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Pasquale Rossi e la visione psicocollettiva

Si è scritto, nel paragrafo precedente, che se esiste un elemento in grado di avvicinare contributi diversi e temporalmente distanti tra loro come quelli di Ardigò, Ponzo, Kiesow, Gemelli e Musatti, questo va ricercato nella comune teorizzazione di un attivismo percettivo, in opposizione a una concezione deterministica e fisiologica della perce- zione proposta dal vecchio positivismo.

La convinzione – espressa anche in altri contesti scientifici in- ternazionali – che recarsi al cinema non fosse un’esperienza pas- sivizzante, e questo già a partire dalla semplice (per modo di dire) attività percettiva, era per altro un argomento condiviso anche da voci non interne alla comunità psico-scientifica italiana, e appar- tenenti piuttosto a un multiforme milieu culturale di poligrafi e pedagogisti.

Già nel 1908 il giornalista Maffio Maffii, indirizzandosi ideal- mente agli spettatori, definiva l’esperienza della visione con accenti incredibilmente moderni che da una parte quasi prefiguravano le osservazioni di Münstenberg, dall’altra riecheggiavano le precedenti riflessioni di Ardigò sulla saturazione mentale degli intervalli nelle fotografie sequenziali del movimento dei pianeti. Per Maffii l’illusione di realtà è un effetto più immaginativo che percettivo, e di conse- guenza il ruolo configurante della mente è decisivo: «Voi ricolmate con la immaginazione vostra le lacune, vi raffigurate gl’intermezzi e partecipate allo svolgimento del film un po’ come attori e un po’ come spettatori»90.

Per l’educatrice Angelina Buracci, la fruizione cinematografica si basa sul primato della passione, ma quest’ultima è da lei «intesa come volontario motore della sospensione del principio di realtà»91 (il

corsivo è nostro). L’attivismo volontario caratterizza persino l’espe- rienza cinematografica infantile: i bambini, osserva infatti la Buracci, «non sono piccoli uomini totalmente privi di intelligenza, ma sono invece soggetti che ‘associano, ricordano, sintetizzano, analizzano, immaginano, giudicano, ragionano»92. Lo scrittore (e sceneggiatore)

Vittorio Emanuele Bravetta divide internamente chi va al cinema in due entità, lo spettatore passivo e l’osservatore attivo. L’arma vin- cente di quest’ultimo è l’attivazione di una dinamica psichica che da

90 Maffio Maffiei [Maffii], Perché amo il cinematografo, «La Lanterna», Napoli, 29

febbraio 1908, II, 7, p. 1.

91 Luca Mazzei, Angelina Buracci cinepedagoga, «Bianco e Nero», 570, 2011, p. 98. 92 Cfr. Angelina Buracci, Cinematografo educativo, Tipografia Sociale di Carlo

decenni, come ha dimostrato Crary93, era al centro della riflessione

psicologica internazionale: l’attenzione94.

[il cinematografo] abitua lo spettatore a quella ginnastica men- tale così poco esercitata, che si chiama osservazione; dietro o accanto allo spettatore, cioè, in sostanza, all’uomo che subisce passivamente gli eventi, sembra che un invisibile ma presente e perspicace consigliere venga a prender posto e lo esorti a medi- tare su certi aspetti della realtà, su certi impercettibili segni, a volte essenziali, su certi labili indizi, a volte fatali, che altrimen- ti gli sfuggirebbero95.

Un’analoga divisione tra passività e attivismo del lavoro spettato- riale è proposta dall’illustratore e scrittore Emmanuele Toddi, che la utilizza però non tanto per ipotizzare un conflitto interno al singolo soggetto quanto per stabilire un principio di categorizzazione, intel- lettiva e non sociale o di genere, del pubblico cinematografico: «Non è vero che il pubblico è la somma degli individui che lo compongono. È quella minoranza intelligente che sa di essere pubblico»96.

Il riferimento di Toddi al pubblico come unità virtuale e tempo- ranea che nascerebbe dall’addizione dei singoli individui in sala uti- lizza intenzionalmente (e criticamente) il vocabolario scientifico della psicologia della folla, un ambito della teoria psicosociale che già dagli ultimi decenni dell’Ottocento ambiva a diventare la scienza esplicativa dei fenomeni collettivi tipici della modernità97.

