• Non ci sono risultati.

Dalla psicologia all’ergonomia (e ritorno): cinema e psicotecnica

Nel paragrafo conclusivo dell’introduzione si è già detto come la psi- cologia italiana, dalla fine degli anni Dieci, entri in una fase di pro- fonda crisi identitaria e istituzionale, non solo per la crescente ostilità dell’ormai egemone reazione neo-idealistica e per l’avversione del re- gime fascista, ma anche per le divisioni interne alla disciplina119 e per

un crescente disinteresse verso l’innovazione teorica e metodologica. Nel corso degli anni Venti e Trenta, sia per ragioni difensive e di so- pravvivenza sia per una crescente adesione alle politiche di intervento socio-educativo del fascismo120, maturano gradualmente le condizioni

per un marcato spostamento della ricerca psicologica in ambiti di-

116 Ivi, p. 24. 117 Ivi, p. 182.

118 Pasquale Rossi, Sociologia e psicologia collettiva, cit., p. 160.

119 Sulle divisioni tra psicologi-filosofi e psicologi-medici come concausa impor-

tante del declino della psicologia italiana già negli anni Dieci cfr. Ferruccio Fer- ruzzi, La crisi della psicologia in Italia, in Guido Cimino, Nino Dazzi (a cura di),

La psicologia in Italia, cit., pp. 651-720.

120 Cfr. Riccardo Luccio, Breve storia della psicologia italiana: psicologia e fas-

rettamente tecnici e applicativi. Anche se, come osserva giustamente Soro, ciò accade proprio «nel momento in cui, nel resto del mondo la psicologia trovava la sua rifondazione teorica con i contributi di quasi tutti i grandi padri della psicologia mondiale»121, non si deve tuttavia

accentuare oltre misura l’immagine di una psicologia italiana appli- cativa del tutto isolata sul piano internazionale: l’attenzione crescente agli aspetti operativi della psicologia appare infatti sin dai primi anni Venti come una delle principali tendenze della ricerca internazionale.

A rendere comunque possibile questo profondo ri-orientamento epistemologico della psicologia italiana concorrono attivamente anche tre degli autori antologizzati in questo volume, e già più o meno am- piamente citati: Mario Ponzo, Agostino Gemelli e Sante De Sanctis.

La svolta applicativa e tecnica della psicologia italiana investe na- turalmente anche la riflessione sul cinema: Sante De Sanctis, nel- la sua introduzione a un importante quaderno di studi dedicato a

Cinematografo e organizzazione scientifica del lavoro, pubblicato nel

1930122 dal neonato Istituto Internazionale per la Cinematografia

Educativa, si dice convinto che «la visione animata [sia] applicabile in un modo o nell’altro, attualmente di già, o in un prossimo avvenire, a tutti i rami o divisioni dell’attività umana nel campo sociale». Questa concezione funzionale e strumentale del cinema era, non casualmen- te, quasi identica analoga alla definizione di psicotecnica data da Gemelli e Ponzo nella relazione introduttiva al già ricordato VII conve- gno nazionale della Società Italiana di Psicologia, tenutosi a Torino nel 1929 e ricordato dalla storiografia come l’evento che all’interno della comunità scientifica consacrò simbolicamente l’egemonia degli studi incentrati sulle applicazioni pratiche della psicologia.

Cinema e psicotenica avrebbero quindi dovuto concorrere insieme al progresso sociale, offrendo contributi fattivi nel campo dell’orienta- mento professionale (ambito in cui si specializzerà Mario Ponzo), della selezione attitudinale del personale (non solo civile ma anche, e so- prattutto, militare) dell’educazione, dell’organizzazione del lavoro, del- le politiche legate all’igiene, ecc. Questo intreccio sempre più fitto tra il cinema e le scienze sociali, le scienze psichiche e la pedagogia aveva trovato nell’Istituto un prestigioso spazio istituzionale ed editoriale di riflessione e indagine, aperto al confronto internazionale, ma estraneo a qualsiasi ipotesi di modellizzazione teorica generalista.

