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La macchina dell’assistenza

provincia di Lubiana

2. La macchina dell’assistenza

La progressiva maturazione dell’esodo e le sue dimensioni sempre più rilevanti, convinsero il governo italiano a mutare piano di azione e a elabo- rare una strategia che prevedesse la creazione di un organismo in grado di assumere il ruolo di interprete delle iniziative politiche e assistenziali porta- te avanti dall’esecutivo nei confronti dei giuliano-dalmati.

12. M. L. Molinari, L’emigrazione dei profughi giuliani in Sardegna e Oltreoceano, in «Storia e Futuro», 23 (2010), <http://storiaefuturo.eu/lemigrazione-dei-profughi-giuliani-in- sardegna-oltreoceano/>, visitato il 10 giugno 2020.

13. E. Moretti, Fertlia dei giuliani (13’, Italia 1949). In Archivio Istituto Luce-Cinecittà, <archivioluce.com>, visitato il 15 giugno 2020.

Il 6 gennaio 1946 nasceva così, come abbiamo visto, l’Uffi cio per la Venezia-Giulia (Uvg), posto alle dipendenze del ministero degli Interni e guidato da Mario Micali. Spinto dalla necessità di regolamentare in maniera più effi cace l’attività assistenziale in favore dei primi profughi che iniziava- no a giungere dal Quarnaro, da Pola e dalla Zona B, il ministero dell’Interno istituì a Venezia una sezione distaccata dell’Uvg, poi soppressa il 12 gennaio 1948.

Fin dalla sua creazione, l’Uvg orientò la propria attività in una duplice di- rezione: da una parte si occupava di sovvenzionare e coordinare le iniziative di carattere assistenziale in favore dei profughi, dall’altro forniva sostegno, soprattutto sul piano economico, ai vari comitati giuliani, promuovendone la nascita nelle località maggiormente toccate dall’affl usso di esuli.

Dopo tre mesi dalla fondazione, De Gasperi decise di trasferire le com- petenze dell’Uvg in seno alla Presidenza del Consiglio, ponendo così fi ne a una fase convulsa, caratterizzata da confl itti di competenze tra la stessa Presidenza e il ministero dell’Interno.

Alla base della scelta vi erano una motivazione uffi ciale, ovvero raggiun- gere un livello di coordinamento più funzionale tra la Presidenza del Con- siglio e l’Uffi cio stesso, e una uffi ciosa, altrettanto signifi cativa sul piano strategico.

La volontà di De Gasperi, e dunque della Dc, era infatti quella di ottenere il pieno controllo della questione del confi ne orientale, destinata a diventare uno dei temi caldi del dibattito interno e della politica estera italiana assu- mendo un peso specifi co notevole nella battaglia politica interna al paese. Si trattava, agli occhi del presidente del consiglio, di un’occasione che né lui, né il suo partito dovevano lasciarsi sfuggire. Fu così lo stesso De Gasperi, con il decreto del 1° novembre 1947 – congiuntamente fi rmato da Carlo Sforza, ministro degli Affari esteri, e Mario Scelba, titolare degli Interni – a decidere l’accentramento di tutte le competenze dell’Uvg sotto un unico ente, ovvero l’Uffi cio per le zone di confi ne (Uzc).

La responsabilità politica del nuovo organismo fu affi data a Giulio An- dreotti, giovane deputato all’Assemblea costituente e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, mentre alla guida dell’Uffi cio venne nominato Silvio Innocenti, che aveva maturato durante il fascismo importanti espe-

rienze prefettizie15.

L’Uzc non limitò le sue competenze alla sola attività assistenziale, ma svolse un fondamentale ruolo di coordinamento tra il centro e le ammi-

15. Cfr. A. Cifelli, I prefetti del Regno nel ventennio fascista, Scuola Superiore dell’Am- ministrazione dell’Interno, Roma 1999, pp. 146-147.

nistrazioni locali nella delicata fase dell’assistenza, dello smistamento e della sistemazione dei profughi. Contemporaneamente, l’ente si occupò anche di coordinare l’azione generale del governo nelle aree di confi - ne, assumendo la funzione di canale di trasmissione e collegamento tra Roma e il territorio istriano, avvalendosi in tal senso delle informazioni raccolte dalla rete di collaboratori, primo tra tutti il Clni che, successi- vamente trasmesse all’Uzc, avrebbero permesso alle autorità governative di elaborare le strategie di intervento sul piano politico e dei fl ussi di fi nanziamento.

