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Dal movimento al soggetto: Roberto Ardigò e la prospettiva psicologico-sensista

Rispetto all’antitesi concettuale tra la prospettiva fisiologica di matrice positivista e le tesi metafisiche bergsoniane, il secondo orientamento della riflessione scientifica sulla percezione, quello più esplicitamente psicologico, si colloca in una posizione intermedia, con un’interpreta- zione del fenomeno percettivo che pur muovendo dalla fisiologia degli organi sensoriali, riconosce un ruolo decisivo alla rielaborazione psi- chica. A questa prospettiva lavora strenuamente Roberto Ardigò, stra- ordinaria figura di intellettuale positivista «totale», ormai riconosciuto dalla storiografia di settore come il padre fondatore, insieme a Giusep- pe Sergi e Gabriele Buccola, della psicologia scientifica in Italia20.

A differenza di Cesare Lombroso o Enrico Ferri, Ardigò non è un positivista «specializzato»: la sua riflessione aspira piuttosto all’edifi- cazione di una teoria filosofica generale e sistematica, strutturalmen- te psicologica, di cui è impossibile, e inutile, provare a restituire in questa sede la notevole complessità speculativa21, certamente debitri-

«Leonardo», «Revue des études italiennes», 3-4, 1997, pp. 149-178; Caterina Zanfi, Reazioni italiane a Bergson nel secondo dopoguerra, «Bollettino della Società Ita-

liana di Storia della Filosofia», III, 2/2010-1/2011, pp. 127-152.

18 Cesare Ranzoli, L’idealismo e la filosofia, Bocca, Torino, 1919, p. 23. 19 Francesco Olgiati, La filosofia di Enrico Bergson, Bocca, Torino, 1914.

20 «Una psicologia italiana», osserva Mucciarelli, «che prescinda dalla precisa rico-

struzione dell’incidenza ardigoiana sarebbe del tutto incomprensibile» (Giuseppe Mucciarelli, La psicologia italiana: Fonti e documenti. Le origini. 1860-1918, I, cit., p. 87).

ce nei confronti dell’empirismo inglese, dell’evoluzionismo darwinia- no, della psicologia fisiologica tedesca (soprattutto di Hermann von Helmholtz).

In opposizione ai tentativi, sempre più frequenti da inizio Novecento, di dirottare la nascente psicologia verso territori metafisici e spiritua- listici, Ardigò propone di studiare i fenomeni psichici in modo scien- tifico, sottoponendo la loro condizione tangibile di fatti a osservazioni e sperimentazioni metodiche e sistematiche. La sua gnoseologia radi- calmente empirista lo porta ad estendere il modello sensistico a tutti i processi del pensiero, i cui elementi originari vengono individuati nelle sensazioni.

Si può intuire, quindi, la centralità occupata nel pensiero di Ardigò dalla percezione, concepita come un’elaborazione psichica complessa e non come l’effetto di una ricezione pura e immediata. L’attività per- cettiva nasce per Ardigò da un processo, continuamente variabile e cangiante, di mediazione e integrazione, innescato dalla confluenza e dalla sintesi di elementi diversi: lo stimolo esterno, la sensazione pura e attuale, ma anche le sensazioni già sperimentate nel passato (che integrano la sensazione pura) e i giudizi raziocinanti inconsci.

Ardigò fa riferimento al cinema in due brevi ma significativi pas- saggi de L’unità della coscienza (1898), un’opera che l’autore stesso presenta come il suo «testamento filosofico» e che appare come il ten- tativo più compiuto di elaborare una sintesi, in parte rinnovata e ag- giornata, della sua teoria psicologica della percezione e del pensiero.

Il primo riferimento è nel quarto capitolo della prima parte, incen- trato sulla ripetizione ritmica degli atti psichici, il secondo è di poco successivo, nel capitolo quinto, dedicato al problema degli atti psichici riprodotti.

