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Restare La popolazione italiana rimasta in Istria

provincia di Lubiana

6. Restare La popolazione italiana rimasta in Istria

Decapitato dall’esodo, il gruppo nazionale italiano vide pesantemente ridimensionato il proprio ruolo fi no a trasformarsi in un’esigua minoranza.

L’esodo rappresentò dunque un elemento di cesura che non solo mutò demografi camente il volto del territorio, ma sradicò un patrimonio linguisti- co, culturale e identitario secolare che faticò a trovare spazi di espressione nella Jugoslavia.

La popolazione italiana andò incontro a una decrescita costante, stimata

dai censimenti jugoslavi nella misura dell’83%90. La prima rilevazione uf-

fi ciale del dopoguerra fu eseguita nel 1948 e prese in considerazione anche l’Istria, Fiume, Zara, e le isole di Cherso, Lussino, Pelosa e Famagosta, tralasciando invece la Zona B del Tlt, dove l’amministrazione jugoslava aveva ancora carattere provvisorio. Secondo i dati emersi, in Jugoslavia ri- siedevano 79.575 italiani. Il numero più consistente, poco meno di 70.000 unità (69.737), si trovava localizzato nell’area istro-quarnerina. Tale cifra evidenziava un calo considerevole rispetto al censimento italiano del 1921, che calcolava, nelle medesime aree, una presenza italiana di 240.000 unità.

L’esodo aveva quindi provocato una riduzione di 170.000 persone (71%)91.

89. N. Milani, La Traversata, in Ead. Racconti di guerra, Il Ramo d’Oro Editore – Edit, Trieste – Fiume 2008, p. 157, 164.

90. E. Giuricin, La comunità italiana nei censimenti jugoslavi, croati e sloveni (1945-

2001), in Istituto nazionale di statistica, Società italiana di demografi a storica, I censimenti nell’Italia unita. Le fonti di stati della popolazione tra il XIX e il XXI secolo, in «Annali di

Statistica», 2012, Serie XII, vol. 2, Istat, Roma 2012, p. 220. Da sottolineare come sui censi- menti italiani, su quelli jugoslavi e sul loro utilizzo politico si siano sviluppate interpretazioni polemiche e tra loro divergenti.

91. E. Giuricin, I perché dell’opera “La Comunità Nazionale Italiana nei censimenti

jugoslavi 1945-1991”, in «La Ricerca. Bollettino del Centro Ricerche Storiche di Rovigno»,

Tra il 30 marzo e il 3 aprile 1953 ebbe luogo il secondo censimento jugoslavo del dopoguerra. Si trattava di una fotografi a che, nonostante la persistente esclusione della Zona B del Tlt, era comunque suffi ciente ad at- testare il calo della componente italiana, scesa a 35.874 persone nell’intera Jugoslavia, di cui circa 28.400 (28.397) registrate nell’area istro-quarnerina, che, con 41.340 unità in meno rispetto al 1948, vide una riduzione ancor più signifi cativa.

Associando il dato del 1953 con quello del censimento italiano del 1921, si nota come l’esodo avesse interessato alla data della seconda rilevazione jugoslava circa 211.000 persone, lacerando in maniera consistente il tessu- to demografi co dell’intera regione che, nel frattempo, aveva visto arrivare, nel medesimo periodo, 144.500 nuove presenze dalla Serbia, dalla Bosnia e dalle altre aree interne del paese in seguito alle politiche migratorie avviate dal governo jugoslavo dopo le partenze degli italiani.

Si trattava, parafrasando i versi di una celebre canzone di Fabrizio De

André, di «genti diverse venute dall’est»92, che andarono a popolare le cam-

pagne e i centri urbani: contadini, spesso inesperti e quindi inadeguati a far fruttare una terra particolare come quella istriana, operai ma anche quadri di partito, dirigenti e professionisti che con la loro presenza contribuirono alla metamorfosi di paesi e città come Pola, e Fiume, al centro, più di altre, di un consistente numero di arrivi.