L’Uzc rimase in attività fi no al 20 luglio 1954, quando Scelba fi rmò in- sieme ad Attilio Piccioni, ministro degli Affari esteri, il decreto che ne sancì la chiusura e il trasferimento delle competenze alla Presidenza del Consi- glio. Sulla decisione infl uì la futura defi nizione dei confi ni disegnata dal Memorandum di Londra che, portando a una progressiva normalizzazione dell’area, con il ritorno di Trieste all’Italia e l’assegnazione della Zona B del Tlt alla Jugoslavia, non rendeva più necessaria l’azione straordinaria dell’or-

ganismo la cui attività poteva dunque cessare16.

Parallelamente a quella ministeriale si sviluppò anche l’iniziativa privata, attraverso una rete di strutture impegnate nell’organizzazione dell’assisten- za ai giuliano-dalmati.

Nel febbraio 1947, a Roma, venne fondato il Comitato nazionale per i rifugiati italiani (Cnri) che poteva vantare nel proprio organigramma perso- nalità di spicco della scena politica del paese come De Gasperi, nominato presidente onorario, e gli ex presidenti del consiglio Francesco Saverio Nitti, Vittorio Emanuele Orlando, Ferruccio Parri e Ivanoe Bonomi, componenti del comitato d’onore. La loro presenza contribuì a trasformare l’istituzione, che aveva la propria sede nella centralissima via del Quirinale, in un ente pa- rastatale, pienamente legittimato nell’assistenza ai profughi provenienti dai territori perduti, con particolare riferimento a quelli della Venezia-Giulia, verso i quali furono defi nite strategie volte a favorirne l’inserimento lavora-

tivo e la sistemazione abitativa17.

16. Per una ricostruzione dettagliata dell’attività dell’Uzc, oltre a D. D’Amelio, A. Di Michele, G. Mezzalira (a cura di), La difesa dell’italianità, cit., cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri-Archivio Generale, Uffi cio per le zone di confi ne: l’archivio, Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per l’Editoria, Roma 2009; R. Pupo (a cura di), Uzc:

Uffi cio per le Zone di Confi ne, in «Qualestoria», 2 (2010).

17. Cfr. P. Ballinger, ‘National Refugees’, Displaced Persons and the Reconstruction

of Italy: the Case of Trieste, in J. Reinisch, E. White (a cura di), The Disentanglement of Populations. Migration, Expulsion and Displacement in Postwar Europe 1944-9, Palgrave

Dopo due anni di attività, nel 1949, il Cnri venne costituito in ente mo- rale e mutò la propria denominazione in Opera nazionale per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati (Onapgd) che, presieduta da Oscar Siniga- glia, industriale siderurgico e presidente della Finsider, indirizzò i propri sforzi lungo tre direttrici principali: casa, lavoro e assistenza. Creando una struttura composta da comitati provinciali, direttamente dipendenti da quel- lo centrale, l’Onapgd riuscì a ottenere risultati soddisfacenti se è vero che tra il 1947 e il 1964 furono edifi cati 7.700 alloggi per oltre 35.000 profughi, vennero avviati al lavoro 61.400 giuliano dalmati e si registrò la costruzione di collegi, preventori e colonie che, realizzate grazie al contributo decisivo dei ministeri degli Interni e della Pubblica istruzione, ospitavano bambini di età compresa tra i sei e i dodici anni. L’Onapgd si occupò di seguire da vicino i percorsi formativi dei minori che trovarono sistemazione nei centri di raccolta e di quanti erano invece ospitati nelle strutture scolastiche gestite dalla stessa istituzione.

In tal senso vanno ricordate la Casa della bambina giuliano-dalmata per circa 200 allieve della scuola elementare e la Scuola di avviamento profes- sionale sorte nel Villaggio giuliano-dalmata di Roma, il Convitto Fabio Filzi di Gorizia, riservato a 120 ragazzi della scuola media, la Scuola arti e me- stieri di Trieste, capace di ospitare fi no a 80 studenti e la Casa del bambino profugo di Merletto di Graglia, in provincia di Biella, dove alloggiavano una sessantina di bambini frequentanti la scuola elementare. L’ente contribuì inoltre a edifi care collegi a Grado, Brindisi, Pesaro, Fano, Varese, Volterra, San Miniato (Pisa), due preventori antitubercolari a Sappada e colonie estive a Santo Stefano di Cadore (Belluno), Merletto di Graglia, Ostia, Pescara, Grado e Messina nelle quali, in turni di trentacinque giorni, potevano essere

accolti circa 2.500 bambini18.