Per Ardigò i due generi fondamentali della specificazione psicolo- gica che regola la percezione - lo spazio e il tempo (in altre parole, lo statico e il dinamico, l’essere e l’agire o, per usare due termini tipici del suo lessico concettuale, la coesistenza e la successione) non sono de- gli a priori innati o intuiti, ma delle formazioni psichiche che si costi- tuiscono a partire da «reduplicazioni diverse di elementi identici»22. La

reduplicazione di questi elementi è prodotta dall’esistenza di più orga- ni di senso che agiscono simultaneamente, e di più atti in successione

sta parte del volume è stata fondamentale la consultazione di Giovanni Marche- sini, La vita e il pensiero di Roberto Ardigò, Hoepli, Milano, 1907; Franco Amerio,

Ardigò, Fratelli Bocca, Roma, 1957; Wilhelm Büttemeyer, Roberto Ardigò e la psi- cologia moderna, La Nuova Italia, Firenze, 1969; Alfredo Saloni, Il positivismo e Roberto Ardigò, Armando Armando, Roma, 1969; Marco Paolo Allegri, Il realismo positivo di Roberto Ardigò. L’apogeo teoretico del positivismo, Provincia di Cremo-

na, Cremona, 2004.

22 Roberto Ardigò, L’unità della coscienza, in Id., Opere filosofiche, vol. 7, Angelo

compiuti dagli organi stessi. Lo statuto psichico dell’essere e dell’agi- re, osserva Ardigò, è dimostrato dall’assenza di relazioni causali tra l’azione fisiologica e le forme mentali di reduplicazione (in altri termini, tra la sensazione e la percezione). Il concetto di coesistenza può essere dato infatti anche dall’azione successiva degli organi fisiologici, così come il concetto di successione può essere dato dall’azione simultanea di più organi. Per chiarire la dinamica di queste relazioni, Ardigò fa due esempi opposti e complementari. Da un lato c’è la fiamma prodot- ta dalla combustione del gas: anche se la si osserva spostandosi nello spazio, la si percepisce come una rappresentazione statica e unitaria che rimane sempre identica a se stessa (un coesistente), ma in realtà la fiamma unica non esiste, è sempre altro da ciò che era poco prima. Il soggetto opera quindi una sintesi unitaria dei molteplici e indistinti stimoli visivi prodotti dalla combustione23. Dall’altro lato c’è il movi-

mento delle immagini fisse del taumatropio o del cinematografo, che pur stimolando a intervalli molto ravvicinati l’occhio dell’osservatore sempre e soltanto in un solo punto (perché chi guarda le immagini cinematografiche di norma non si sposta), genera, nel lavoro di inte- grazione psichica, una rappresentazione non statica ma dinamica. Già più di dieci anni prima, nella sua opera forse più nota, Il fatto

psicologico della percezione, Ardigò aveva citato la stereoscopia e il

prassinoscopio come «esperimenti» esemplari per dimostrare la natu- ra psichica della percezione del movimento: in questi casi, «la mente compone insieme i fatti successivi in modo da immaginare la persona medesima che passi da una azione ad un’altra»24. Il fenomeno è ana-

logo, osserva Ardigò nell’Unità della coscienza, all’operazione condotta da un astronomo, quando compone «insieme le diverse osservazioni» statiche e rappresenta così facendo «i diversi momenti del movimen- to della stella medesima». Questo rinvio all’osservazione astronomi- ca è molto importante, non solo perché conferma come lo studio del movimento dei corpi celesti fosse un obiettivo strategico delle ricerca scientifica del secondo Ottocento ma anche perché chiama in causa, sia pure in modo indiretto, le radici genetiche del cinema, risalenti alle sperimentazioni di Pierre Jules Janssen con il suo revolver fotografico. Questi esperimenti di osservazione fotografica condotti da Janssen furono al centro di vivaci polemiche, soprattutto in occasione del pas- saggio di Venere davanti al Sole, nel 1872. Per Bergson, proprio quegli intervalli che inevitabilmente si aprivano tra le diverse posizioni di Venere fissate dal revolver fotografico di Janssen dimostravano come il movimento fotografato in sezioni immobili fosse soltanto un estratto

23 L’esempio della fiamma sonante è ripreso da Roberto Ardigò, Il fatto psicologico

della percezione, in Id., Opere filosofiche, vol. 4, Angelo Draghi, Padova, 1886, p.

