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provincia di Lubiana

4. Foibe istriane

«Depressione carsica a forma di imbuto, sul fondo della quale si apre una

profonda spaccatura che assorbe le acque»47.

Così il Dizionario Garzanti della Lingua italiana defi nisce la parola foi- ba, termine derivante dal latino fovea, cavità, che nella Venezia-Giulia è uti- lizzato per defi nire le violenze di massa a danno di militari e civili, in larga parte ma non esclusivamente italiani, compiute da parte del movimento po- polare di liberazione jugoslavo nell’autunno del 1943 (foibe istriane) e nella primavera del 1945 (foibe giuliane).

Utilizzate dalla popolazione del retroterra triestino e istriano come depo- sito per il materiale di scarto del quale era diffi cile disfarsi, durante il secon- do confl itto mondiale e l’immediato dopoguerra, questi inghiottitoi naturali vennero impiegati per celare i corpi dei caduti nei combattimenti e quelli delle vittime di eccidi, spesso eliminate mediante fucilazione collettiva, data

l’impossibilità di «scavare fosse comuni nel terreno roccioso»48.

45. I. Bolzon, F. Verardo, Postwar Trials in Trieste: Collaboration and Crimes against

Jewish property during the German Occupation, in «Studi di Memofonte», 22 (2019), p. 164.

46. Cfr. E. Apih, Tre documenti sulla politica nazista nel Litorale Adriatico, in «Il Movi- mento di Liberazione in Italia», 106-109 (1972), p. 60.

47. Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Foiba, in <https://www.garzantilinguistica. it/ricerca/?q=foiba>, visitato il 28 aprile 2020.

48. R. Pupo, Matrici della violenza tra foibe e deportazioni, in F.M. Dolinar, L. Tavano (a cura di), Chiesa e società nel goriziano tra guerra e movimenti di liberazione, cit., p. 233.

Il contesto all’interno del quale vanno calate entrambe le fasi è quello della resa dei conti seguita alla caduta del fascismo e alla fi ne della du- rissima occupazione nazista, che videro un’ esplosione di violenza contro fascisti e nazisti, portando così a disegnare, anche nella Venezia-Giulia, uno scenario di fondo non molto dissimile a quelli di altri dopoguerra europei.

La specifi cità fu invece costituita dalla «sostanza politica delle stragi»49

che non si applicava solo ai nazifascisti, per spiegare la quale è necessario compiere un passo indietro e volgere lo sguardo a quel vuoto di potere, ac- cennato nelle pagine precedenti, che investì l’entroterra istriano subito dopo l’8 settembre 1943.

A colmarlo, come si è visto, non furono immediatamente i tedeschi, ma le forze partigiane che assunsero il pieno controllo del territorio, mantenen- dolo per circa un mese, prima di cedere, alla metà di ottobre, all’avanzata nazista.

Un arco di tempo nel quale il movimento partigiano provvide ad appli- care anche nell’area istriana un modello già sperimentato in altre porzioni del territorio jugoslavo, che prevedeva nelle zone liberate (anche solo in via temporanea) l’instaurazione di un nuovo ordine, l’azzeramento di quello precedente e, non per ultima, l’eliminazione dei cosiddetti nemici del popo- lo. Categoria che, direttamente mutuata dall’esperienza bolscevica e dalla

spietatezza del totalitarismo staliniano50, venne applicata con una discrezio-

nalità tale da poter comprendere al suo interno quei segmenti di popolazione invisa ai comandi partigiani.

Questi ultimi, in un clima nel quale insurrezione popolare, sollevazio- ne contadina e resa dei conti con gli esponenti del passato regime fascista procedevano parallelamente, ordinarono così l’arresto immediato di tutte le fi gure ritenute incompatibili con il nuovo potere: personalità di rilievo nelle gerarchie del partito fascista (dirigenti e squadristi), esponenti della società locale (proprietari terrieri, commercianti, farmacisti, ecc.) e rappresentanti dello stato italiano (podestà, segretari, maestri, carabinieri e messi comuna- li), i cui simboli (municipi, tribunali, archivi, catasti comunali e dell’erario) vennero distrutti e dati alle fi amme.