Come scrive, in osservazioni diametralmente opposte a quelle di

93 Cfr. Jonathan Crary, Suspension of perception, cit. Sul cinema come «campo

privilegiato per esercizi di attenzione» nella riflessione teorica di Epstein e Pu- dovkin, cfr. Francesco Casetti, L’occhio del Novecento, cit., pp. 75-76.

94 Sulla visione cinematografica come esperienza dell’attenzione (direzionata

dall’intrinseca funzione selettiva dell’immagine ma anche, nel caso delle proi- ezioni scolastiche, dalla guida in itinere del maestro) insiste anche il filosofo e pedagogista Francesco Orestano (cfr. Id., Il cinematografo nelle scuole, Istituto Nazionale Minerva, Roma, 1914, p. 19).

95 Vittorio Emanuele Bravetta, La fabbrica dei sogni. La cinematografia studiata

da un poeta, Fiorini, Torino, [1920], p. 5.

96 Emmanuele Toddi [alias Pietro Silvio Rivetta], Buio e intelligenza, «Apollon», I,

4, maggio 1916, p. 10.

97 Sulla psicologia delle folle, e in particolare sui suoi esponenti italiani, cfr. An-

gelica Mucchi Faina, L’abbraccio della folla. Cento anni di psicologia collettiva, Il Mulino, Bologna, 1983; Damiano Palano, Il potere della moltitudine. L’invenzione

dell’inconscio collettivo nella teoria politica e nelle scienze sociali italiane tra Otto e Novecento, Vita & Pensiero, Milano, 2002; Laura Fournier (a cura di), La foule en Italie (XIXe-XXe siècle), «Laboratoire Italien», 4, 2003; Stefano Cavazza, Dimensio- ne massa: individui, folle, consumi 1830-1945, Il Mulino, Bologna, 2005.

Toddi, il medico igienista Enrico Gasca, in uno dei rari passaggi della riflessione scientifica italiana dedicati al rapporto tra cinema e folla

i principii più elementari di psicologia collettiva ci insegnano come gli adulti riuniti in collettività diventano più facilmente suggestionabili che non gli individui singoli ed acquistano (o perdono) in tal ordine di fatti psichici la mentalità dei bambini. I soldati stessi, e fu osservato da illustri psichiatri militari, non diventano per il fatto solo di essere ammassati in una folla uni- forme anche nelle caratteristiche esteriori, dei grandi bambini? Ora la penetrabilità, per così dire, psichica del cinematografo esercitandosi quasi sempre su folle affette da questa ipersugge- stionabilità può diventare fonte di gravi danni come di grandi vantaggi psicologici e sociali98.

La vocazione ideologica della psicologia collettiva è chiara sin dalla sua genesi: essa nasce infatti «soprattutto come appello alla mobilita- zione da parte di una borghesia che avverte l’esigenza di ricompattarsi e di guardar dentro le grandi trasformazioni»99. Pur esprimendo, con

rare eccezioni, un «profondo disprezzo per tutto quanto non apparten- ga all’ordine borghese, sia per classe, che per cultura»100, la psicologia

della folla manifestava per certi aspetti «una sensibilità, tutta nuova e moderna, nei confronti della trasformazione sociale»101.

Il nesso tra folla e modernità è stabilito con evidenza da Gabriel Tarde, secondo il quale le caotiche variazioni e le sempre più distra- enti novità della vita urbana eserciterebbero un’azione magnetica su quegli agglomerati spontanei e disorganici che prendono corpo nelle caotiche città moderne così da rendere le folle metropolitane al tempo stesso sovraeccitate e succubi102. A fronte di questa relazione profonda

con i processi di modernizzazione urbana, l’Italia post-unitaria, an- cora poco industrializzata ma periodicamente sconvolta da tumulti di massa, è una delle aree culturali in cui la psicologia collettiva trova un fertile e precoce terreno di sviluppo, grazie all’opera di studiosi influenzati dal positivismo lombrosiano e di formazione per lo più giu- ridica come Enrico Ferri, Pasquale Rossi, Paolo Orano e, soprattutto, Scipio Sighele: tutti intellettuali laici e progressisti, che «si sentirono investiti dal dovere morale di portare un loro contributo alla risolu-

98 Enrico Gasca, Cinematografo ed igiene mentale, «Rivista Cinematografica», III,

6, 25 marzo 1922, pp. 6-7.

99 Clara Gallini, Introduzione, in Scipio Sighele, La folla delinquente (1891), Mar-

silio, Venezia, 1985, pp. 7-8.