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– ricomposto dall’osservatore – del flusso continuo e indistinguibile (il suo divenire) attraversato dal pianeta stesso25. Questo lavoro di ricom-

posizione era la conferma, secondo il filosofo francese, di come il trac- ciato della conoscenza abituale procedesse dalla mente alla realtà: la successione regolare di istanti immobili omogenei non era altro che uno schema gnoseologico (l’ «illusione cinematografica del pensiero») di tipo analitico con cui la mente si introduce aprioristicamente nel reale per configurare il divenire mediante un tempo astratto. Del tutto diversa è invece la posizione di Ardigò26, perché diverso è il suo ogget-

to di interesse, individuato non tanto nella dialettica tra movimento reale e ricostruito, quanto nell’attività psichico-dinamica di «inqua- dramento» che porta l’astronomo a immaginare e quindi a percepire la continuità tra le immagini del pianeta. Per Ardigò, insomma, il ritmo e la successione sono prima di tutto dei dati fenomenici, e non schemi gnoseologici mentali. Il tracciato è quindi inverso, rispetto a Bergson: non dalla mente alla realtà, ma dalla realtà alla mente. La sensazione infatti esiste, è un fenomeno, ed è da lì che occorre partire, perché l’in- distinzione del reale (e su quest’ultima caratteristica un confronto con Bergson potrebbe essere fecondo) è percepibile soltanto attraverso un processo rappresentativo di distinzione attivato dalla coscienza sul- la base di eccitazioni sensoriali «vere» per definizione. Quindi, come scriverà alcuni anni dopo accentuando le implicazioni fenomeniste di questa asserzione, Cosmo Guastella, filosofo tardo-positivista larga- mente debitore del pensiero ardigoiano:

non è il meccanismo del nostro pensiero che è cinematografico, è la realtà stessa che è cinematografica: al cospetto del divenire reale dei fenomeni noi proviamo la stessa illusione che al cine- matografo; crediamo di vedere il continuo, mentre non vediamo che il discreto. Se esistesse un movimento reale, cioè indipen- dente dalle nostre percezioni, esso non potrebbe essere, come il movimento percepito (al cinematografo, o altrove), che una suc- cessione d’immagini distinte e separate, di cui ciascuna sareb- be uno stato e non un movimento; la continuità al movimento l’aggiunge il nostro pensiero, è un Idolon tribus27.

Proprio in relazione al pensiero, e muovendo dalla constatazio- ne che questo è prima di tutto una «successione di periodi psichici di

25 Cfr. Jimena Canales, Photogenic Venus: The ‘Cinematographic Turn’ in Science

and its Alternatives, «Iris», 93, 2002, pp. 585-613.

26 Ardigò criticò in più di un’occasione le fondamenta del pensiero bergsoniano.

Cfr. in particolare Roberto Ardigò, Una pretesa pregiudiziale contro il positivismo, in Opere filosofiche, vol. 10, Angelo Draghi, Padova, 1907, pp. 303-368.

variata intensità»28, Ardigò osserva come tale successione possa non es-

sere avvertita dalla coscienza che pensa, generando così l’illusione che la rappresentazione mentale sia immanente e istantanea. Per spiegare con più chiarezza la natura di questa illusione cognitiva, Ardigò ricorre all’esempio del cinema: davanti alle immagini animate, il soggetto ha la percezione che il movimento sia unitario, fluido e immanente alla figura. In realtà questo movimento è il frutto di una sovrapposizione ritmica, di una composizione diversificata dei diversi stati della figura: quest’ultima appare sempre la stessa perché non si riescono a percepire le variazioni, i singoli passaggi di stato implicati dagli intervalli tra un fotogramma e l’altro. Nel caso dei processi di pensiero, accade la stes- sa cosa: se un’idea sembra nascere istantaneamente e con una forma unitaria, questo avviene perché non si ha la percezione delle continue variazioni che caratterizzano il pensiero, concepibile come un continu-

um dinamico in incessante trasformazione.

Come forse si può già intuire da questi rilievi necessariamente sintetici, le osservazioni di Ardigò offrono risposte significative – im- merse nel contesto moderno di una nuova tecnologia del movimento artificiale - ad almeno due questioni centrali del dibattito culturale, e più specificatamente filosofico e scientifico, tra Ottocento e Novecento: da un lato, la relazione tra l’istante e il movimento, dall’altro l’analogia tra il cinema e i processi del pensiero29. Quest’ultimo parallelismo si

distingue, nel pensiero di Ardigò, dalle modellizzazioni infrapsichiche e perturbanti della metafora letteraria (il «cinematografo cerebrale» di Edmondo De Amicis, ad esempio) per diventare parte di un ragiona- mento filosofico e psicologico complesso.