A certifi care in tutta la sua interezza il declino sul piano numerico della comunità italiana fu il censimento del 1961, contenente, elemento di novità rispetto ai precedenti, anche i dati relativi alla Zona B del Tlt, passata nel 1954 sotto la sovranità statuale jugoslava. Gli italiani residenti sul territorio nazionale passarono dai 35.874 del 1953 ai 25.614 del 1961. Il dato deve però tenere conto della presenza della componente italiana residente nella ex Zona B del Tlt che mai prima d’ora aveva trovato spazio nelle rilevazioni uffi ciali. Senza tali aree, il decremento avrebbe assunto certamente propor- zioni ancora più considerevoli.

Provando a scomporre la rilevazione su scala territoriale, si nota come in Croazia (dove la presenza italiana si attestava su valori maggiori) gli italiani scesero dai 33.316 del 1953 ai 21.102 del 1961, registrando così un decremento del 36%. In Slovenia, per effetto dell’inclusione dei ter- ritori della ex Zona B del Tlt, il numero era invece aumentato, passando dalle 854 unità del 1953 alle 3.072 del 1961. Spostando lo sguardo all’a- rea quarnerina (Fiume, Abbazia) e nelle Isole di Cherso e Lussino i dati

attestavano una contrazione della presenza italiana pari al 60% rispetto al censimento precedente.

In conclusione, se si effettua una comparazione tra i censimenti nell’arco compreso tra il 1948 e il 1961, anno in cui l’esodo era oramai giunto alla sua conclusione, si nota come la componente italiana fosse passata da 79.575 a 25.614 unità, 7.700 delle quali nella sola città di Fiume, il centro che presen-

tava la maggior concentrazione93.

Negli anni Duemila, dopo il dissolvimento della Jugoslavia e la forma- zione della repubblica slovena e di quella croata, il trend sembrava procede- re lungo la stessa linea del periodo precedente come dimostrano i censimenti del 2001 e del 2011.

Nel 2001 gli italiani residenti in Croazia erano 20.521, scesi a 17.800 un decennio più tardi. In Slovenia la comunità italiana nel 2001 ammontava a 2.959 persone, ridottesi a 2.250 l’anno seguente, ultima data alla quale fare riferimento, poiché da quel momento in poi cessarono le rilevazioni demo-

grafi che sulla base della nazionalità94.

Tali dati evidenziano come a restare fu dunque un esiguo numero di ita- liani, direttamente toccati dai rifl essi dell’esodo destinato ad assumere, an- che per loro, i connotati di un passaggio traumatico e lacerante che sgretolò l’universo precedente, portando i cosiddetti rimasti a vivere sofferenze del tutto simili a quelle degli esuli.

Rimanere è spesso intesa come una decisione dettata da ideali, primo tra tutti il sostegno ai poteri popolari e alla loro politica, partecipando in prima persona alla costruzione della Jugoslavia socialista.

Certamente la dimensione ideologica incise sulla scelta di restare che, al pari dell’esodo, racchiudeva in sé un variegato ventaglio di opzioni nel quale si legavano dinamiche soggettive, identitarie ed esistenziali che, se ricondotte al solo elemento politico, rischiano di non restituire la comples- sità di fondo, privilegiando invece un’interpretazione lineare, semplicistica e stereotipata.

Sulla valutazione incise in maniera determinante una gamma di proble- maticità differenti, come la condizione di scoramento seguita al ripetuto respingimento della domanda di opzione da parte delle autorità jugoslave, il forte attaccamento alla propria terra, il timore di lasciare ciò che si pos- sedeva per andare incontro a un avvenire di incertezze, la paura di trovarsi improvvisamente in una realtà estranea a quella in cui si era nati e vissuti per 93. E. Giuricin, La comunità italiana nei censimenti jugoslavi, croati e sloveni (1945-

2001), cit., pp. 228-230.

anni e, non per ultimi, i vincoli e i condizionamenti dovuti ai legami affettivi e familiari che non si intendevano spezzare.