100 Ivi, p. 8. 101 Ivi, p. 9.

102 Cfr. Gabriel Tarde, Les lois de l’imitation, Alcan, Paris, 1901, p. 259 (tr. it. Le

zione della questione sociale e al rinnovamento del paese su basi più moderne»103.

A monte di queste teorie albergava un’ampia parte della riflessione scientifica ottocentesca: le ricerche criminologiche, mediche e psicolo- giche, e un’estesa letteratura d’invenzione104, soprattutto sulla sugge-

stione e sull’ipnosi, ma anche «la letteratura sul magnetismo animale, le ipotesi sulle ‘psicosi epidemiche’ e le indagini psichiatriche sulle ‘istero-demonomanie’»105. Le nascenti scienze sociali traevano quindi

una parte significativa del loro armamentario teorico dalle scienze della mente: la visione sociale della folla era equiparata alle immagini del sistema nervoso così com’erano state codificate dal materialismo scientifico del diciannovesimo secolo, ossia come macchina (o orga- nismo, a seconda dei casi106) elettrofisiologica, «perturbata nella sua

regolazione della spesa energetica» per l’azione di stimoli esterni107.

Gli studiosi italiani che riflettono sulla psicologia delle folle, come si è anticipato, non sembrano prestare però una specifica attenzione al cinema108. Una precoce e significativa eccezione è rappresentata dal

già citato Pasquale Rossi109. Nel volume Psicologia collettiva (1899), il

suo primo tentativo organico di elaborare un’originale teoria psicologi-

103 Angelica Mucchi Faina, Scipio Sighele e la psicologia collettiva, in Guido Cimi-

no, Nino Dazzi (a cura di), La psicologia in Italia, cit., pp. 207-208.

104 Cfr. Clara Gallini, La sonnambula meravigliosa. Magnetismo e ipnotismo

nell’Ottocento italiano, Feltrinelli, Milano, 1983.

105 D. Palano, Il potere della moltitudine, cit., p. 364.

106 Sulla distinzione tra meccanicismo e organicismo nella cultura scientifica

post-illuministica cfr. Sergio Moravia, La «naturalizzazione» della mente nell’età

dei lumi e la nascita della psichiatria moderna, in Filippo Maria Ferro (a cura di), Le passioni della mente, cit., pp. 67-80.

107 Mireille Berton, L’apparato psichico come macchina elettrofisiologica: cinema

e psicanalisi all’alba della modernità, in Lucilla Albano, Veronica Pravadelli (a

cura di), Cinema e psicoanalisi, Quodlibet, Macerata, 2008, pp. 37-56. Sul corpo moderno come macchina elettro-nervosa si veda il fondamentale è già ricordato volume di Alessandra Violi, Il teatro dei nervi, cit.

108 Sul nesso tra teorie della folla e cinema si veda Paisley Livingston, La foule au

cinéma, «Stanford French Review», VII, 2, estate 1983; Vincenzo Cuomo, Estetica della folla e dispositivo cinematografico, «Fata Morgana», I, 0, 2006, pp. 72-88.

Sul rapporto pubblico/folla negli interventi della stampa di settore italiana cfr. Lucia Di Girolamo, Le sirene del Golfo. Pubblico e tradizione nel cinema napoleta-

no degli anni Dieci, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2010, pp.

42-53; sul rapporto tra le teorie della folla e il cinema nel contesto francese cfr. Emmanuel Plassereaud, L’art des foules. Théories de la réception filmique come

phénomène collectif en France (1908-1930), L’Harmattan, Paris, 2011.

109 Su Pasquale Rossi (1867-1905) cfr. Tobia Cornacchioli, Giuseppe Spadafora (a

cura di), Pasquale Rossi e il problema della folla. Socialismo mezzogiorno, educa-

ca e pedagogica delle folle, Rossi, riprendendo le intuizioni di Gabriel Tarde (secondo cui la comunicazione implicata dai mass media è l’evo- luzione moderna della suggestione collettiva che univa e condizionava le folle) e le riflessioni di Alfred Espinas (convinto assertore del fatto che il contagio imitativo, per esempio quello del pubblico teatrale, im- plicasse un’attività di cooperazione e interazione tipica delle società evolute), vede nel cinema un mezzo capace di diffondere rapidamente nello spazio e nel tempo «scariche simpatetiche»110 artificiali, grazie

alle «quali noi viviamo del mondo affettivo altrui»111. L’immagine me-

tapsicologica della «scarica» evocava non solo le teorie mesmeriane sul magnetismo ma anche e forse soprattutto le tesi di Aleksandr Herzen sulla «legge fisica della coscienza»: secondo questa tesi «il lavoro inter- no di ogni elemento nervoso si scaricherebbe sopra un altro elemento sensitivo o motore, centrale o periferico»112.