121 «Si pensi», aggiunge ancora Soro, «agli scritti metateorici di Freud, ai contributi

di Skinner dei neocomportamentisti, agli studi di Piaget». Giorgio Soro, La psico-

logia italiana: una storia in corso, Franco Angeli, Milano, 1999, p. 60.

122 Sante De Sanctis, Cinematografo e organizzazione scientifica del lavoro, cit.,

pp. IX-XXII, ripubblicato nella sezione antologica di questo volume. Il quaderno raccoglie contributi in buona parte già pubblicati sulla «Rivista Internazionale del Cinema Educatore». Lo stesso saggio di De Sanctis fu pubblicato su questa rivista: II, 12, dicembre 1930, pp. 1388-1398.

Dall’interno di questa sorta di gabbia dorata, personalità autorevoli come Sante De Sanctis123 si impegnarono attivamente per la realizzazio-

ne di un programma cinepsicologico radicalmente applicativo, non ri- muovendo, tuttavia, un certo risentimento nei confronti di quei modelli culturali (il neoidealismo primo fra tutti) responsabile di uno smantel- lamento dell’autonomia della psicologia, faticosamente conquistata nel corso di un trentennale ciclo di fitte sperimentazioni ed elaborazioni te- oriche, per relegarla a un ruolo ancillare e meramente tecnico-descrit- tivo. Queste tensioni anti-idealistiche traspaiono, a ben vedere, anche da taluni passaggi dell’appena ricordata Introduzione al Quaderno, in particolare quando De Sanctis afferma che nel cinema si deve constata- re un positivo primato della tecnica sull’estetica e, soprattutto, quando sottolinea la necessità di interpretare anche il lavoro intellettuale (un tema centrale e parzialmente innovativo della sua ricerca psicotecnica) in termini fisiologici. Proprio il nesso tra lavoro mentale e fatica fisica era un principio cardine della fisiologia positivista, grazie alle ricerche sull’efficienza del lavoro manuale che si stavano sviluppando anche in Italia, sulla scia delle sperimentazioni sulla fatica condotte da Mosso e di quelle, da esse derivate ma specificamente relative al lavoro, svilup- pate da Patrizi e da altri psicologi italiani.

Il percorso scientifico di De Sanctis, come ha osservato Pietro Lombardo, si smarca in buona misura dal positivismo fisiologico otto- centesco per collocarsi invece con rigore metodologico

in un panorama filosofico post-positivista in cui il pensiero neokantiano in continuità critica con il positivismo, intendeva delineare anche in Italia un programma interdisciplinare di rifondazione metodologica delle cosiddette scienze dello spirito, tra cui era anche la psicologia sperimentale che si voleva in questo modo strappare al fisiologismo positivistico e indiriz- zare in senso moderno verso lo studio dei cosiddetti fatti di coscienza124.

123 Su Sante De Sanctis (1862-1935) esiste una bibliografia molto ampia. Si leg-

gano, in particolare, gli studi Riccardo Luccio, De Sanctis e la psicologia italiana, «Storia e critica della Psicologia», 2, 1981, pp. 317-368; Antonio Maria Ferreri,

Sante De Sanctis, in Guido Cimino, Nino Dazzi (a cura di), La psicologia in Italia,

cit., pp. 255-296; Federico Bianchi di Castel Bianco [et al.], Sante de Sanctis.

Conoscenza ed esperienza in una prospettiva psicologica, Ma.Gi., Roma, 1998;

Glauco Ceccarelli, Sante De Sanctis: tra psicologia sperimentale e psicometria, in Id., La psicologia italiana. Saggi storiografici, QuattroVenti, Urbino, 1999, pp. 109-149; Guido Cimino, Giovanni Pietro Lombardo (a cura di), Sante De Sanctis

tra psicologia generale e psicologia applicata, Franco Angeli, Milano, 2004.

