infero e notturno, mes-saggero e guida delle anime nell’aldilà più che gran comunicatore col mondo esterno. Vero è che Mercurio si colloca in Bilancia, quindi governa il processo mentale tramite impulsi erotici. È un poeta infatti prima che narratore , lo si vede da Venere in Cancro che regge Mercurio dall’undicesima casa. Dominerà totalmente (qui il destino amoroso) tutto il processo tormentato del suo ro-manticismo esistenziale.

Amore e morte è dunque il tema della sua ricerca psichica, il che non può non rimandare al sacro, al mistero della vita e della morte come unità degli opposti. Ma Venere è isolata e ciò significa anche isolamento amoroso. Il dia-rio a questo proposito si diffonde nei particolari più scabrosi e giunge a inve-stigare crudelmente gli aspetti dell’incomprensione da parte del femminile. Il nodo lunare in Cancro in decima indica che il destino personale si manifesta

nell’ambito della famiglia, ma in particolare con le donne. Stranamente Pave-se non dedica una parola alla figura della madre. Perché? La sua asPave-senza è presenza di vita o di morte?

Chirone è trigono al nodo lunare nord in Cancro che però è quadrato a Mercurio. In ogni caso non ha avuto il tempo di formarsi una famiglia propria e di raccogliere in questo campo, sia nel bene sia nel male, ciò che era stato se-minato nelle precedenti esistenze. La quadratura del nodo lunare a Mercurio sembra poi attribuire ostacoli agli amori sul nascere (la difficoltà iniziale e la prova in età giovanile).

Tenendo sempre d’occhio la prospettiva del suicidio come tendenza,l’inter-pretazione del tema mette anche in evidenza che il Sole è opposto a Chirone , la Luna a Giove e Mercurio a Saturno. Inoltre gli aspetti del tema sono quasi tutti negativi e nemmeno corretti. Le tre opposizioni indicano la prima ferite al-l’orgoglio, la seconda discontinuità, superficialità e dispersione nei rapporti amorosi, la terza carattere scontroso, umbratile, solitario, segnato da visione pessimistica del mondo e della vita.

È anche molto interessante ciò che risulta dall’osservazione dei gradi dello Zodiaco perché coerente e preciso rispetto al vissuto. Le rispettive immagini sono infatti piuttosto eloquenti, specialmente Saturno, grado di Orgoglio, il no-do lunare, grano-do di Spoliazione, Nettuno, grano-do di Pionierismo, Giove, grano-do di Indigenza, Marte, grado di Successo attraverso la seduzione, Urano, grado di Arte, Plutone, grado di Combattimento, Luna, grado di Esecuzione. Il grado del Sole poi suggerisce tutto il contrario di una vita breve, Prudenza. L’espe-rienza dell’esilio,cioè del confinamento in Calabria per antifascismo, è accen-nato da Mercurio, grado di Incatenamento e dal nodo lunare visto sopra, Spo-liazione.

Nel complesso ci si trova di fronte a un tema che denota impiego di ener-gia mentale per arrivare alla realizzazione di uno scopo fondamentale per l’anima, ovvero il matrimonio, non certo un tema di autodistruttività.

Ma almeno, ci si potrebbe chiedere, il suicidio per amore è segnato? E la risposta sembra negativa, nemmeno questo è segnato, nonostante le tre pre-senze nel segno del Cancro rimandino al tema romantico dell’unione indisso-lubile di amore e morte e a ciò che può derivarne per la psiche e per la vita.

Abbiamo dato uno sguardo a Venere, ora dobbiamo guardare anche Marte che ne è l’opposto. È in dodicesima casa, che denota prove esistenziali del de-stino, tradimenti, illusioni e delusioni. E poi Marte è ciò per cui si tende a lotta-re, spesso oggetto di amore e di odio quindi la donna. Ma cosa amava il no-stro, è d’obbligo chiedersi se non la donna ispiratrice di opere belle, la musa, la donna angelicata, oggetto di proiezioni dell’inconscio maschile, la donna ispiratrice tanto invisa alle femministe della seconda metà del nostro secolo?

Se il Gran Pavese vivesse oggi sbandiererebbe ai quattro venti il vessillo di un samurai che ha la luna sotto ai piedi invece che in testa. Il culto della Vergi-ne che è stato del bushido come del cristiaVergi-nesimo cavalleresco medievale ri-tornerebbe nel poeta innamorato della musa.

mo-do ricorrente, nel diario, il vizio assurmo-do? Di fatto la morte sembra essere stata ricercata, per un motivo preciso, per una delusione amorosa. L’ipotesi esplica-tiva è la seguente: vi era nella sua mente e nella sua coscienza un tragico equivoco, tra l’idea del suicidio fisico e l’idea piuttosto filosofica, anzi misterio-sofica e iniziatica, del suicidio morale o psichico. Se è vero, come sembra suggerire il titolo di un celebre film su 007, che “Si vive solo due volte”, allora si muore due volte. L’Apocalisse di S. Giovanni, l’ultimo libro del Nuovo Testa-mento, accenna proprio all’esistenza di una seconda morte, che non è più la morte del corpo, è la morte del principio che tiene assieme l’anima.

