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La psiche come metafora cinematografica

Nella riflessione teorica italiana del primo Novecento il dispositivo ci- nematografico si lega al subcosciente non solo, come si è appena visto, per la sua forte incidenza sui processi di riemersione delle immagini eidetiche ma anche per la capacità di diventare un’efficace metafora tecnologica del funzionamento di questi stessi processi psichici125.

Quest’uso metaforico del dispositivo cinematografico per descri- vere i processi, spesso deliranti, di estrinsecazione mentale delle im- magini eidetiche è elaborato e divulgato anche in ambiti letterari e culturali non insensibili al dialogo diretto o indiretto con il sapere scientifico. In Cinematografo cerebrale, De Amicis, quattro anni prima di Ponzo e D’Abundo, porta la patogenia delle immagini all’interno della coscienza del soggetto, attribuendo la forza pulsionale di queste immagini «scellerate, turpi, mostruose»126 proprio alla loro capacità di

proiettarsi «cinematograficamente» in una coscienza succube dei pro- pri demoni, e di compiere tutto questo senza alcun preavviso e senza una volontaria adesione da parte del soggetto stesso.

La riflessione scientifica italiana sul cinema sembra meno propen- sa a usare il dispositivo cinematografico come metafora dell’apparato psichico, forse perché il suo discorso è già tutto o in parte interno al dispositivo stesso, ma non si sottrae interamente a questa operazio- ne127, ricorrendo alla metafora, già ampiamente utilizzata dalla tradi-

zione estetico-filosofica, della «proiezione»128.

125 Per un’analisi delle metafore freudiane legate indirettamente al cinema cfr.

Mireille Berton, Freud et l’intuition cinégraphique»: psychanalyse, cinéma et épi-

stémologie, «Cinémas», XIV, 2-3, 2004, p. 53- 73.

126 Edmondo De Amicis, Cinematografo cerebrale, «L’Illustrazione Italiana», XX-

XIV, 48, 1° dicembre 1907, p. 532.

127 Le tracce di un uso del cinema come metafora dei processi mentali andrebbero

ricercate non solo negli studi scientifici direttamente legati al nuovo medium ma anche e soprattutto nel corpus complessivo dei testi psicologici e psichiatrici editi in Italia nel periodo considerato. L’analogia tra cinema e mente era infatti un to- pos ricorrente del discorso scientifico internazionale (cfr. per esempio le riflessio- ni del fisico Ernst Kretschmer e dello psicoanalista Ernst Simmel citate in Stefan Andriopoulos, Possessed, cit., pp. 112-113). Nel 1916, com’è noto, Münstenberg rovescia il consueto vettore della metafora (usare il cinema per spiegare i processi mentali) e interpreta le immagini del nuovo medium come oggettivazione di deter- minate dinamiche psichiche (per una critica a quest’uso dell’analogia tra cinema e mente, cfr. Noel Carroll, Film/Mind Analogies: The Case of Hugo Münsterberg, «The Journal of Aesthetics and Art Criticism», LXVI, 4, estate 1988, pp. 489- 499).

128 Come ha acutamente sottolineato Locatelli, il concetto di «proiezione» va ben

oltre il cinema, risalendo al dibattito filosofico del secondo Ottocento e rappresenta uno snodo concettuale importante per studiare le relazioni dell’estetica simbolista (e in particolare della nozione di Einfühlung) con la riflessione psicologica, anche

Già Pasquale Rossi, nel 1899, ricorre all’espressione «proiezioni d’un moto interiore» per spiegare la diffusione nello spazio e nel tem- po delle «scariche simpatetiche», mentre D’Abundo, una decina d’anni dopo, scrive, sulla scia delle già ricordate osservazioni di Tamburini, di una «projezione corticale visiva» delle immagini eidetiche. Ma nei contributi antologizzati, la metafora psico-cinematografica più scon- volgente è quella indirettamente proposta da Tullio At., un paziente sedicenne di Pennacchi, sofferente di allucinazioni che si configurano come una vera e propria proiezione a un tempo psichica e cinemato- grafica, con caratteri di corporeità129:

Il ragazzo, tornando a casa dopo lo spettacolo, diceva di veder sulle pareti della camera i personaggi visti nel film, talora ne sentiva anche le parole […].Le figure si muovevano e si mette- vano a fare gli stessi gesti del film; per lo più scene d’amore […] Il paziente diceva che le voci gli comandavano di fare gli stessi atti che vedeva svolgersi sulle pareti della stanza, per due volte aveva tentato il suicidio gridando che così gli era imposto.