L’intreccio di tali fattori evidenzia come quanto accadde nell’autunno 1943 ebbe delle particolarità rispetto alle vicende della primavera 1945, non solo, come vedremo in seguito, per il coinvolgimento dell’entroterra e non

49. E. Apih, Trieste, Laterza, Roma-Bari 1988, p. 165

50. Su questo aspetto, cfr. N. Werth, Nemici del popolo. Autopsia di un assassinio di

delle città, ma soprattutto per il nesso esistente tra il «furore popolare»51 e la

precedente oppressione nazionale e sociale che investì la popolazione croata durante il ventennio mussoliniano.

Dall’analisi del fenomeno emerge inoltre come le motivazioni di ordine politico si saldassero con contrasti e rancori personali, al punto da rendere molto labile la linea di separazione tra risentimenti individuali e violenza collettiva, che a volte assunse forme di esecuzioni precedute da efferatezze

e sevizie52.

Tale aspetto conduce il ragionamento all’individuazione di due scale di violenza: quella calda e spontanea che trovò sfogo nei casi di linciaggi con- tro le vittime e nell’incendio di archivi e catasti comunali, e quella fredda che, come ha osservato Raoul Pupo, «stilava le liste dei soggetti da colpire, li scovava, li arrestava senza chiasso, possibilmente di notte, e poi li ammassa-

va, li spostava, li eliminava con rapidità»53, occultandone, infi ne, i cadaveri.

La violenza pianifi cata si affi ancò a una confusione organizzativa e poli- tica, che vide i comandi partigiani adottare criteri di selezione molto ampi, tali da consentire il raggiungimento di un duplice obiettivo: da un lato col- pire direttamente quanti fossero ritenuti colpevoli di eventuali responsabi- lità per aver esercitato pressioni e violenze contro la popolazione croata, dall’altro intimorire la componente italiana, che contò il maggior numero di vittime, sgretolandone così non solo l’egemonia economica e culturale, ma riducendo anche il suo peso specifi co sull’intera società istriana.

Dopo l’arresto i prigionieri furono condotti in alcune località, prima tra tutte Pisino, dove sorgeva il castello di Montecuccoli, trasformato in centro direzionale e organizzativo delle operazioni politiche, militari e di polizia, al cui interno venne anche istituito un tribunale del popolo. Qui le autorità partigiane procedettero a processi sommari e fucilazioni collettive, seguite dall’occultamento dei corpi nella foiba sottostante l’edifi cio.

51. R. Pupo, Foibe ed esodo: un’eredità del fascismo?, in Irsrec-Fvg, Materiali sul

confi ne orientale, Irsrec-Fvg, Trieste 2014, <https://www.irsml.eu/didattica-presentazione/

confi ne-orientale-italiano/65-materiali-sul-confi ne-orientale/193-r-pupo-foibe-ed-esodo-un- eredita-del-fascismo>, visitato il 28 aprile 2020.

52. In tal senso emblematico e piuttosto noto appare il caso di Norma Cossetto, fi glia di Giuseppe, podestà di Visinada d’Istria e iscritta ai Gruppi universitari fascisti di Pola, uccisa nella foiba di Villa Surani tra il 4 e il 5 ottobre 1943 dopo essere stata violentata e seviziata. Sulla vicenda di Norma Cossetto, ricostruita non senza contraddizioni, cfr. F. Sessi, Foibe

Rosse. Vita di Norma Cossetto, uccisa in Istria nel ’43, Marsilio, Venezia 2007. Sulla sua

strumentalizzazione e l’uso pubblico, oltre al fi lm di M.H. Bruno Red Land- Rosso Istria, si veda anche la graphic novel di E. Merlino, B. Delvecchio, Foiba Rossa. Norma Cossetto.

Storia di un’italiana, Ferrogallico, Milano 2018.

La cronaca di quanto accaduto è al centro di un articolo pubblicato da «Il Piccolo» nell’ottobre 1943, dopo l’arrivo dei tedeschi e la fi ne di quella che il quotidiano triestino defi niva «un’occupazione brigantesca». Il contributo riferisce come a essere fermati furono soprattutto «i cittadini più in vista», condotti successivamente all’arresto, nella caserma dei carabinieri prima di essere tradotti nelle carceri cittadine e, da qui, nel castello medievale. Si trattava di 217 persone, tra cui 19 donne, «trasferite in altra località o portate

alla fucilazione»54.

