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[La] tendenza alla memoria emotiva, sorta per la ragione psicologica della associazione, per la quale ciò che un volta è comparso insieme nel campo della psiche, tende a ridestarvisi; questa tendenza è stata dall’uomo, nella lotta per l’esistenza, accresciuta e rafforzata. È certo che, solo potendo da’ segni esterni indovinare il moto interno dell’ani- mo, si è potuto recare, a sé e ad altri, giovamento. La simpatia, che ha fondamento psico-fisiologico, è stata sviluppata nella lotta per la vita. Il lavorìo della civiltà è consistito nel perfezionare queste estrinseca- zioni esteriori dell’emozione, onde destare lo stato interno sensazionale con il piacere od il dolore che lo accompagnavano in persone disper- se nel tempo e nello spazio per mezzo della parola o dell’arte o della scrittura. Noi non avremmo mai provato il dolore di Niobe, se un poeta non l’avesse cantato e se la scrittura non ne avesse raccolto il canto, se la scultura non ce l’avesse modellato sul marmo o sul bronzo, se la pittura o la fotografia non l’avesse raccolto in milioni di esemplari e l’avesse diffuso. La scienza tenta, dunque, rendere permanenti queste esteriorizzazioni emozionali, di per sé evanescenti, e di renderle nella loro complessità. Da questo bisogno sono sorti i fonografi ed i cinemato- grafi che tentano conservare i particolari evanescenti della figura e del suono. In una parola, le estrinsecazioni delle emozioni, che sono sca- riche simpatetiche per le quali noi viviamo del mondo affettivo altrui, tentano, mercé l’arte, di diventare permanenti, trasmissibili nella loro complessità, a gente lontana da noi nel tempo e nello spazio.

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Ma questo stato di riflessione a nulla sarebbe potuto approdare se, in fondo ad ogni animo, non fosse una costituzione similare, per la quale i fenomeni sorgono, si estrinsecano e si riflettono sempre ad un modo; sicché noi diciamo: l’animo della folla è reso possibile dalla si- milarità delle psichi che la compongono e che, la mercé delle scariche simpatetiche, riflettono gli eccitamenti esterni o in ristretto limite di tempo e di spazio od in una lunga distesa.

Dei fattori modificano questa tendenza dell’animo collettivo e sono: maggiore o minor numero di psichi individuali che si assomma- no nell’animo collettivo; grado di sensibilità psichica; scelta ed uso dei mezzi di estrinsecazione dei moti interiori.

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L’ultimo fattore che, in questo momento, più ci interessa, verte sulla scelta e sull’uso delle scariche simpatetiche, il che ci porta a parlare del rapporto fra i sensi e la psiche collettiva. I quali, nel campo ristretto della psiche dell’individuo, non sono solo le porte d’entrata, gli apparati, raccoglitori e condensatori delle impressioni del mondo esterno; ma i mezzi d’estrinsecazione della nostra psiche. Dal senso primitivo ed indistinto del tatto sono derivati, per evoluzione biologica, gli altri più complessi dell’odorato, dell’udito, e della vista, che è quello che ha la maggior complessità e la più grande utilità funzionale. In seguito, per raccogliere e per trasmettere i moti dell’animo, l’uomo ha perfezionato, inconsapevolmente dapprima, consapevolmente di poi, il linguaggio, che è passato a traverso la mimica, l’interiezione, la lingua monosillabica e radicale, fino ai complessi idiomi moderni. In fine ha cercato con la scrittura, con l’arte, con la scienza di fissare gl’interni moti dell’animo e della natura esteriore, in modo da trasmettere non il ricordo scialbo, ma la realtà vivente.

Possiamo dire che l’uomo, da prima in maniera incosciente, poi cosciente, ha sviluppato e perfezionato i mezzi di raccoglimento, di espressione e di conservazione dei moti interni dell’animo e della na- tura esteriore, assommando, nella lotta per l’esistenza, l’animo suo con quello degli altri in una psiche sola.