I disturbi allucinatori di Tullio At. presentano sorprendenti ana- logie con i casi clinici riportati da Viktor Tausk130 e caratterizzati dal

comune riferimento a un fantomatico Beeinflussungsapparat («mac- china influenzante»), un misterioso macchinario (che nei disegni o nei racconti di alcuni pazienti assume a volte proprio la forma di un pro- iettore cinematografico) capace di manovrare e condizionare i pensieri e le azioni dei soggetti, provocando risposte motorie e sensazioni sco- nosciute, senza che il paziente riesca a capire bene il funzionamento del meccanismo (e proprio la poca comprensione del «meccanismo di produzione delle azioni cinematografiche» era secondo D’Abundo la ragione prima dei disturbi allucinatori indotti dal nuovo medium). Le

in riferimento alle prime teorie cinematografiche (cfr. Raffaele De Berti, Massimo Locatelli, La modernità in tre mosse, in Raffaele De Berti, Massimo Locatelli (a cura di), Figure della modernità nel cinema italiano (1910-1940), ETS, Pisa, 2008, p. 22-24; Massimo Locatelli, Rafael Seligmann (1911): The Origins of Projection e Id., Percep-

tion, Projection, Participation: Film and the Invention of the Modern Mind, entrambi in

Francesco Casetti, Jane Gaines, Valentina Re (a cura di), Dall’inizio, alla fine / In the

Very Beginning, at the Very End, Forum, Udine, 2010, pp. 61-67; pp. 483-490.

129 Sul carattere corporeo delle allucinazioni insiste già negli anni Trenta uno

psichiatra straordinario ma isolato come Giovanni Enrico Morselli. Cfr. Eugenio Borgna, Giovanni Enrico Morselli, in Mario Maj, Filippo Maria Ferro (a cura di),

Antologia di testi psichiatrici italiani, Marietti, Genova, 2003, pp. 251-259.

130 Viktor Tausk, Über den Beeinflussungsapparat in der Schizophrenie, »Interna-

tionale Zeitschrift ärztl. Psychoanal.», V, 1 1919 (tr. it. Sulla genesi della macchina

influenzante nella schizofrenia, in Robert Fliess [a cura di], Letture di psicoanali- si, Boringhieri, Torino, 1972).

immagini di questa delirante proiezione inconscia «vengono viste su un piano, sulle pareti o sui vetri delle finestre, e non sono tridimen- sionali come le allucinazioni visive tipiche»131.

Sia nel caso di Tullio At. che in quello dei pazienti di Tausk, si assiste a una drammatica ed estrema dimostrazione di quel profondo intreccio tra corpo e tecnologia che già nel 1877 il filosofo Ernst Kapp aveva identificato e descritto come un fenomeno tipico della moderni- tà132. Kapp, per spiegare le dinamiche di tale intreccio, aveva coniato

l’espressione «Projection der Organe», proiezione organica (dove Organe, seguendo l’etimo greco, è insieme corpo e strumento). La proiezione organica, scrive Pasi Väliaho, «signals the way in which our corporeal apparatus, the inside, becomes exteriorized in technical objects»133:

è proprio quanto accade da un lato, nella finzione, al protagonista di Cinematografo cerebrale (vittima di una «macchina pensante che si muoveva secondo che i suoi congegni volevano»134), dall’altro lato,

nella realtà, a Tullio At. e ai pazienti schizofrenici di Tausk135. Questo

processo, secondo Kapp, attesta una dipendenza inconscia dell’io da- gli apparati tecnologici, non solo modellati isomorficamente sul corpo e la mente dell’uomo ma anche capaci, inversamente, di modulare e condizionare l’identità dell’umano136.