Restare non fu dunque, al pari di partire, una scelta semplice. Chi la fece si trovò a dover convivere con una fase di estrema diffi coltà, segnata da li- mitazioni linguistiche, culturali e dei comportamenti sociali che portarono alla rottura degli equilibri. Norme, abitudini e tradizioni iniziarono così a vacillare, provocando grossi traumi sul piano psicologico, rendendo presso- ché impossibile per la popolazione rimasta non subire lo smarrimento e il disorientamento originati dall’esodo.

Il sentimento di spaesamento che avvolse gli esuli, divenne quindi ele- mento comune e ricorrente anche nella condizione dei rimasti, costretti a subire il trauma del nuovo che avanzava, con il quale confrontarsi e imparare a convivere. Città che chi restava riconosceva a fatica, trovandosi proiettato in un cambiamento globale riguardante non soltanto il fattore estetico e ur- banistico (probabilmente la parte meno dura da accettare), ma soprattutto lo spirito dei luoghi.

Mutarono infatti i nominativi sui campanelli delle case, occupate da abi- tanti nuovi e sconosciuti, i nomi delle vie e delle piazze, le insegne dei nego- zi, le voci delle persone e la loro parlata che riduceva alla sola sfera familiare l’utilizzo della lingua materna. Trovava dunque compimento un processo di continua trasformazione dell’ambiente, generando così una condizione di straniamento, snaturamento e sdoppiamento che, ricondotta a un’unica ori- gine, sfociava in una vera e propria crisi di identità con la quale rapportarsi fu sempre più diffi cile.

Un travaglio durato per lungo tempo, che conobbe un progressivo al- lentamento solo a partire dalla prima metà degli anni Sessanta quando i miglioramenti qualitativi e materiali delle condizioni di vita, unitamente alle aperture politiche e culturali che investirono – seppur parzialmente – la so- cietà jugoslava, consentirono alla comunità italiana di usufruire di nuovi e signifi cativi spazi, anche e soprattutto sul piano culturale.

A inaugurare questa nuova stagione fu non solo la concessione di borse di studio e di scambio con l’Italia, ma soprattutto una nuova attenzione per la lingua italiana, certifi cata dalla creazione del Dipartimento di italianistica presso la facoltà di Magistero di Pola, dalla riapertura di asili e scuole italia- ne e dalla creazione di biblioteche circolanti con volumi in italiano.

Un fermento che si tradusse da un lato nell’organizzazione, con fre- quenza sempre maggiore, di convegni, rassegne artistiche e musicali da parte del gruppo nazionale italiano e dall’altro nella nascita di riviste let- terarie come «La batana» – sulle cui pagine vennero ospitati i contributi

dei migliori scrittori della minoranza italiana rimasta – e di circoli teatrali e artistici.

A partire dal 1964 venne inoltre avviata una profi cua collaborazione con l’Università Popolare di Trieste che consentì, in entrambe le direzioni, scambi di docenti, studiosi e conferenzieri, mentre nel 1968 si registrò la fondazione del Centro di ricerche storiche di Rovigno che nel corso degli anni produsse un’ingente mole di saggi, volumi e ricerche dedicati alla sto-

ria della regione95.

Passaggi che testimoniarono come la comunità italiana avesse progressi- vamente raggiunto un proprio livello di autonomia, uscendo dall’isolamento culturale e diventando un soggetto di primo piano all’interno dell’intera so- cietà istriana.

95. Cfr. S. Lusa, Il gruppo nazionale italiano di Slovenia e Croazia, in N. Re (a cura di), La frontiera orientale. Confl itti, relazioni, memorie, Il lavoro editoriale, Ancona 2007, pp.137-138; G. Nemec, Nascita di una minoranza, cit., pp. 417-418.

V I. Arrivi