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Un cinema lucido e plastico: le ricerche percettologiche di Friedrich Kiesow e Cesare Musatt

La progressiva attenzione di Ponzo alle ricadute sociali della perce- zione cinematografica non è condivisa dal suo maestro Friedrich Kie- sow75, che ancora negli anni Venti prosegue invece la sua indagine

sulla percezione conforme a un’interpretazione fedele dello struttura- lismo wundtiano. Il suo saggio sull’effetto di lucido metallico duran- te la visione cinematografica, pubblicato nel 1928 sulla sua rivista «Archivio Italiano di Psicologia» attesta esemplarmente la coerenza e l’ortodossia del suo percorso scientifico76.

Kiesow, come si è detto, aveva dato un contributo fondamentale allo sviluppo (con vent’anni di ritardo) della psicologia wundtiana in Italia, promuovendo la fondazione di un laboratorio di psicologia spe- rimentale a Torino e incoraggiando il dialogo tra fisiologia e psicologia della percezione in una fase di incipiente crisi del positivismo italiano. Le sue ricerche psicofisiologiche, apertamente critiche nei confronti dell’anti-elementismo di William James, ma lontane anche dalla ge- stalt, dal funzionalismo, dal comportamentismo, dalla psicoanalisi, avevano ricevuto apprezzamenti internazionali, ma negli anni Venti, in un periodo in cui il modello wundtiano era stato ormai abbandona- to in tutta Europa, apparivano decisamente superate.

Come accade che uno spettatore, si chiede Kiesow nel suo studio, percepisca durante la proiezione cinematografica un effetto di lucido osservando l’immagine di oggetti metallici sulla superficie dello scher- mo? La sua risposta è conforme, in fondo, a quella data da Ponzo molti anni prima: l’effetto si produce per assimilazione. La visione dell’oggetto metallico stimola, in chi ha già visto nella sua esperienza pregressa un oggetto di questo tipo, la formazione di «un contenuto psichico positivo [che] per via associativa, si unisce al complesso rappresentato davanti a

75 Su Friedrich Kiesow (1858-1940) cfr. Mario Ponzo, Vite di psicologi, pagine di

psicologia: Federico Kiesow (1858-1940), «Archivio di Psicologia, Neurologia e Psi-

chiatria», III, 1, 1942, pp. 3-25; Maria Sinatra, Federico Kiesow, in Guido Cimino, Nino Dazzi (a cura di), La psicologia in Italia, cit., pp. 323-370; Maria Sinatra, La

psicofisiologia a Torino: A. Mosso e F. Kiesow. Pensa Multimedia, Lecce, 2000.

76 Friederich Kiesow, Del lucido metallico in immagini cinematografiche, «Archivio

noi dal film»77. Il fenomeno, osserva Kiesow, è per molti aspetti analogo

a quello che si determina nella fotografia stereoscopica, da lui già atten- tamente studiata78. Questa analogia suggerisce, tra le righe, un nesso

tra stereoscopia e cinema: in entrambi i casi, lo spettatore vede qualcosa che non è proprietà delle singole immagini, pur partendo da esse, e che nasce invece dalla sintesi psichica tra lo stimolo visivo attuale e il ricordo di altre percezioni. Siamo chiaramente molto distanti da una concezione realista e isomorfica della percezione, ma anche da un’apertura a teorie della percezione più innovative (la gestalt, prima fra tutte): le riflessioni svolte da Kiesow, nel loro diretto richiamarsi alla teoria wundtiana, a sua volta criticamente ricettiva nei confronti delle eterogenee teorie ottocen- tesche della percezione (da Gustav Fechner a Helmholtz), sembrano piut- tosto riaffermare orgogliosamente, quasi sulla soglia degli anni Trenta, l’importanza epocale di quel mutamento nell’idea (e nell’ideologia) della visione che si compì proprio nell’Ottocento, e che è stato ricostruito da Jonathan Crary79: al modello di un’ottica geometrica neutra esemplifi-

cato dalla metafora della camera oscura si sostituisce gradatamente un modello fisiologico, in cui le relazioni tra interno ed esterno, tra percezio- ne e referente, tra ciò che appare e ciò che esiste non sono più separate ed oggettive, trascendentali e gerarichizzate ma relative, mobili, soggettive, e dove le condizioni percettive non sono più astratte ma mediate dalla fi- sicità degli organi di senso, dalle situazioni ambientali, dai cambiamenti nel corso del tempo, dall’esperienza del passato.