Ciò che determina l’efficacia della «scarica simpatetica» è l’anti- chissima capacità dell’essere umano di comprendere e far comprende- re gli stati emotivi propri e degli altri attraverso l’espressione esteriore (e questo dimostra che le strutture mentali degli esseri umani e le modalità di espressione delle loro emozioni sono unitarie). Il processo simpatetico che può conseguire alla comprensione di uno stato emo- tivo che non ci appartiene prevede, sin dalla sua prima fase fisiologi- ca113 una reazione imitativa (è evidente, in questo passaggio, l’influen-

za del pensiero di Tarde). La relazione simpatetica, dopo avere unito l’immagine cinematografica performante agli spettatori più «sensitivi», si estende orizzontalmente come un’onda contagiosa tra il pubblico, «dalle persone più sensitive che sono nella moltitudine […] alle meno sensibili»114, generando un’autentica fusione delle singole individualità

in un corpus collettivo.

Lo sviluppo scientifico, di cui, secondo Rossi, la fotografia, il fono- grafo e soprattutto il cinematografo sono piena espressione, non solo consente di riprodurre «esteriorizazioni emozionali»115 complesse con

un’efficacia persino superiore alla corrispondente situazione reale, ma

110 Pasquale Rossi, Psicologia collettiva. Studi e ricerche, Tipo-lit. di R. Riccio,

Cosenza, 1899, ristampa: L. Battistelli, Milano, 1900, pp. 22, parzialmente ripub- blicato nella sezione antologica di questo volume.

111 Ibidem.

112 Guido Cimino, Silvia Degni, Le ricerche sperimentali di Gabriele Buccola sulla

durata dei fenomeni psichici, in Nino Dazzi, Giovanni Pietro Lombardo (a cura di), Le origini della psicologia italiana, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 65.

113 Rossi ritorna sul nesso fisiologico tra simpatia e imitazione in Sociologia e

psicologia collettiva, C. Colombo, Roma, 1904, pp. 159-160, e rinvia per un ap-

profondimento a Théodule Ribot, Psychologie des sentiments, Alcan, Paris, 1897, p. 238.

114 Pasquale Rossi, Sociologia e psicologia collettiva, cit., p. 159. 115 Pasquale Rossi, Psicologia collettiva, cit., p. 22.

permette anche di diffonderle a una folla dispersa nello spazio e nel tempo, entità collettiva molto diversa dalla «folla ristretta»116, e tipica

dei moderni mezzi di comunicazione di massa. Se, conclude Rossi, intuendo le grandi potenzialità persuasive ed educative del medium cinematografico, si vuole agire su una folla dispersa, ben difficilmen- te controllabile nello spazio, allora bisogna operare proprio su questi «apparecchi di diffusione a distanza»117.

La riflessione di Rossi presenta non pochi elementi di originalità. Contro l’ipotesi di una psicologia esclusivamente percettologica, egli af- ferma, di fatto, che i sensi non servono solo per percepire, ma anche per esprimere, dunque la psicologia deve occuparsi anche degli aspetti co- municativi e sociali. Il cinematografo, a pochi anni dalla sua invenzione, è valutato in termini estremamente positivi: Rossi colloca infatti il nuovo medium al vertice di una «gerarchia di estrinsecazioni simpatetiche, che rende sempre meno necessaria l’unità delle psichi della folla nel tempo e nello spazio»118. Il cinema consente di creare una compenetrazione men-

tale tra spettatori distanti, assai più forte della semplice coesione mate- riale tipica delle folle ristrette. I concetti di identificazione simpatetica e imitazione delineano una dinamica stimolo-risposta che pur implicando un abbassamento dei freni inibitori, non ha nulla di drammatico, ma è una forma vitalistica e diffusa dei rapporti collettivi e dell’esperienza fin- zionale che va prima di tutto descritta e non demonizzata.

Dalla psicologia all’ergonomia (e ritorno):