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Cfr R Pupo, Attorno all’Adriatico Venezia Giula e Dalmazia, in Id (a cura di), La

I. Venezia – Giulia, Italia (1880-1924)

24. Cfr R Pupo, Attorno all’Adriatico Venezia Giula e Dalmazia, in Id (a cura di), La

vittoria senza pace. Le occupazioni italiane alla fi ne della Grande Guerra, Laterza, Roma-

qualche isolata reazione a Sussak) esse furono accolte, come informano

le cronache dell’epoca, dalle «entusiastiche acclamazioni»25 della popo-

lazione italiana.

Tale mossa, che esplicitava le volontà del governo di Roma di allargare a Fiume le proprie rivendicazioni territoriali, incontrò non soltanto la ferma opposizione jugoslava, ma anche quella della Francia.

Nell’ottica di estendere il suo peso verso il nascente Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, il governo transalpino si dimostrò infatti tutt’altro che fa- vorevole ad avallare le richieste italiane.

Le contromisure furono quindi immediate e si tradussero nell’invio di un’unità della marina militare e nell’autorizzazione allo sbarco di reparti (ai quali si unirono anche dei soldati serbi) guidati dal generale Louis Fran- chet d’Esperey, che nel frattempo dichiarò la città (insieme a Ragusa, oggi Dubrovnik) base navale compresa nella sfera di occupazione francese, per garantire le linee di rifornimento della propria Armée d’Orient.

Si trattava di una mossa ponderata, volta ad avvalorare la natura strategi- ca della presenza francese, che anche in virtù del considerevole spiegamento di truppe avrebbe potuto ricoprire il ruolo di guida dell’occupazione alleata, contrastando in tal modo le aspirazioni italiane.

Dal canto suo il governo italiano non si fece cogliere impreparato raffor- zando il contingente militare agli ordini del generale Francesco Saverio Gra- zioli, che assunse così il grado di comandante del corpo interalleato di stan- za a Fiume. Iniziò dunque l’occupazione della città, terminata nel settembre del 1919 quando in un quadro di grande incertezza diplomatica si innestò

l’impresa di Gabriele D’Annunzio, meglio nota come Impresa di Fiume26.

Un passaggio che in questa sede ci limiteremo a riprendere soltanto per sommi capi.

Per comprendere la questione occorre volgere lo sguardo al Patto di Lon- dra e ai successivi Trattati di Versailles, iniziati il 18 gennaio 1919 e che si conclusero circa un anno più tardi (21 gennaio 1920), con i quali i paesi vin- citori del confl itto erano chiamati a ridisegnare i confi ni dell’intera Europa. Siglando il Patto di Londra, l’Italia aveva ottenuto dalle potenze dell’In- tesa l’assicurazione di ricevere sul confi ne orientale oltre al possesso di Trie- ste e Gorizia, anche l’area istriana, le isole di Lussino, Cherso e parte della Dalmazia.

25. La presa di possesso di Fiume, in «La Stampa», 20 novembre 1918.

26. Sull’occupazione italiana di Fiume e sull’esperienza dannunziana, cfr. R. Pupo, Fiu-

me città di passione, Laterza, Roma-Bari 2018; M. Franzinelli, P. Cavassini, Fiume: l’ultima impresa di D’Annunzio, Mondadori, Milano 2009.

Fiume, come precedentemente sottolineato, restava dunque fuori dall’ac- cordo, ma a Versailles la delegazione italiana, rappresentata da Orlando e Sonnino, ne rivendicò l’assegnazione.

Si trattava, sul piano formale, di un’operazione contraddittoria: infatti se da un lato veniva reclamato il pieno rispetto degli accordi stipulati, dall’al- tro se ne caldeggiava la revisione con l’aggiunta del centro quarnarino tra i territori deputati a entrare a far parte del Regno d’Italia.

La base della richiesta faceva leva sul principio di nazionalità, senza però tenere conto di come accanto alla consistente quota di popolazione italiana residente in città, vi fosse, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, un altrettanto numeroso nucleo di popolazione croata.

Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti, in alcun modo vincolato al Patto di Londra, respinse fermamente la richiesta, suscitando lo sdegno della delegazione italiana che abbandonò il tavolo delle trattative e fece ri- torno in patria, per poi tornare sui propri passi e rientrare a Parigi un mese più tardi senza però ottenere alcun risultato.