Da questo punto di vista, il saggio di Cesare Musatti80 sulla pla-

sticità stereocinetica e cinematografica (che nel 1929 sigilla, quasi simbolicamente, un trentennio di irregolari riflessioni percettologiche sul cinema, prima che queste si eclissino pressoché interamente nel decennio successivo) pur muovendosi dentro un orizzonte di ricerche

77 Friederich Kiesow, Del lucido metallico in immagini cinematografiche, cit. 78 Cfr. in particolare: Friedrich Kiesow, Osservazioni sopra il rapporto tra due og-

getti visti separatamente coi due occhi, «Archivio Italiano di Psicologia», I, 1920,

pp. 3-38; III, 1920, pp. 239-290.

79 Cfr. Jonathan Crary, Techniques of the Observer: on Vision and Modernity in the

Nineteenth Century, MIT Press, Cambridge, 1992 (tr. it. Le tecniche dell’osservatore. Visione e modernità nel XIX secolo, Einaudi, Torino, 2013).

80 Cesare Musatti, Sulla «plasticità reale» stereocinetica e cinematografica, cit. Su

questo saggio, e più in generale sul rapporto di Musatti con il cinema, cfr. Vin- zenz Hediger, Fallgeschichten, Filmgeschichten. Die Liebe zum Kino als Prinzip der

psychoanalytischen Erkenntnis bei Cesare Musatti, in Günther Krenn (a cura di), Freud und das Kino, Filmarchiv Austria, Wien, 2006, pp. 136-160; Chiara Simo-

nigh, Cinema e psicoanalisi. L’interpretazione di Cesare Musatti, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, a.a. 1995-1996. Sulla prima fase della riflessione psicologica di Cesare Musatti cfr. Rodolfo Reichmann, Cesare Musatti psicologo, Arpa, Milano, 1996; Dario Romano, Renato Sigurtà (a cura di), Cesare Musatti e

meno attardato rispetto allo strutturalismo wundtiano di Kiesow, si colloca tuttavia sulla medesima linea ideologica dei saggi di Ardigò, Ponzo e dello stesso Kiesow. Anche Musatti, infatti, è convinto che il rapporto tra il mondo e la sua percezione da parte del soggetto sia mediato, e reso problematico, da processi psichici che occorre studia- re con attenzione: questa convinzione, tuttavia, discende non dalla lezione wundtiana ma dall’insegnamento del suo autorevole maestro, Vittorio Benussi, docente di psicologia sperimentale all’Università di Padova formatosi alla scuola di Graz81.

Il saggio appena citato, «nucleo primario di tutta la riflessione di Musatti sul cinema [e] sintesi completa delle pionieristiche ricerche sui fenomeni stereocinetici […] svolte insieme a Benussi»82, rappresen-

ta il primo risultato scientifico di un’attenzione al cinema che si ap- profondirà nei decenni successivi, e fa parte di una più ampia serie di interventi musattiani sulla percezione delle forme e sul rapporto tra struttura ed esperienza.