E tali manifestazioni esteriori dei moti interni dell’animo non han- no la stessa importanza; vi è tra di esse una specie di gerarchia fun- zionale e rappresentativa: in fondo stanno i sensi, detti, d’atteggia- mento (mimica, interiezione, linguaggio); più in su le arti plastiche, nelle quali l’effetto è meno intenso dello spettacolo colto o visto, ma si conserva di più e si espande più lungi traverso lo spazio. Così chi avesse assistito allo strazio di Niobe, lo avrebbe sentito di più che a vederlo effigiato sul marmo o sulla tela; ma questo strazio reale sa- rebbe stato evanescente, se non lo si fosse eternato nel canto del poeta e nella purezza fredda del marmo. In fine, sul vertice della piramide, sono le scariche simpatetiche che sono dei gesti, delle parole, degli atti una riproduzione eternata: tale la rappresentazione teatrale, nella quale le scariche emozionali sono simili alle naturali che favoleggiano e che possono essere riprodotte, quando che sia, o con l’opera degli artisti o con le macchine (cinematografi). Onde l’animo collettivo tanto più facilmente sorge nella folla ristretta o dispersa nel tempo e nello spazio, quanto più l’onda neuro-psichica individuale si comunica per vie complesse, naturali od artificiali.

muta e che solo possa esprimere il suo dolore con le contratture del volto e con gli atteggiamenti passionati della persona. Il dolore, rifletten- dosi sugli astanti, immediatamente crea uno stato psichico-collettivo, giacché si è nel caso di una folla ristretta nel tempo e nello spazio.

È certo, però, che se la persona sofferente potesse gridare, scari- cando in maniera più potente e complessa il moto interno dell’animo, l’effetto sugli astanti ne sarebbe più vivo e si ripercuoterebbe fuori del luogo ove è il sofferente. Ora, immaginando che questa persona po- tesse gridare, e fra gli astanti vi fossero dei ciechi e dei sordi, questi coglierebbero meno il dolore, che se avessero organi più perfetti di re- cezione delle onde psichiche. E questa scena di dolore, se fosse effigia- ta sul marmo o sulla tela, impressionerebbe, meno che se veduta, ma più che se letta; e se, in fine, la si portasse sulla scena accompagnata dall’effetto della musica e col cinematografo, si avrebbe un effetto evo- catale e vivo, quanto e forse più della scena realmente vissuta.

Conchiudendo diciamo: nella folla ristretta nel tempo e nello spa- zio l’animo collettivo si forma sotto lo stimolo d’un eccitamento che invada contemporaneamente le psichi individuali e con molta forza da non rimanere impressione isolata; può quest’eccitamento, arrivato come onda nervosa nelle singole psichi, venir fuori in scariche sim- patetiche (espressioni del volto, grida ecc.), le quali si assommano e accrescono in ciascuno, addizionandosi, il moto psichico interno, onde il fenomeno collettivo diviene più alto e intenso. È una condizione sta-

tica dell’animo collettivo, dovuta ad un’invasione rapida e simultanea

d’un eccitamento, per mezzo delle comuni porte d’entrata e di uscita

dell’onde nervose nel cervello e le quali onde si assommano.

Nella folla dispersa, l’eccitamento non è rapido e simultaneo, è successivo; e, perché gli animi non rimangano isolati, si proiettano fra di loro l’eccitamento esterno, mettendovi ciascuno del proprio, del per- sonale. Le scariche simpatetiche dei sensi si prolungano e si eternano con l’arte, che tende a rappresentazioni complesse e possenti. Si è così dinanzi ad una forma dinamica della psiche collettiva. In ultimo, come vi è nelle folle una tendenza alla stabilità, a passare cioè dallo stato in- differenziato al differenziato ed a vivere per un tempo più o meno lun- go: così i fenomeni statici e dinamici di psicologia si succedono, anzi ogni fenomeno statico tenta svolgersi nel tempo e diventare dinamico, onde le grandi commozioni non si perdono, ma rivivono come ricordo, e come rappresentazioni più o meno fedeli del vero, che commuovono, altre folle o la stessa a distanza di tempo, e creano nell’avvenire altri moti psico-collettivi identici. Così una grande esposizione artistica, in mille modi, rivive presso altri popoli ed altre genti, ne chiama altre, mette nell’animo di persone lontane una parte di quei sentimenti di quella folla dove avvenne e ne crea un riflesso psichico: non perde, in una parola, grazie agli artifici moderni di rappresentazione e trasmis- sione, la virtù di eccitamento capace di destare fatti psico-collettivi.