A questo punto irruppe sulla scena D’Annunzio. Il poeta pescarese, di- venuto oramai vero e proprio vate nazionale, si scagliò, contro «gli schiavi

misti» e «l’immondizia croata»27, accusandoli di voler soppiantare la supe-

riore (naturalmente dal suo punto di vista) civiltà italica.

Contemporaneamente tuonò anche contro la classe politica dirigente ita- liana, rimproverata di non essere in grado di tutelare gli interessi nazionali e di aver gettato al vento il sacrifi cio dei caduti sui campi di battaglia, svilup- pando così il noto concetto di vittoria mutilata.

D’Annunzio decise di passare all’azione. Lo fece la notte tra l’11 e il 12 settembre ponendosi alla testa di un gruppo di legionari (e cioè un corpo militare volontario formato da nazionalisti, ex combattenti e soldati dell’e-

sercito) che partiti da Ronchi di Monfalcone28 si diressero verso Fiume e ne

decretarono l’annessione all’Italia.

Sostenuto da alcuni esponenti delle gerarchie militari, dai patrioti fi uma- ni e dall’ala di popolazione italiana che aveva assurto Fiume a simbolo della

vittoria mutilata, D’Annunzio trasformò la città in una provvisoria reggenza

italiana (Reggenza del Carnaro) dotandola anche di una carta costituzionale (Carta del Carnaro). Facendo leva sulla mistica della patria e sperimentando

27. La citazione di Gabriele D’Annunzio si trova in R. De Felice, P. Gibellini (a cura di), D’Annunzio politico: atti del convegno, il Vittoriale 9-10 ottobre 1985, Fondazione del Vittoriale degli Italiani, Gardone Riviera 1987, pp. 140-141.

28. Per commemorare e dare risalto all’impresa dannunziana il Regio decreto del 5 di- cembre 1925 mutò la denominazione del comune in Ronchi dei Legionari.

rituali collettivi (adunate coreografi che, celebrazioni di anniversari, dialogo tra il capo e la folla) successivamente ripresi dal fascismo, la governò fi no al dicembre 1920.

Fu però necessario l’intervento diretto dell’esercito italiano per sancire la conclusione della sua esperienza. Infatti nel novembre dello stesso anno il governo italiano che vide Giovanni Giolitti succedere a Orlando alla Pre- sidenza del Consiglio, fi rmò il Trattato di Rapallo, sul quale torneremo nelle pagine seguenti, che riservò a Fiume lo status di città – libera.

Una soluzione non accettata da D’Annunzio che si rifi utò di abbandona- re la città rendendo così necessario l’invio di un contingente dell’esercito italiano il cui arrivo diede luogo, tra il 24 e il 29 dicembre, a scontri con i volontari dannunziani (il cosiddetto Natale di sangue) che causarono vittime da entrambe le parti.

Chiudiamo la parentesi fi umana e ritorniamo al 1918, esattamente al 3 novembre, quando Pettiti di Roreto assunse a Trieste la carica di governatore della Venezia-Giulia.

Insignito direttamente da Diaz, il generale piemontese, che aveva parteci- pato ad alcune tra le più signifi cative battaglie affrontate dall’esercito italia- no durante la Grande guerra (Col di Lana, Isonzo e Solstizio), si trovò così a capo di un governatorato militare (Governatorato della Venezia-Giulia) mantenutosi tale fi no al luglio 1919, quando un provvedimento governativo (Regio decreto 24 luglio 1919) decretò la nascita dell’Uffi cio centrale per le nuove province, in seno al quale operò il Commissariato generale civile per la Venezia-Giulia.

Si trattava di una struttura amministrativa di carattere civile, articolata su base locale attraverso dei commissari distrettuali che facevano riferimento diretto al governatore, rappresentante del potere politico centrale sull’intero territorio a eccezione della Dalmazia.

Qui, infatti, continuava a esercitare la sua autorità Enrico Millo nominato governatore dell’area il 15 novembre. Militare di comprovato valore, l’am- miraglio chiavarese aveva già ricoperto importanti ruoli istituzionali, primo tra tutti la carica, a seguito della sua nomina a senatore, di ministro della

Marina sotto il governo Giolitti (XIV legislatura)29.

Nonostante il suo piglio, Millo faticò non poco a prendere in mano la situazione, soprattutto nelle zone dell’interno. Infatti la limitata disponibilità di uomini portò l’esercito italiano a concentrare le maggiori energie verso 29. M. Gemignani, Enrico Millo, in Dizionario Biografi co degli Italiani, vol. 74 (2010), edizione on-line, in <http://www.treccani.it/enciclopedia/enrico-millo_(Dizionario-Biografi - co)/>, visitato il 25 marzo 2020.