Il contributo nasce come risposta a una critica espressa priva- tamente all’autore da Kiesow. Nel saggio del 1925 sulla stereocinesi, Musatti, conformemente a quanto aveva sostenuto Benussi, affer- mava che tra l’impressione di tridimensionalità provata di fronte a oggetti corporei reali e quella percepita di fronte a oggetti bidimen- sionali stereocinetici non vi fosse alcuna differenza. Secondo Kiesow questa affermazione era eccessiva: egli riteneva invece che la plasti- cità percepita durante i fenomeni stereocinetici fosse equivalente a quella che si coglie nelle immagini fisse strutturate in prospettiva, e osservava come anche durante la visione di un film si avvertisse questa stessa plasticità, non reale ma prospettica. La valutazione di Kiesow era coerente con la sua impostazione associazionista: la per- cezione della tridimensionalità era un’illusione che nasceva da un legame associativo tra la perfezione della costruzione prospettica e la rappresentazione mentale della tridimensionalità. Musatti replica a Kiesow radicalizzando ulteriormente la sua posizione di partenza: non solo, come si è detto, riafferma l’isomorfismo tra plasticità reale e plasticità stereocinetica, ma sostiene persino che la plasticità per- cepita al cinema è identica a quella che si percepisce di fronte a og- getti solidi reali. Lo spettatore non interpreta gli oggetti bidimensio- nali filmati in senso plastico, ma li percepisce soggettivamente come collocati in uno spazio realmente tridimensionale83. Il fenomeno è la

81 I ricercatori della scuola di Graz, guidati da Alexius Meinong, allievo di Bren-

tano, erano interessati a una percettologia «centrata […] sui caratteri globali della percezione» (Rodolfo Reichmann, Cesare Musatti, in Guido Cimino, Nino Dazzi (a cura di), La psicologia in Italia, cit, p. 529).

82 Chiara Simonigh, Nota bibliografica, in Cesare Musatti, Scritti sul cinema, cit.

p. 244.

conseguenza di un processo di assimilazione, già individuato e de- scritto da Benussi.

Nel corso del suo magistero padovano, caratterizzato da molteplici interessi e temi di ricerca (la percettologia, la suggestione, la teoria della misurazione, la psicologia della testimonianza, la psicoanalisi), affrontati sempre con grande rigore sperimentale, Benussi si era aper- to anche al confronto con la teoria della gestalt, ma senza rigettare il «ruolo dell’esperienza passata, che il gestaltismo tende ad annullare a favore del carattere strutturale dei fenomeni di coscienza»84. Proprio

l’esperienza passata è un elemento importante della sua teoria dell’as- similazione: nei processi assimilativi, la percezione si modifica attra- verso l’azione di elementi psichici che ristrutturano la scena «ogget- tiva». Le analogie con il concetto wundtiano di assimilazione ripreso da Kiesow e Ponzo sembrerebbero evidenti, ma in realtà, nella teoria di Benussi, così come poi negli studi di Musatti sulla plasticità corpo- rea apparente, la funzione assimilativa non è il risultato dell’addizio- ne dei singoli elementi percettivi, come avviene nell’associazionismo wundtiano: piuttosto è il risultato di «schemi geometrici»85, di organiz-

zazioni generali delle passate esperienze di movimento che saturano la percezione e producono un’impressione di realtà (e questo spiega ul- teriormente le ragioni della reazione critica di Kiesow alle osservazioni di Musatti). Per ritornare al saggio musattiano, l’impressione di pla- sticità (e quindi di realtà) prodotta dalle immagini cinematografiche dipende proprio dall’esperienza accumulata dallo spettatore nel corso delle sue precedenti visioni. Quando Musatti scrive che «la situazione percettiva che si realizza nella visione cinematografica è ormai per noi (…) una situazione di visione di una scena plastica, di un ambiente tridimensionale»86, l’elemento da sottolineare è l’espressione «ormai»: lo

spettatore della fine degli anni Venti ha strutturato gradualmente, di film in film, un protocollo di visione che concorre a rendere pienamen- te funzionante l’impressione di tridimensionalità dello spazio filmico. Il fattore che alimenta più di ogni altro questa impressione derivante dall’esperienza è, secondo Musatti, il movimento degli oggetti e dei corpi all’interno del quadro: l’assimilazione di questo movimento ai movimenti di un corpo solido è talmente intensa da espandere l’im- pressione di tridimensionalità anche agli oggetti immobili.

