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Dalla percezione alla rappresentazione

A fronte di questi aspetti comuni, le due principali direttrici di studio sull’esperienza cinematografica differiscono per il diverso rilievo che vi assume il nesso tra cinema e modernità e per la diversa attenzione riservata ai contenuti specifici delle immagini.

Per il primo aspetto, negli studi sulla percezione il cinema è visto, già a fine Ottocento, come un fenomeno specifico collocabile senza pregiudizi nell’orizzonte dei normali fenomeni e degli studi sperimen- tali condotti su di essi. Anche se non mancano rilievi critici sulle con- dizioni tecniche di visione offerte dal dispositivo (si legga in particolare il testo di Angelucci), in questi contributi non si avverte comunque quel senso di meraviglia e turbamento che spesso attraversa invece i coevi discorsi letterari o pubblicistici sul cinematografo, inteso come metafora di una modernità stupefacente e inquietante.

Più evidente, com’era prevedibile, è invece il nesso tra il cinema e i problemi della modernità nei contributi orientati al sociale e al patologico: il nuovo medium, per citare un intervento non scientifico dei primi anni Dieci, è concepito più o meno espressamente come «lo specchio dell’immane malattia nervosa dell’età nostra»4. La ricorren-

3 Come ha dimostrato Casetti, proprio la contingenza e la relativizzazione dello

sguardo sono un aspetto centrale nella teoria cinematografica degli anni Venti (cfr. Francesco Casetti, L’occhio del Novecento, cit., pp. 55-62).

4 Fausto Maria Martini, La morte della parola, «La Tribuna», 16 febbraio 1912, p.

te interpretazione, in ambiti non solo scientifici5, del cinema come il

sintomo forse più esemplare (e drammatico) di una modernizzazione convulsa, disumanizzante e nevrotica si spiega forse con i tempi «na- zionali» di questi stessi processi di modernizzazione. A differenza di quanto avviene in Francia, Germania e Inghilterra, dove questi pro- cessi erano già in buona parte compiuti da almeno vent’anni, l’appa- rizione e la graduale istituzionalizzazione del cinema arriva in Italia proprio quando la modernizzazione del paese si sta imponendo come processo evidente e dominante, non ancora adeguatamente sedimen- tato sul piano sociale e culturale6.

Il legame tra il cinema e gli effetti traumatici della modernità è apertamente teorizzato da D’Abundo, non a caso già da molti anni attento a studiare le caratteristiche psicologiche e sociologiche dei grandi processi di trasformazione della società7: il neurologo pugliese,

5 Il nesso tra cinema e modernità era stato già esplicitato, in ambito non scientifi-

co, da Papini nel 1907 : «Chi ha pensato un po’ ai caratteri della civiltà moderna non durerà fatica a ricollegare i fatti del cinematografo con altri fatti che rivelano le stesse tendenze». Cfr. Giovanni Papini, La filosofia del cinematografo, cit. (il te- sto è consultabile, anche in traduzione inglese, sul sito del Permanent Seminar on

the History of Film Theories – http://www.museocinema.it/filmtheories/index.

php). La visione del cinema come sintomo di una modernità nevrotica è presente anche in Edipi, Il teatro delle nevrosi, «La Scena lllustrata», XLVI, 13, 1 luglio 1910. Da osservare, infine, che il procuratore generale alla Corte d’Appello del Lazio, Giovan Battista Avellone, prima di impegnarsi nella pars destruens della sua celebre lettera al «Giornale d’Italia» del 19 ottobre 1912, convenzionalmente considerata come uno dei passi più rilevanti verso l’istituzione, nel 1913, della censura cinematografica in Italia (ora anche in Tra una film e l’altra. Materiali sul

cinema muto italiano, Venezia, Marsilio, 1980, pp. 170-173), colloca il cinema tra

le grandi innovazioni della modernità, definendolo una «invenzione ingegnosis- sima che, come il telefono, come il fonografo, come il telegrafo senza fili ecc. ha scosso ed impressionato il mondo intero».

6 Cfr. Luca Mazzei, Alla fine dei sensi: il cinema e la fine del mondo sensibile,

relazione al Convegno Internazionale Il senso della fine / Le sens de la fin / The

Meaning of the End (Urbino, 10-12 settembre 2009).

7 Si veda il discorso pronunciato il 16 novembre 1897 da D’Abundo presso l’ateneo

catanese in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico: in questo inter- vento, il neurologo barlettano proponeva un’ampia riflessione sul rapporto fra patologie psichiche individuali e mutamenti in atto nella società di fine Ottocento (Giuseppe D’Abundo, Evoluzione psicologica ed evoluzione sociologica nel secolo

XIX, in Annuario della R. Università di Catania per l’Anno Accademico 1897-98,

Stab. Tip. Francesco Galati, Catania 1898). Per un’analisi più approfondita del discorso inaugurale di D’Abundo si legga Luca Mazzei, Silvio Alovisio, Domenico Spinosa, Reception Theories in Early Italian Cinema in Francesco Casetti, Jane Gaines, Valentina Re (a cura di), Dall’inizio, alla fine. Teorie del cinema in prospet-

tiva, Forum, Udine, 2010, pp. 45-46. Sull’interesse di D’Abundo per le questioni

nel contributo antologizzato in questo volume, osserva che «gli effet- ti di qualsiasi projezione nei paranoici […] non differiscono da quelli emergenti da tutte le conquiste recenti della scienza, come il telegrafo senza fili, i dirigibili, gli aeroplani, i raggi X, ecc. ». Altrettanto espli- cito sul legame tra cinema e modernità è, quasi vent’anni più tardi, Sante De Sanctis, quando sottolinea che «il successo del cinema […] risponde a un bisogno dell’anima contemporanea; […] Niente è fisso o statico; tutto si muove, marcia, va e viene; tutto è in movimento; tutto è dinamico»8.

Per quanto riguarda invece la diversa attenzione ai contenuti delle immagini, si può notare come negli studi percettologici, la specifica dimensione del singolo film sia del tutto o in parte ignorata. Le osser- vazioni coinvolgono infatti non i contenuti peculiari delle immagini ma le condizioni, anche tecnico-tecnologiche, della loro percezione all’in- terno del setting cinematografico, reale o di laboratorio: il movimento fotogrammatico (Ardigò e Foà), gli stimoli sensoriali provenienti dalla sala (Ponzo 1911), la plasticità (Musatti), l’effetto di lucido metallico (Kiesow). Negli studi psicosociali e psicopatologici i contenuti rappre- sentativi sono invece al centro della riflessione perché proprio ad essi si attribuisce un ruolo decisivo nell’induzione dei fenomeni suggestivi. L’attenzione ai contenuti dell’immagine, tuttavia, non si traduce quasi mai nel riferimento puntuale a film specifici, mantenendosi sempre su un livello astratto, come se il problema non fosse rappresentato da titoli precisi ma dall’esistenza stessa del dispositivo9: il film è quindi

inteso non come una rappresentazione organica, con un percorso del senso coeso e strutturato, quanto invece, seguendo l’ultimo Bellour, come un «réservoir d’émotions» costruito a partire dall’incontro, prima di tutto sensoriale, tra il film stesso e il corpo dello spettatore10.