Nel quadro delle iniziative in favore di bambini e ragazzi portate avanti dall’Opera, che durante la sua intensa attività conclusasi nel 1978 assistet-

te circa 76.000 giovani19, occorre infi ne menzionare anche la Giornata del

Bambino Profugo, celebrata annualmente in tutta Italia con lo scopo di rac-

cogliere fondi da destinare all’assistenza dei piccoli giuliani.

18. Onapgd, 25 anni di lavoro: 1947-1972, Opera nazionale per l’assistenza ai pro- fughi giuliani e dalmati, Roma, 1973, p. 12; Id. 17 anni di lavoro: 1947-1964, Opera nazionale per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati, Roma, 1964, pp. 8-12; Istituto Regionale per la cultura istriana, Esodo e Opera Assistenza Profughi. Una storia paral-

lela: 15 settembre 1947-15 marzo 1978, Istituto Regionale per la Cultura Istriana, Roma-

Trieste 1997, pp. 9-11.

19. C. Palazzolo Debianchi, Le case dei giovani profughi giuliano dalmati. Storia dei col-

L’Onapgd poteva anche contare sull’appoggio del Madrinato Italico, sorto su iniziativa di Marcella Mayer, fi glia di Teodoro Mayer fondatore del quotidiano triestino «Il Piccolo», nonché moglie di Sinigaglia, che nel gennaio 1949 convocò nella sua abitazione una cinquantina di «facoltose

signore romane»20, con l’obiettivo di costituire un’associazione che suppor-

tasse l’Opera nell’assistenza ai bambini e ai ragazzi, riservando particolare attenzione al versante educativo, pedagogico e dell’istruzione.

L’idea fu immediatamente accolta e le partecipanti si impegnarono, fi n da subito, a versare una quota mensile a benefi cio dei giovani profughi che permise così non solo di fornire i fondi necessari a provvedere alle loro esigenze, ma anche a incrementare le risorse economiche dell’O- napgd consentendo così un miglior funzionamento delle strutture già esi- stenti, il loro ampliamento e, laddove necessario, la costruzione di nuovi

complessi21.

Un altro soggetto direttamente impegnato in campo assistenziale fu la Pontifi cia commissione di assistenza (Pca), la cui genesi risaliva all’aprile

1944 quando Pio XII, mosso «dall’incalzare degli eventi»22, decise di co-

stituire la Pontifi cia commissione di assistenza ai profughi per gestire la raccolta e la distribuzione dei viveri. Il 22 gennaio 1945, su indicazione del- lo stesso pontefi ce, l’organismo si fuse con la già esistente Pontifi cia com- missione di assistenza ai reduci, assumendo la denominazione di Pontifi cia commissione di assistenza, mantenuta fi no al 1953, anno in cui si trasformò in Pontifi cia opera di assistenza (Poa) che terminò la sua attività nel 1970 quando, su disposizione di Paolo VI e della Conferenza episcopale italiana,

nacque la Caritas italiana23.

Attraverso le sue sezioni periferiche che agivano in stretto contatto con la sede centrale, l’organizzazione operò in vari modi, orientando la propria azione soprattutto lungo tre canali: creazione di posti di ristoro per i profu- ghi in diverse stazioni ferroviarie del paese, distribuzione di generi alimen- tari, indumenti, capi di vestiario ed erogazione di sussidi in denaro.

20. Una bella iniziativa a Roma. Il Madrinato Italico, in «Difesa Adriatica», 22 gennaio 1949.

21. Cfr. C. Palazzolo Debianchi, Accoglienza e assistenza dei profughi in Italia, in Centro

di documentazione multimediale della cultura giuliana, istriana, fi umana, dalmata, <https://

www.arcipelagoadriatico.it/contributi/accoglienza-ed-assistenza-dei-profughi-in-italia/>, vi- sitato il 10 giugno 2020.