124 Giovanni Pietro Lombardo, Le categorie storiografiche nella storia della psico-

logia. Sante De Sanctis fra psichiatria e psicologia, «Rivista di psicologia clinica»,

Questa smarcatura dal postivismo non toglie, tuttavia, che proprio la vecchia fisiologia costituisca per De Sanctis un punto di riferimento nella sua visione del cinema.

Nel contributo citato, la proposta (pare mai realmente sostanziata da un’adeguata risposta produttiva) per la realizzazione ad hoc di fil- mati a scopo educativo-formativo che possano documentare le princi- pali fasi del lavoro fisico e intellettuale sembra infatti riattualizzare il vecchio progetto cronofotografico analitico di fine Ottocento descritto nel primo paragrafo di questo capitolo: anche per De Sanctis, come per Marey e per Carlo Foà, l’occhio del cinema arriva laddove l’oc- chio umano deve necessariamente abdicare, portando un contributo importante «alla fisiologia del movimento (e non soltanto al cronome-

traggio) mercé la distinzione, nell’insieme degli atti, di quei movimenti

fondamentali e tempuscoli e spostamenti che li compongono» (i corsivi sono nostri). De Sanctis, in questo passaggio del suo intervento, ade- risce a una concezione antibergsoniana del tempo come composizione di istanti, e sottolinea la necessità di considerare, per lo studio del ri- sparmio energetico e dell’efficienza dei processi lavorativi, il ruolo cen- trale non solo del tempo (il «cronometraggio») ma anche e soprattutto dei movimenti elementari.

Si può osservare come, in tutt’altro contesto, questa necessità fos- se stata evidenziata anche da Lilian e Frank B. Gilbreth (quest’ultimo espressamente citato da De Sanctis), universalmente considerati tra i pionieri dell’organizzazione scientifica del lavoro, insieme a Frederick W. Taylor (ma quest’ultimo era preoccupato, secondo il parere dei Glibreth, soprattutto della questione del tempo) e a Münsterberg. Le sperimentazioni dei Gilbreth sul movimento, per altro, presentava- no, come hanno sottolineato tra gli altri Marta Braun ed Elspeth H. Brown125 evidenti convergenze con il lavoro di Marey, anche per un

comune interesse nei confronti delle tecnologie fotocinematografiche di osservazione e registrazione del movimento126. Il cinema, secon-

do De Sanctis, svolge prima di tutto quest’ultima funzione scopica e conoscitiva, consentendo di distinguere (e quindi di identificare) le strutture elementari e ricorsive dei movimenti corporei. Rientra tra le

125 Marta Braun, Picturing Time. The Work of Etienne-Jules Marey (1830-1904),

cit., pp. 340-350; Elspeth R. Brown, The Corporate Eye: Photography and the

Rationalization of American Commercial Culture. 1884-1929, John Hopkins Uni-

versity Press, Baltimore, 2005, pp. 88-89.

126 Frank Glibreth e la moglie Lilian realizzarono anche numerosi film sulla razi-

onalizzazione dei movimenti del lavoratore manuale (cfr. Scott Curtis, Images

of Efficiency. The Films of Frank B. Gilbreth, in Vinzenz Hediger, Patrick Von-

derau (a cura di), Films that Work. Industrial Film and the Productivity of Media, Amsterdam University Press, Amsterdam, 2009, pp. 85-100; Arlie R. Belliveau,

Psychology’s First Forays into Film, «Monitor Psychology», XLIII, 5, maggio 2012,

feconde opportunità di questa funzione anche la ripresa filmata, «col rallentamento e l’analisi», delle crisi motorie dei pazienti «psiconeuro- tici», capace di «arricchire la sintomatologia psichiatrica differenziale e a rischiarare problemi di patologia mentale, di medicina legale e mi- litare fino ad oggi appena abbozzati»127: una proposta di cinema docu-

mentale ed esplorativo che si riallaccia chiaramente alle già ricordate riprese cinematografiche di pazienti affetti da patologie neurologiche, realizzate in anni precedenti, per restare solo in Italia, da Camillo Negro a Torino128, da Vincenzo Neri a Bologna129, da Gaetano Rummo

a Napoli, da Giuseppe D’Abundo a Catania.