Il problema della relazione tra istante e movimento è invece riarti- colato sulla base di un nuovo interrogativo. Se la domanda che si pone un fisiologo come Marey potrebbe essere: «che cosa ci può rivelare la cronofotografia sulla conoscenza del movimento animale ed umano?», l’interrogativo di un filosofo e psicologo come Ardigò è invece: «come può accadere che la sovrapposizione seriale in successione di figure sia sintetizzata in una rappresentazione unitaria? Perché un movi- mento costruito artificialmente è percepito come un movimento im- manente della cosa in sé?».

In altri termini, più aderenti al brano antologizzato, Marey è lega- to all’istante, all’oggettivazione del decimo di secondo, Ardigò invece è legato alla soggettivazione della ricomposizione mentale del movimen- to. Marey vuole superare i limiti dei nostri sensi per sviluppare la ri- cerca scientifica sul movimento, Ardigò non intende uscire dai confini

28 Roberto Ardigò, L’unità della coscienza, cit., p. 118.

29 Sulla relazione tra pensiero e cinema si veda Paolo Bertetto, Lo specchio e il

simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, Bompiani, Milano, 2007, pp.

tangibili dell’esperienza sensoriale ordinaria: cerca invece di capire come funzionano i sensi e come si coordinano con le rappresentazio- ni psichiche. Da questo punto di vista, Ardigò è più vicino alla linea di ricerca – consolidata dalle sperimentazioni di Plateau – interessata a riprodurre il movimento più che a scomporlo, per verificare l’effica- cia delle misurazioni della durata della persistenza dello stimolo visivo. Non a caso egli cita il taumatropio, e non la cronofotografia. Con la dif- ferenza che l’impressione di continuità, per Plateau e i suoi epigoni, si spiega proprio con il fenomeno della persistenza retinica, mentre Ardigò chiama in causa, come si è visto, processi più articolati, «non osserva- bili altrove che nell’interno della coscienza»30. Quest’ultima posizione

è particolarmente innovativa. Büttemeyer ha addirittura ravvisato nel pensiero di Ardigò elementi di riflessione che paiono quasi prefigurare la svolta gestaltista degli anni Dieci31: sicuramente l’intuizione ardigo-

iana di spiegare la percezione del movimento indirizzandosi alla mente più che all’occhio converge parzialmente con le ricerche condotte da Max Wertheimer e Adolf Korte nel 1912 e con la loro attribuzione della percezione del movimento apparente al fenomeno-φ, un complesso lavo- ro di sintesi strutturale degli stimoli statici condotto non tanto a livello retinico quanto a livello corticale dalla mente dell’osservatore32.

La proposta di passaggio dall’analisi del movimento cinematogra- fico alla sua percezione psichica di fatto può essere anche interpre- tata, al di là della sua appartenenza a un confronto epistemologico più ampio, come l’inizio di una configurazione teorica e pragmatica del soggetto spettatoriale ordinario dell’esperienza cinematografica. Anche se Ardigò riflette sui processi percettivi in termini astratti e quindi spersonalizzati, non è forzoso intravedere sotto il generalismo di questa astrazione il crescente spessore empirico di un corpo e di un coscienza percepiente in formazione.

Uno dei tratti costitutivi di questa coscienza spettatoriale in em- brione, il suo attivismo, è un aspetto tutt’altro che scontato, come sot- tolinea lo stesso Ardigò sottolineando la portata innovativa della sua

30 Roberto Ardigò, La psicologia come scienza positiva (1870), in Id., Opere filoso-

fiche, vol. 1, Angelo Draghi, Padova, 1882, pp. 172-173.