22. F. Ricci, Pontifi ca Opera di Assistenza (Poa), in V. Monachino (a cura di), La carità

cristiana in Roma, Cappelli, Bologna 1968, p. 333.

23. Cfr. A. Bistarelli, Il ritorno degli internati militari, in E. Gobetti (a cura di), 1943-

Una rapida ricognizione in alcune città italiane ricostruisce il peso dell’intervento della Pca che a Mantova, ad esempio, predispose un posto di ristoro dotato di una cinquantina di posti letto in grado di ospitare i profughi di Pola in attesa del trasferimento nei vari comuni della provincia, a Genova si adoperò per la sistemazione degli esuli in alberghi, dormitori, sedi di enti pubblici e strutture private, a Lucca concesse sussidi in denaro, mentre a Sa- lerno si prodigò nella distribuzione di indumenti, alimenti, buoni alimentari, nella somministrazione di cure mediche e nell’avviamento al lavoro di «non

pochi profughi»24.

Siamo dunque di fronte a un contributo di vaste proporzioni, la cui porta- ta è ben restituita da un prospetto riassuntivo dell’attività dell’ente elaborato nel 1948 che certifi cava la distribuzione di 79.500 quintali di viveri, 71.400 tra capi di vestiario e paia di scarpe e la concessione di quasi 27 milioni di lire in sussidi. In tali forme di assistenza – si legge nel documento – furono tenuti in particolare considerazione con «speciali distribuzioni, perché più

bisognosi, i profughi giuliani»25.

L’istituzione di posti di ristoro per i profughi non riguardò soltanto la Pca, ma coinvolse direttamente anche la Croce rossa come dimostra ad esempio una nota del direttore generale, Giovanni Battista Vicentini, che informava l’Uzc di aver provveduto a predisporre nei punti di sbarco di Venezia e Ancona e nei porti di Brindisi, Trieste e Ravenna delle strutture di prima accoglienza nelle quali fornire medicazioni, generi alimentari, di conforto e di prima necessità. Il contributo assistenziale della Cri si concretizzò inoltre nella distribuzione di viveri, indumenti e medicinali per fronteggiare, quelle che Vicentini defi niva, le «urgenti necessità» dei

profughi giuliani26.

Al funzionamento del fi tto reticolo assistenziale concorsero anche, agen- do tra loro in sinergia, istituzioni locali (Enti comunali di assistenza), mis-

24. Lettera (prot.n. 01393/5) inviata il 6 aprile 1947 alla sede centrale della Pca da Fer- dinando Balzelli, responsabile sezione di Lucca; Lettera inviata il 13 maggio 1947 alla sede centrale della Pca da monsignor Antonio Calducci, presidente della Pca salernitana; Lettera inviata l’8 marzo 1947 dal delegato della Pca della Liguria alla diocesi di Genova; Nota (prot.n. 9873) del prefetto di Mantova inviata l’8 febbraio 1947 all’Uzc. In Apcm-Uzc, Se- zione II, Sottosezione Profughi, B. 18, F. 34, Salerno. Assistenza esuli da Pola; B. 19, F. 54, Mantova. Assistenza esuli da Pola.

25. Pontifi cia commissione di assistenza, L’attività della PCA durante l’anno 1948, Estratto da «L’attività della santa sede», Tipografi a Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1949, p. 11.

26. Nota di Giovanni Battista Vicentini (prot.n. 7723) inviata il 30 gennaio 1947 all’Uzc. In Apcm-Uzc, Sezione II, Profughi, B. 26, Volume II, F. 16, Croce Rossa Italiana. Soccorsi, fi nanziamento, varie.

sioni e organizzazioni internazionali, tra le quali si segnalava anche l’Unr-

ra27. Quest’ultima svolgeva principalmente un’azione di integrazione delle

forme assistenziali concesse dagli altri soggetti, concentrando la propria attività nella distribuzione gratuita di indumenti e generi alimentari.

È possibile supporre che l’assegnazione di vestiti rientrasse nell’ambito del Clothing Programme, avviato dall’Unrra in Italia per la consegna di in- dumenti, scarpe e biancheria. Tra il 1945 e l’agosto dell’anno successivo l’i- stituzione distribuì 713.860 paia di scarpe, 85.550 lenzuola e oltre 3.360.000 indumenti. Ne benefi ciarono, oltre alla popolazione civile, anche DPs e profughi, compresi i giuliano-dalmati, ai quali furono destinate particolari

provvidenze indicate dall’organizzazione come «additional distribution»28.