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Nelle folle inferiori, noi dicemmo nei primi capitoli di quest’opera, l’animo collettivo si forma mediante scariche simpatetiche semplici – quali voce, segni, mimica – non trasmettenti i moti interiori a grande distanza. Da ciò il bisogno di restringersi ed operare in una certa

unità di tempo e di luogo; da ciò ancora quell’immagine e quel ravvi-

cinamento così vero tra folla ristretta e massa cerebrale, tra scariche simpatetiche e neuroni.

I quali, se come avviene nel sonno, si raccorciano, la unità del cer- vello si frammenta o si rompe; non diversamente se una forza pertur- bante isola gli individui d’una folla ristretta, le scariche simpatetiche a distanza non essendo più possibili, la psiche collettiva cessa, colpita nella sua base materiale e nei suoi organi di trasmissione.

E le cause perturbanti possono essere così 1’azione incidente d’una folla su di un’altra, p. es. una colonna di soldati su di un corteo di scio- peranti; come gli agenti atmosferici che rompan l’unità della folla, quale una pioggia che si rovescia; catinelle su di moeting all’aperto; come dei sentimenti che sorgano bruscamente ed abbiano un forte potere disper- sivo, quale il timore d’un incendio sul pubblico d’un teatro.

I quali moti incidenti, se troncano bruscamente la vita della folla ristretta, valgono poco sulla folla dispersa nel tempo e nello spazio, la quale, come ha un proprio modo di composizione nelle scariche simpatetiche a distanza onde ess’è una snodatura di folla, così ha un proprio modo di dissolvimento.

Ciò che, in fatti, costituisce l’essenza d’una folla dispersa è la pos- sibilità di rimandarsi i moti interni dell’animo traverso il tempo e lo spazio, mediante scariche simpatetiche capaci di lontane proiezioni. Nelle scariche simpatetiche – noi dicevamo – ci è una gerarchia, per la quale dalle forme mimiche ed interiettive, che proiettano i moti inte- riori a scarse distanze e durano un istante, si ascende alla parola, alle arti rappresentative e plastiche, a’ fonografi, ed a’ cinematografi, che non solo tramandano un sentimento traverso il tempo e lo spazio, ma tentano riprodurlo nella sua complessa interezza, e renderlo evocabile quando si voglia.

La folla dispersa poggia, adunque, su queste possibilità di grandi proiezioni d’un moto interiore, comune a parecchie persone, e che for- ma il cemento dell’animo collettivo. E codesto cemento è materiale, ed ideale insieme, è, per esempio, un giornale e l’idea che esso diffonde: è una serie di libri, di opuscoli inspirati ad un pensiero, e il pensiero stesso che sostiene e propaga.

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Appare da ciò che il dissolversi d’una folla dispersa è legato a que- sto filo conduttore e coordinatore, ch’è materiale ed ideale, mezzo di diffusione ed onda nerveo-psichica, pensiero o sentimento, o l’una e

l’altra assieme. Onde, per dissolvere una folla dispersa, mal giova mi- narne la coesione materiale, la quale essendo minima, è oltremodo re- sistente; ma bisogna operare sull’apparecchio di diffusione a distanza, ch’è il cemento dell’animo collettivo.

Pasquale Rossi, Psicologia collettiva. Studi e ricerche, Tipo-lit. di R. Riccio, Cosenza, 1899, ristampa: L. Battistelli, Milano, 1900, pp. 22- 26, 180-182.