Zara e Sebenico, ritardando così l’occupazione del territorio interno dove

germogliò «un’opposizione jugoslava organizzata»30, la cui azione, tuttavia,

non riuscì a evitare che l’area fosse concretamente sottoposta all’occupazio- ne italiana. Il Governatorato militare della Dalmazia, con sede a Spalato, fu sostituito con una struttura di carattere civile soltanto nel dicembre 1920 e cioè dopo la fi rma del Trattato di Rapallo.

Sia il governatorato militare quanto quello civile dovettero far fronte a una situazione di non facile risoluzione, poiché anche nella Venezia-Giulia il confl itto aveva scavato solchi profondi lasciando una pesante eredità sul piano economico, sociale e culturale.

Le problematiche di maggior rilevanza erano costituite dal rientro degli sfollati evacuati dalle autorità austriache e da quello dei profughi riparati nelle varie province italiane, unitamente alle diffi coltà legate agli scarsi approvvigionamenti, alla mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria e a una crisi produttiva che faceva sentire i propri effetti anche sul piano economico.

Il primo dopoguerra coincise dunque con un periodo di grandi privazioni, che l’amministrazione provvisoria italiana affrontò non senza diffi coltà evi-

denziando il suo grado di «impreparazione e approssimazione»31.

Il governatorato mostrò le stesse incertezze anche nella gestione di quel-

lo che Teodoro Sala ha descritto come «un crocevia etnico inusitato»32, con-

traddistinto da un elevato livello di confl ittualità, assumendo una condotta rivelatasi spesso contraddittoria. Infatti se da un lato promulgò provvedi- menti restrittivi nei confronti della popolazione slovena e croata (sospensio- ne di amministrazioni locali, scioglimento dei consigli nazionali, pressioni contro il clero), dall’altro concesse importanti aperture allo sviluppo dei due gruppi nazionali (rinnovo delle rappresentanze nazionali, riavvio dell’istru- zione scolastica e ripresa dell’associazionismo).

Contemporaneamente, per favorire la costituzione di un territorio com- pattamente italiano, le autorità di occupazione appoggiarono le manifesta- zioni di italianità, offrirono ampio sostegno alla popolazione italiana e acce- lerarono il processo di adeguamento della legislazione dei territori occupati a quella italiana.

30. L. Monzali, Italiani di Dalmazia 1914-1924, Le Lettere, Firenze 2007, p. 63. 31. A. Visintin, L’Italia a Trieste. L’operato del governo militare italiano nella Venezia –

Giulia 1918-1919, Irsml-Leg, Trieste-Gorizia 2000, p 52.

32. T. Sala, L’Istria tra le due guerre, Irsml, Trieste 2014, p. 9, in <https://www.irsml. eu/didattica-presentazione/confi ne-orientale-italiano/65-materiali-sul-confi ne-orientale/198- t-sala-l-istria-tra-le-due-guerre>, visitato il 24 marzo 2020.

L’ambizione era dunque arrivare a una stabilizzazione politica per con- sentire una normalizzazione dei territori, avvenuta però soltanto dopo la fi r- ma del Trattato di Rapallo che, sottoscritto il 12 novembre 1920 dal Regno d’Italia e da quello dei Serbi, Croati e Sloveni, pose fi ne alla prima fase del contenzioso italo-jugoslavo.

Alle trattative, svoltesi presso Villa Spinola a San Michele di Pagana, fra- zione del comune ligure, parteciparono per parte italiana Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio, Carlo Sforza, ministro degli Affari esteri e Ivanoe Bonomi ministro della Guerra. La delegazione jugoslava era invece compo- sta da Milenko Vesnić, presidente del Consiglio, Ante Trumbić, ministro de-

gli Affari Esteri e Costa Stojanovitch, titolare del ministero delle Finanze33.

La fi rma fu l’ultimo atto di una serie di colloqui negoziali avviati a parti- re dal 7 novembre, che entrarono nel vivo due giorni più tardi quando Sforza e Bonomi comunicarono a Vesnić e Trumbić i punti nodali delle richieste territoriali italiane: allungamento dei confi ni fi no al Monte Nevoso, conti- nuità territoriale con Fiume che avrebbe dovuto assumere lo status di città indipendente, assegnazione all’Italia di Zara e delle isole di Cherso, Lussi- no, Lagosta e Lissa (quest’ultima solo se non fosse stata garantita la smili- tarizzazione di Sebenico).