Pur aprendosi agli aspetti soggettivi (e anche suggestivi) dell’espe- rienza, lo spettatore postulato in questo saggio di Musatti, come in

del 1926 pubblicato nella sezione antologica di questo volume: lo psicologo vede proprio nella piattezza dell’immagine animata uno degli elementi che concorrono alla sua imperfezione, ragione prima del suo successo.

84 Rodolfo Reichmann, Cesare Musatti, cit., p. 531.

85 Cesare Musatti, Sui fenomeni stereocinetici, «Archivio Italiano di Psicologia», III,

2, 1924, p. 113.

quelli di Ponzo (1911) e di Kiesow, è però un soggetto disincarnato, è la coscienza attiva di un processo percettivo: la ricerca sulla percezione oggettuale non sollecita una scienza del «singolare», ossia un’attenzio- ne mirata alla specificità individuali e differenziali dell’orizzonte psi- chico in quanto tale. Più sensibile a questa dimensione sarà invece il successivo studio di Musatti legato in parte al cinema87. Si tratta di un

contributo a quella psicologia della testimonianza che già il suo ma- estro Benussi aveva poso al centro della ricerca88: il lavoro di Musatti

è incentrato sull’uso sperimentale di sequenze filmiche realizzate ad hoc per verificare l’attendibilità del lavoro di rimemorizzazione condot- to dai testimoni: dopo trent’anni di riflessione scientifica sul cinema, l’immagine cinematografica, da illusione di massa foriera di una crisi di coscienza del reale diventa, paradossalmente, garante di verità a fronte di una ricorrente fallacia della percezione individuale. La critica della testimonianza sviluppata da Musatti affronta in modo più diret- to la soggettività psichica di chi assiste alle proiezioni, registrandone non solo gli errori percettivi ma anche le differenti condizioni emoti- ve. Lavorare sulla memoria delle immagini cinematografiche (un tema cruciale su cui si tornerà nelle prossime pagine) significa orientare la ricerca non più soltanto verso la presenza percettiva dell’oggetto ma anche verso la sua presenza mentale, o di irrealtà, per riprendere una feconda distinzione di Benussi89: una scelta che inevitabilmente pone

la questione dell’influenza suggestionante e persuasiva delle immagini animate e della loro presenza mentale sulle funzioni emotivo-affettive della psiche.

Questa proposta di riorientamento della riflessione sperimentale sul cinema verso i fenomeni della suggestione (eco parzialissima di una svolta scientifica ben più vasta e complessa, prefigurata e auspicata da Benussi nell’ultima fase della sua attività, prima del suicidio compiuto nel 1927) resta tuttavia piuttosto isolata nell’ambito della psicologia ge- nerale (con le importanti ma controverse eccezioni di Gemelli e Ponzo, su cui torneremo). Non la stessa cosa si può dire, invece, per la riflessione sul nuovo medium sviluppata, già da un paio di decenni, prima dalla psicologia collettiva e poi dalla neuropsichiatria, assai sensibili ai fattori affettivo-emotivi e ai fenomeni di suggestione individuale e sociale.

87 Analisi di una situazione concreta di testimonianza immediata, cit.

88 Cfr. Verena Zudini, La misura della menzogna. Vittorio Benussi e le origini della

psicologia della testimonianza, Edizioni Università di Trieste EUT, Trieste, 2011.

89 Cfr. Vittorio Benussi, La suggestione e l’ipnosi come mezzi di analisi psichica

reale, «Rivista di Psicologia», 21, 1925, p. 2 (poi anche in Vittorio Benussi, Speri- mentare l’inconscio. Scritti (1905-1927), a cura di Mauro Antonelli, Cortina, Mila-