Per i giuliano-dalmati la sigla dell’Unrra era però anche sinonimo di cibo. Alcune fonti di memoria la evocano attraverso il ricordo di pacchi ali- mentari che combinavano sapori e colori nuovi: è il caso, ad esempio, di Rino P., esule zaratino arrivato nel campo profughi a Tortona, in provincia di Alessandria, che ricorda «i pacchi con su scritto Unrra», attesi e aperti con la gioia di scoprire e assaporare cibi mai visti prima d’ora («quando si apriva avevi una gioia di trovar dentro chissà che cosa») come la margarina o «le

ovi de Truman» (le uova di Truman) e cioè la farina di uova29. A stimolare i

ricordi di Claudio D., esule da Pola alle Casermette di Borgo San Paolo, il centro di raccolta di Torino, sono invece il formaggio fuso «di colore gial-

lastro» e il latte condensato contenuti nei «pacchi americani»30, arrivati in

occasione delle festività o di particolari ricorrenze.

La distribuzione non aveva infatti un carattere permanente, ma avveniva in base alle disponibilità dell’Unrra, poco propensa a estendere anche ai giuliano-dalmati un’assistenza alimentare continuativa che era invece con- cessa ad alcuni segmenti della popolazione civile e alle DPs.

In proposito appare esaustiva una corrispondenza intercorsa nell’agosto 1946 tra l’Uvg e la missione italiana dell’Unrra, sollecitata all’invio di pac- chi alimentari per i profughi giuliani.

Le aspettative furono però disattese: richiamando l’accordo stipulato con il governo italiano, l’Unrra specifi cava infatti come l’accesso al program- ma di assistenza alimentare supplementare (Supplementary Feeding) fosse

27. Cfr. G. Nemec, L’esodo dei giuliano dalmati tra storiografi e e memorie, in P. Aude- nino (a cura di), Fuggitivi e rimpatriati. L’Italia dei profughi tra guerra e colonizzazione, «Asei», 14 (2018), p. 115.

28. Unrra, Survey of Italy’s economy, Missione italiana Unrra, Roma 1947, p. 197. 29. E. Miletto, C. Pischedda, L’esodo istriano in Piemonte, cit., p. 460.

riservato soltanto ai bambini fi no al quindicesimo anno di età, alle donne incinte e alle puerpere. Non era quindi possibile assistere l’intera colletività dei profughi giuliano-dalmati per i quali però – assicurava il documento – l’istituzione avrebbe dato mandato ai propri comitati provinciali di esamina-

re «con benevolenza»31 le richieste di assistenza riguardanti gli appartenenti

alle categorie assistibili, con particolare riferimento ai bambini.

La principale motivazione del diniego andava probabilmente ricercata nei costi dell’operazione che, qualora avallata, avrebbe fatto gravitare oltre- modo il bilancio dell’Unrra, non disponibile a investire ulteriori risorse oltre a quelle, ingenti, già impiegate per l’attuazione del Suplementary Feeding, che tra il solo marzo e maggio 1946 aveva fornito pasti a oltre due milioni

di persone32.

Il passaggio, se letto attentamente, contiene però un altro elemento sul quale soffermarsi. Il riferimento ai bambini evidenzia infatti la particolare attenzione rivolta dall’Unrra all’infanzia e ai minori che rappresentavano un aspetto caratterizzante non soltanto la sua linea di intervento ma, più in ge- nerale, quella di molte delle realtà fi nora descritte, prime tra tutte l’Onapgd.

Considerati come le «vittime inermi per eccellenza delle guerre»33, i

bambini appartenevano alla categoria che più di altre aveva sofferto i traumi dello spostamento e dello sradicamento, riportando ferite morali e psicolo- giche acuite dalla permanenza forzata in ambienti estranei come i centri di raccolta, con il conseguente indebolimento della rete familiare e l’allenta- mento del controllo domestico.

Partendo da tali presupposti, il soccorso ai fi gli degli esuli divenne un punto nevralgico dei diversi programmi assistenziali, attuati con l’obiettivo di soddisfare non soltanto le necessità materiali, ma anche i bisogni sociali ed emotivi dei minori, fornendo sostegno psicologico e strumenti educativi adeguati per facilitare il loro inserimento nella società.