L’esperienza amorosa è stata comunque determinante nell’assecondare l’impulso. Il destino personale gli riservava un futuro in cui la vita amorosa sa-rebbe stata prevalente su quella professionale. L’incontro con Costance Do-wling, l’attrice americana protagonista del film “La città dolente”, fu determi-nante nell’ultimo anno della sua vita. Si trattava di amore, lo sapeva, l’aveva riconosciuto, ma si trattava anche di un incontro segnato dalla difficoltà inizia-le con conseguente pericolo di rottura. Invece ci fu l’esito finainizia-le e fatainizia-le. La di-stanza fisica, che a quel tempo pareva un ostacolo invalicabile, così come le difficoltà di comunicazione fecero il resto. Qui l’amore romantico (Venere in Cancro) che associa amore e morte fu decisivo.

“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” è il titolo della celebre lirica. “Sarà co-me sco-mettere un vizio, / coco-me vedere nello specchio / rieco-mergere un viso mor-to”, sono versi che sembrano suggerire che la morte invocata è il ricordo di un passato non del tutto obliato, che affiora in modo traumatico fino a suggerire la ripetizione dell’atto fatale.

Ma doveva proprio finire così? E proprio all’inizio di un amore sentito come l’unico vero amore? Dalle righe del suo diario traspare un motivo ricorrente che suona come un’ammissione strappata: il suicidio come cura delle osses-sioni. Ma il rimedio, per dirla con Nietschze, sembra peggiore del male. La motivazione del suicidio fu l’orgoglio, inteso paradossalmente come impulso all’autorealizzazione. Nel tema di nascita lo conferma il grado di Saturno. Ma l’eroe che muore con il Sole a mezzogiorno non ha versato il sangue come in-vece fanno spesso i protagonisti dei suoi romanzi. Non fu quindi sacrificio del-l’eroe, fu piuttosto un incidente, un colpo di follia temporanea, non frenato dalla consapevolezza dell’equilibrio tra gli opposti. Il fatto è che nella sua esperienza di vita egli si espose a due shock contemporanei per la vita emo-zionale, il successo da un lato e l’innamoramento dell’altro, entrambi nello stesso tempo. Dal primo seppe difendersi, dal secondo no.

“Non scriverò più” sono le ultime parole del diario, datate 17 agosto 1950. Il vizio assurdo è dovuto a un tragico equivoco, il prendere il morire per qual-cosa che coinvolge il corpo fisico in luogo del corpo psichico. Eppure la per-cezione del proprio nulla, cioè il fondamento della seconda morte, la morte dell’ego, non era certo mancante, come testimoniano le annotazioni del 22 marzo 1950: “Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, infermità, nul-la”.

Amore e morte, il connubio più traumatizzante e più salutare per la co-scienza di sé. Ma il passo decisivo verso il sacro impedito dal sorriso di auto-sufficienza della citazione iniziale, non verrà mai compiuto. Per orgoglio forse, eppure è sempre orgoglio ciò che suggerisce la percezione disastrosa del sen-so di inutilità della poesia e della creazione letteraria documentata nelle rifles-sioni del 17 agosto 1950: “ora so qual è il mio più alto trionfo…e a questo trionfo manca la carne, manca il sangue, manca la vita. Non ho più nulla da desiderare su questa terra, tranne quella cosa che quindici anni di fallimenti ormai escludono”.

Il mestiere di vivere e il mestiere del morire inteso come mestiere del poe-ta, il conflitto insanabile non è solo nella mente, è anche nelle cose, prima che all’interno di noi stessi. Non sappiamo come siamo fatti. Se Pavese fosse vis-suto al tempo di Dante sarebbe finito nella selva dei suicidi. Il cristianesimo non perdona ai suicidi, perché considera in generale la vita un dono di Dio. Però occorre aggiungere che a chi crede non ciecamente, sulla base della pro-pria esperienza e conoscenza di Dio o degli dei, la vita sembra più essere un progetto dell’Io. S’ intende che è pur sempre creazione di Dio. Chi alla fede congiunge la gnosi, sa che la vita è il campo di sperimentazione dell’Io che tende a farsi Dio tramite il ricordo di sé spinto fino all’oblio di sé.

E dunque il progetto dell’incarnazione dell’Io non va interrotto con una morte prematura, frutto di una scelta che è arbitraria in quanto patologica e che viene scambiata per libera scelta. Se non avesse interrotto il progetto pre-maturamente Pavese avrebbe avuto forse l’opportunità di leggere ad esempio la preghiera di Madre Teresa di Calcutta che porta il titolo di “Vivi la vita”.

Eccone il contenuto:

«La vita è opportunità, coglila La vita è bellezza, ammirala.

La vita è un sogno, fanne una realtà La vita è una sfida, affrontala».

Alcune righe le avrebbe certamente condivise, quanto ad affermazioni, perché ne aveva esperienza piena, altre no. In particolare che la vita sia Bel-lezza. Era infatti non solo in grado di cogliere in sé lo stupore che nasce dalla percezione istantanea del vivere nel qui ed ora, ma anche di far partire inten-zionalmente, da quella percezione pura e dal ricordo che ne scaturisce un inte-ro pinte-rocesso di creazione immaginativa di carattere poetico. Sapeva dunque ri-spondere benissimo alla domanda quid sit poesis. Ma non sapeva che alla do-manda stessa doveva tener dietro un altro interrogativo, senz’altro più ango-scioso: a che serve la poesia?

Oggi la prima domanda se la pongono forse soltanto gli addetti ai lavori,

Nel documento LINGUAGGIO ASTRALE (pagine 96-107)