Tra le altre istanze messe sul tavolo dalla delegazione italiana vi erano anche la fi rma di accordi economici bilaterali, la garanzia del rispetto della minoranza italiana in Dalmazia e la sottoscrizione di un accordo volto a garantire gli interessi jugoslavi nell’area nel caso di un futuro ritorno degli Asburgo. Le parti si aggiornarono per valutare le richieste e il 10 novembre la delegazione jugoslava comunicò la propria disponibilità a fi rmare.

Il giorno seguente arrivò da Roma Giolitti e alle due di notte del 12 no- vembre venne così siglato il trattato che disegnò un nuovo scenario sul con- fi ne orientale.

L’Italia ottenne sostanzialmente quanto richiesto con l’annessione dell’I- stria e di Zara, unitamente alle isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa e la creazione dello stato libero di Fiume con un corpus separatum deli- mitato, come recita l’articolo 4 dell’accordo, «dai confi ni della città e del

distretto di Fiume»34, cui si aggiungeva una lingua di territorio istriano per

33. Per una ricostruzione puntuale delle vicende inerenti il Trattato di Rapallo, cfr. G. Giordano, Tra marsine e stiffelius: venticinque anni di politica estera italiana (1900-1925), Nuova cultura, Roma 2012.

34. Per il testo completo del Trattato di Rapallo, cfr. Isgrec, Dossier sul confi ne orientale, <https://isgrec.it/dossier_confi ne_orientale/materiali/trattato%20di%20rapallo.pdf>, visitato il 26 febbraio 2020.

assicurarne la continuità con l’Italia. La defi nitiva annessione della città al Regno d’Italia avvenne soltanto nel 1924 in seguito alla stipula, il 27 genna- io, del Trattato di Roma, fi rmato dallo stato italiano e dal Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.

Il Trattato di Rapallo rappresentò sul piano diplomatico il principale av- venimento della politica estera italiana del dopoguerra. La fi rma ebbe quindi una vasta eco e fu salutata con viva soddisfazione anche da Giolitti e Vesnić in occasione di una cena uffi ciale organizzata dalla delegazione italiana in omaggio a quella jugoslava.

I principali organi di stampa nazionali riportarono le parole dei presiden- ti, i cui discorsi ponevano l’accento sullo spirito collaborativo dell’intesa, che nelle intenzioni dei fi rmatari avrebbe dovuto inaugurare una stagione di cooperazione e relazioni tra i due paesi. In tale ottica Giolitti espresse il suo favore nel «vedere compiuto un atto che avrà conseguenze benefi che e profonde per i due paesi», mentre Vesnić osservò come l’accordo rappresen- tasse un passaggio importante «per il benessere delle generazioni venture

italiane e jugoslave e per quello dell’Europa»35.

Il nuovo assetto territoriale soddisfaceva pienamente le aspirazioni del governo italiano, che da questo momento in poi per indicare le aree del vecchio Litorale austriaco passate sotto la sua amministrazione utilizzò uffi - cialmente la defi nizione di Venezia-Giulia.

Entrato in vigore il 2 febbraio 1921, il Trattato di Rapallo, che garantiva la tutela della minoranza italiana in Dalmazia senza però offrire pari condi- zioni alla componente slovena e croata presente nelle aree di nuova annes- sione, comportò delle signifi cative modifi che anche sul piano demografi co. Furono infatti incorporati nel Regno d’Italia circa 300.000 sloveni e 170.000

croati36, chiamati per la prima volta nella loro storia a entrare a far parte di

uno stato che si identifi cava rigidamente con una sola nazionalità dominante sulle altre.

Da una prospettiva storica si trattò di un vero e proprio evento di rottura che, iniziato nel primo dopoguerra, trovava il suo completamento, segnando un passaggio cruciale sul piano delle condizioni di vita e delle relazioni tra le diverse popolazioni che raggiunsero la fase più acuta con l’avvento del fascismo la cui politica alimentò antagonismi, negò diritti, sparse sangue e aprì ferite diffi cilmente rimarginabili.

35. La citazione dei discorsi di Giolitti e Vesnić a seguito della fi rma del Trattato di Ra- pallo si trova in Dichiarazioni di Ministri sull’accordo di Rapallo, in «Corriere della Sera», 14 novembre 1920.