In prossimità dell’arrivo delle truppe tedesche, tali pratiche si susse- guirono con velocità sempre crescente: i partigiani preferirono infatti non lasciare alcuna testimonianza riconducibile alle loro azioni e procedettero quindi a vere proprie liquidazioni di massa e all’infoibamento degli uccisi.

La foiba non costituiva però una modalità di esecuzione, ma un metodo di eliminazione delle vittime che, legate con il fi lo di ferro ai polsi, veniva- no condotte sull’orlo della cavità e fucilate collettivamente. La morte, nella gran parte dei casi, avveniva immediatamente dopo l’esplosione dei colpi, in altri poteva essere invece provocata dalla caduta in voragini profonde decine di metri.

Provando, infi ne, a quantifi care il numero delle vittime coinvolte nel- le stragi del settembre-ottobre 1943, si può affermare come le stime più puntuali individuino un ordine di grandezza oscillante tra le 500 e le 700 persone.

Dopo il loro arrivo in Istria e la presa di possesso del territorio, le autorità tedesche iniziarono a diffondere le notizie delle esecuzioni compiute dai partigiani con l’intento di evidenziare il proprio ruolo di tutori dell’ordine costituito all’interno della società istriana, che la presenza partigiana aveva invece rovesciato e travolto. Una linea sposata a pieno anche dalla stampa locale, impegnata a far emergere, promuovendola a visione generale della popolazione civile dell’Istria interna, l’immagine rassicurante dei soldati te- deschi il cui arrivo, quasi salvifi co, aveva coinciso con la fi ne di una stagione di brutalità e violenze.

Si veda in proposito una corrispondenza dall’Istria pubblicata da «Il Pic- colo» nell’ottobre 1943. Recatosi a Buie, Pisino e in altri centri minori, l’a- nonimo cronista autore del contributo restituiva un quadro tranquillizzante, segnato da uomini e donne intenti al lavoro nei campi e da bambini «con volti sereni e vivaci» affacciati dalle fi nestre delle loro abitazioni. Un’imma- gine di tranquilla normalità, resa possibile – questo è il messaggio che tra- spare – dall’arrivo dei tedeschi che, «fuggiti i briganti, hanno riportato tran- 54. La corriera della morte. Tragiche giornate in Istria, «Il Piccolo», 15 ottobre 1943.

quillità». La loro era quindi una presenza rassicurante, anche e soprattutto per la popolazione, che li aveva attesi «con fi ducia» e che poteva fi nalmente «sventolare la bandiera bianca in segno di pace». Una pace – concludeva

l’articolo – fi nalmente «sicura»55.

La pace richiamata dall’articolo equivaleva al mantenimento degli equilibri sociali della regione che i partigiani avevano invece cercato di ribaltare, pro- vocando incertezze e paure nella popolazione italiana che vedeva messo for- temente in discussione il suo ruolo di leadership e di componente dominante. Ciò può spiegare il motivo per cui in alcuni borghi dell’Istria una par- te della comunità italiana vide con favore l’avanzata tedesca, accogliendo i militari germanici come liberatori che avrebbero posto fi ne agli arresti, alle violenze e alle eliminazioni che avevano contraddistinto l’attività dei partigiani croati sul territorio. Una dimensione specifi ca e di singoli luo- ghi, calata in un determinato momento storico, che non va comunque intesa come una condizione generale che abbracciasse l’intera popolazione italia- na, quanto invece come una realtà posta in stretta connessione con l’insieme delle forze in gioco, la cui rappresentazione appare mutuata da una diffe- rente percezione della paura, che costituisce un elemento fondamentale sul quale basare ogni considerazione.

Su quest’ultimo aspetto vale forse la pena evidenziare la contrapposizio- ne tra due modelli rappresentativi che vedono da una parte il tedesco buono, lo stesso che fa capolino nella corrispondenza proposta da «Il Piccolo», e dall’altra i partigiani, fi gure che agivano nell’ombra, la cui presenza invade- va il campo in maniera netta e decisa incrinando improvvisamente gli equili-

bri e le certezze della popolazione italiana delle comunità rurali dell’Istria56.