La visione desanctisiana del «cinema applicato»130, tuttavia, non

confina il medium esclusivamente alla funzione analitica di oggetti- vare e fissare le immagini del corpo meccanizzato e cinetico (sia esso del lavoratore o del nevrotico): nel 1930 la riflessione ormai venten- nale sulla suggestione cinematografica ha ormai attestato, pur nelle sue contraddizioni e nei suoi limiti scientifici, la centralità del cinema come esperienza psichica soggettiva, e De Sanctis ne tiene pienamente conto. Nella parte centrale del suo intervento, egli ricolloca il cinema, spostandolo dall’area della fisiologia e dell’ergonomia all’ambito della psicologia spettatoriale: l’immagine animata ha infatti il potere «non solo di commuovere i cuori, ma di trasformare le menti»131. Le riprese

filmate dei movimenti elementari del lavoro fisico e mentale, così come delle «buone pratiche» dell’apprendimento, trovano infatti il loro pieno significato nel momento in cui sono viste non dal neurologo o dallo psicologo nella prospettiva dell’analisi, ma dai comuni lavoratori e da- gli scolari nella prospettiva di una sintesi psichica fondata su processi di illusione e, appunto di suggestione. Il modello analitico del corpo meccanico sottoposto all’osservazione oggettiva e razionalizzante, pri- ma dall’occhio tecnologico e poi dall’occhio scientifico, è sopravanzato dal modello fluidale della psiche «elettrica», attraversata cioè da flussi identificativi, da scariche empatiche (per riprendere un termine caro a Pasquale Rossi) di suggestione, polarizzate dalla potenza performan- te, ma anche concettuale, del gesto cinematografico.

L’istinto imitativo, sintomo di quell’automatismo psichico condan- nato da tanta letteratura scientifica come una delle principali cause dei disturbi neuropsichici indotti dal cinema, si rovescia in un’accezio- ne pienamente positiva e diventa una risorsa educativa: in una società

127 Sante De Sanctis, Cinematografo e organizzazione scientifica del lavoro, cit.,

ripubblicato in questo volume.

128 Cfr. nota 26. 129 Cfr. nota 26

130 Cfr. Sante De Sanctis, Applicazioni del cinema nel campo dell’educazione dei fan-

ciulli e dei ragazzi, in Cinematografo e organizzazione scientifica del lavoro, cit.

131 Sante De Sanctis, Introduzione, in Cinematografo e organizzazione scientifica

moderna ed evoluta, sempre più dominata dall’imperativo dell’azione, l’esperienza cinematografica è un’enfasi del veder fare che corrisponde di fatto al fare stesso, considerato che stimola «la fantasia kinestetica […] un grande fattore di persuasione perché […] contiene in germe le azioni che attendono di realizzarsi». Al cinema, il pubblico più di- rettamente coinvolto nelle trasformazioni psicologiche della moderni- tà (ossia i giovani e i lavoratori) vede incoraggiate e appagate quelle condizioni mentali ed epocali (egemonia dell’intuizione, primato del dinamismo, della sintesi e dell’istinto, emarginazione dei fattori logi- co-discorsivi) che innervano la sua esperienza quotidiana. Il cinema diventa quindi un bisogno psicologico, proprio come il lavoro: se il me- dium non va inteso solo in termini estetici, il lavoro non va concepito solo in termini economici ma anche e soprattutto «come atto creativo, come produttore di valori»: una visione, quest’ultima, fecondamente comparabile con l’interpretazione del lavoro in chiave di potenziale liberazione, sublimazione narcisistica e via trascurata verso una pos- sibile felicità, elaborata da Freud l’anno precedente in Il disagio della

civiltà132.

132 Cfr. Sigmund Freud, Il disagio della civiltà e altri saggi, Bollati Boringhieri,

Capitolo II