31 Cfr. Wilhelm Büttemeyer, Roberto Ardigò e la psicologia moderna, cit., pp. 52-53. 32 Per una ricostruzione del dibattito teorico intorno alla persistenza retinica e

all’effetto φ, cfr. Riccardo Redi, Tecnologia rivistata, in Antonio Costa (a cura di),

La meccanica del visibile. Il cinema delle origini in Europa, La Casa Usher, Firen-

ze, 1983, pp. 33-46. Le posizioni di Ardigò sullo statuto mentale del movimento cinematografico convergono, per altro, con le riflessioni di Hugo Münsterberg, non solo in rapporto all’illusione di movimento nel cinema (cfr. The Photoplay. A

Psychological Study, D. Appleton & Co., New York-London, 1916 [tr. it. Film. Uno studio psicologico, a cura di Domenico Spinosa, Bulzoni, Roma, 2010]) ma anche

in rapporto alle illusioni prodotte dagli spettacoli di magia e dai giochi di presti- gio (cfr. Simone Natale, Un dispositivo fantasmatico: cinema e spiritismo, cit.).

teoria generale della percezione. Il filosofo-psicologo è infatti fortemen- te ostile al fortunato paradigma della passività delle sensazioni e del rispecchiamento percettivo del mondo, principi fondativi della teoria classica della percezione:

La cognizione, secondo la credenza comune e secondo la fi- losofia tradizionale più ortodossa, è la semplice passività del soggetto, che rimanga misticamente illuminato, quando il Vero (entità soprannaturale e che si scrive colla iniziale maiuscola) lo investa con una certa tal quale sua luce metaforica: sicché il soggetto medesimo, non possa far altro, quanto alla cognizione, che riceverla quale entra e ritenerla quale è entrata, al modo che si vede la immagine posarsi e apparire in uno specchio33.

L’attivismo della percezione, in Ardigò, consegue dal fatto che le nostre impressioni sensoriali non colgono un’immagine fedele degli oggetti del mondo esterno. La visione è quindi sempre provvisoria e soggettiva. Vedere il mondo in maniera apparentemente diretta non significa vederlo nel modo giusto: l’immagine, proprio nel momento in cui si presenta come specchio del reale, non sembra riflettere la verità delle cose, proprio perché non c’è una perfetta corrispondenza tra gli oggetti che stimolano e le sensazioni provate dal soggetto stimolato, così come non c’è isomorfismo tra ciò che entra nel nostro campo sen- soriale e la percezione.

Ardigò condivide questa concezione relativistica della percezio- ne con una nutrita schiera di fisici, fisiologi e psicologi del secondo Ottocento (da Helmoltz a Ewald Hering, da Alfred Wilhelm Volkmann a Plateau), impegnati nel dimostrare che

la vista, per le sue stesse condizioni anatomo-fisiologiche, è un senso intellettualissimo e finissimo; ma perciò appunto, mes- sa in contingenze adatte, cade più facilmente nell’illusione […]. Anche nella percezione visuale della realtà esterna noi andiamo soggetti a più sorta di illusioni34.

Secondo lo psichiatra Enrico Morselli, autore del passo appe- na citato, il cinema rientra a pieno titolo nel perimetro delle illusio- ni «cinematoscopiche». Siamo quindi molto distanti dalla metafora, anch’essa assai diffusa nella cultura del secondo Ottocento, della reti-

33 Roberto Ardigò, Il fatto psicologico della percezione, cit., p. 492.

34 Enrico Morselli, Psicologia e spiritismo. Impressioni e note critiche sui fenomeni

medianici di Eusapia Paladino, Tomo 1, Bocca, Torino-Milano-Roma, 1908, pp. 161-

162. Sulle illusioni ottiche dell’Ottocento cfr. Maria Sinatra, La belle époque delle

na come lastra fotografica che inerzialmente registra il dato sensibile, consentendo un incontro oggettivo tra realtà e funzioni intellettive35.

Per Ardigò non c’è passività, e non c’è immediatezza. La verità non è nell’istante che oggettiva la realtà ma solo nella sensazione, e non la si coglie passivamente ma dinamicamente36: tant’è vero che la fotografia,

osserva Ardigò, può documentare le trasformazioni di un volto solo se messa in relazione, in modo dinamico, con una serie di fotografie antecedenti o successive37. Si tratta dello stesso dinamismo sperimen-

tato dallo spettatore del taumatropio e del cinematografo, così come dell’astronomo che osserva in sequenza le diverse fasi del movimento di un corpo celeste. In tutti questi casi, interviene un’azione psichica dinamica che integra gli intervalli.