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Se alle origini della riflessione scientifica sull’esperienza del cinema, gli studi di matrice fisiologica avevano celebrato nell’istante seriale

qualsiasi, puramente quantitativo e oggettivabile, l’elemento chiave

della percezione cinematografica del movimento, in questi studi poste- riori l’attenzione si sposta invece sull’istante puntuale e isolato, pura- mente qualitativo e soggettivo, concepito come l’elemento chiave della suggestione successiva a quella percezione. In altri termini, si assiste a un modifica nella definizione delle proprietà e funzioni attribuite al tempo cinematografico: dallo statuto riproduttivo dell’istante reale si passa a postulare la dimensione produttiva di un istante eidetico. Il cambiamento investe anche la relazione tra l’immagine e il sogget- to: nel primo caso, l’oggettivazione dell’istante, come osserva Kittler, coniuga nella stesso progetto gnoseologico le cronofotografie di Muy-

117 Ibidem.

118 Cfr. Federico Rivano, Mario Ponzo, La realizzazione nell’azione di un decorso

bridge, Marey, le riprese – anch’esse cronofotografiche – dei corpi dei pazienti isterici realizzate alla Salpêtrière da Albert Londe o di quelli dei neuropatici realizzate all’ospedale Cottolengo di Torino da Camillo Negro e Roberto Omegna; nel secondo caso, lo sguardo oggettivante della macchina (e del medico o dello scienziato) nei confronti del corpo cede invece il passo all’immagine depositata nella memoria, invisibile a qualsiasi sguardo esterno. L’immagine percepita si soggettivizza, si interiorizza e sparisce nell’orizzonte dell’infrapsichico, si fa invisibile, come un batterio119, chiamando in causa una dimensione sempre più

vicina all’inconscio, anche se quest’ultimo termine non va identifica- to con il luogo psichico della prima topica di Freud, sostanzialmente ignorato dalla prima riflessione psicologica italiana sul cinema.

L’unico testo in cui si rintracciano riferimenti dichiarati all’idea freudiana di inconscio è infatti quello, tutt’altro che ostile, di Pennacchi, risalente però al 1930. Pennacchi interpreta la posteriore riemersio- ne, anche in età puberale, di sensazioni, esperienze e immagini in- troiettate dal bambino durante l’esperienza cinematografica come la riapparizione dal «deposito del subcosciente120» di una visione erotica

che assume gli inquieti contorni di un «confuso ricordo» (esito della trasformazione dei contenuti inconsci prodotta dalla censura psichi- ca). L’esplicitazione, da parte di Pennacchi, delle relazioni freudiane tra preconscio e conscio consente comunque di rintracciare retro- spettivamente nelle riflessioni italiane una dinamica in parte simile: le immagini eidetiche evocate da D’Abundo, Ponzo, Masini e Vidoni, pur non legate al pensiero di Freud, implicano infatti una concezione della memoria come deposito prevalentemente non conscio di trac- ce mnestiche, capaci di «traverser la barrière qui sépare l’inconscient et le préconscient pour redevenir des contenus psychiques suscep- tibles d’être appréhendés par la pensée consciente»121. Quest’ultima

è chiaramente una dinamica parzialmente già freudiana, anche se per Freud i contenuti inconsci ritornavano coscienti soprattutto sotto forma di parole: la similarità tra le due dinamiche conferma come la riflessione di Freud costruisca le sue radicali innovazioni su un terre- no epistemologico già interessato a riflettere sul ricordo involontario e, soprattutto, sulle regioni psichiche più lontane dalla coscienza.

Al di là di queste tracce di una sporadica attenzione teorica

119 Claudio Pogliano propone un suggestivo parallelismo tra l’igiene e la metapsi-

chica, entrambe impegnate a «spiegare il mondo visibile con forze invisibili». Cfr. Claudio Pogliano, L’utopia igienista (1870-1920), in Franco Della Perruta (a cura di),

Storia d’Italia. Annali 7. Malattia e medicina, Einaudi, Torino, 1984, p. 628.

120 Nelle prime traduzioni o divulgazioni in Italia della riflessione freudiana il ter-

mine tedesco Unbewußte (inconscio) fu tradotto indifferentemente con «inconscio» o «subconscio».

121 Mireille Berton, Freud et l’intuition cinégraphique: psychanalyse, cinéma et

alla sfera psichica che si estende oltre i limiti del cosciente, va detto che l’inconscio e il preconscio costituivano «un problema di difficile soluzione»122 per la riflessione psicologica e psichiatrica tra Ottocento

e Novecento, interessata in primo luogo a fornire un’esatta descrizione della coscienza. Giulio Cesare Ferrari, nel 1906, definiva l’incosciente come una «potenza misteriosa, insondabile […] maldistinta, ignota ai più, nascosta ad ognuno»123. Malgrado queste difficoltà, la riflessione

psicoscientifica del periodo si interroga a fondo sull’esistenza e l’auto- nomia della non coscienza, impegnandosi, in particolare, nel compito di identificare i confini che a un tempo uniscono e dividono l’istinto (as- sociato all’automatismo) dalla coscienza (identificata con la ragione), un’operazione decisiva per definire il concetto psichico di normalità e per salvaguardare l’unità della personalità. Per la psichiatria evolu- zionista, istinto e ragione sono i due poli di una dialettica mentale che deve restare sempre in equilibrio. Uno scompenso a favore del primo termine genera un’inevitabile regressione psichica, un ritorno a stadi meno progrediti dell’evoluzione filogenetica e ontogenetica dell’uomo: è la genesi della patologia mentale.

Per Gemelli, che pure – come si è visto – interpretava l’esperienza onirica in termini di negoziazione tra coscienza e inconscio, il sogno segna l’affermazione del dominio del subcosciente, esattamente – o quasi - come accade al cinema. L’esperienza cinematografica interessa e in parte affascina le scienze della mente proprio per la sua forza di alterazione regressiva della memoria organica, ossia per la sua capaci- tà automatica (anche perché tecnologica, non mediata da un controllo soggettivo) di disattivare l’inibizione e di riattivare, dislatentizzare a distanza e riportare in modo improvviso e inaspettato alla luce della coscienza elementi psichici inferiori, istintuali, atavici, lontani dai mo- derni progressi storici della ragione ma in grado di assumere i tratti organizzati di un fenomeno cosciente. Le immagini cinematografiche si radicano come frammenti dell’alterità nell’inconscio pre-freudiano, anzi, di più: ne costituiscono la sostanza più vivida e intensa (insieme ai sogni, come sottolinea De Sanctis124), esprimendo un potere straor-

dinario e assolutamente moderno: riconfigurare artificialmente la me- moria dell’uomo del Novecento e introdurre nel ricordo dell’esperienza di vita un potente surplus di immaginario e di extra-corporeità.

122 Annamaria Tagliavini, Verso l’inconscio: il dibattito tra ’800 e ’900, in Filippo

Maria Ferro (a cura di), Passioni delle mente, cit., p. 589.

123 Giulio Cesare Ferrari, L’educazione dell’incosciente, «Rivista di psicologia», II,

8, 1906, cit. in Annamaria Tagliavini, Verso l’inconscio: il dibattito tra ’800 e ’900, cit., p. 591.

124 Cfr. Sante De Sanctis, Risposta all’inchiesta mondiale di Maurice Rouvroy, cit.,