131 Viktor Tausk, Sulla genesi della macchina influenzante, cit., pp. 58-59. Sul

rapporto tra la macchina influenzante di Tausk e i media cfr. Lucilla Albano, La

caverna dei giganti. Scritti sull’evoluzione del dispositivo cinematografico, Prati-

che, Parma, 1992, pp. 37-41 e Jeffrey Sconce, On the Origins of the Origins of the

Influencing Machine, in Erkki Huhtamo, Jussi Parikka (a cura di), Media Archae- ology. Approaches, Applications, and Implications, University of California Press,

Berkeley, 2011, pp- 70-94.

132 Cfr. Ernst Kapp, Grundlinien einer Philosophie der Technik B, George Wester-

mann, Braunschweig, 1877 (il volume purtroppo non è stato ancora tradotto in italiano, ma in anni recenti è uscita un’accurata edizione in lingua francese, con un ampio saggio introduttivo di Grégoire Chamayou: Principes d’une philosophie

de la technique, Libraire Philosophique Vrin, Paris, 2007).

133 Pasi Väliaho, Mapping the Moving Image: Gesture, Thought and Cinema Circa

1900, cit., p. 80. Cfr. anche Pasi Valiaho, Bodies Outside In: On Cinematic Organ Projection, «Parallax», XIV, 2, 2008, pp. 7-19.

134 Edmondo De Amicis, Cinematografo cerebrale, cit., pp. 532.

135 Analoghe ai fenomeni allucinatori riportati da Tausk e da Pennacchi sono le visio-

ni del Paradiso proiettate sulla parete di fronte al letto descritte dal trentenne Mario C. a Beppino Disertori, primario del centro encefalici dell’Ospedale Santa Chiara di Trento: il paziente associa queste immagini al ricordo di una visione, avvenuta anni prima, di un film sulla Divina Commedia (cfr. Beppino Disertori, Sulla biologia

dell’isterismo. Sdoppiamento psicogeno della personalità, automatismo psicologico e lesioni diencefaliche, «Rivista Speciale di Freniatria», LXIII, 63, 1939, p. 251).

136 Sull’importanza del concetto di proiezione d’organo nella teoria cinematografi-

Nella storia di Tullio At., la sconcertante concrezione psico-tecno- logica successiva all’esperienza in sala presenta almeno due elementi che meritano un ultimo approfondimento: da un lato, i contenuti del film mentale sono soprattutto scene d’amore, e quindi sostanziano un flusso pulsionale legato all’orizzonte del desiderio, dall’altro lato, il paziente non comprende l’origine inconscia di queste immagini e ne attribuisce la fonte di proiezione a un misterioso apparato tecnologico invisibile allo sguardo, nascosto da qualche parte nella stanza. Questi due elementi, pulsioni e proiezioni psichiche, sono agevolmente ricon- ducibili a un’interpretazione molto vicina a Freud che arricchisce la valenza dell’analogia tra gli apparati psichici e il dispositivo cinemato- grafico. Secondo Mireille Berton è infatti possibile

déceler dans le discours freudien une thématique qui excède le simple niveau analogique pour intégrer dans la théorie du psy- chisme une dimension optique (la formation d’images) et une dimension dynamique (le flux pulsionnel) également familières du cinéma. Les deux «machineries», par exemple, travaillent dans l’ombre puisqu’elles fabriquent des images derrière le spec- tateur, ou du moins à partir d’un site dérobé à son regard, pro- duisant un flux d’images à l’insu du spectateur qui n’a sous les yeux qu’un lieu d’inscription et non un lieu de diffusion. Bien qu’il me faille admettre […] que Freud a probablement pensé davantage à la lanterne magique qu’au cinéma comme machine à produire du figuratif, il ne fait aucun doute que la notion de projection sur un écran psychique doit beaucoup au dispositif cinématographique137.

Questi aspetti del discorso freudiano colti da Berton sono recepiti e rilanciati in una prospettiva apertamente cinematografica da Angelo Montani in Cinematografo e pensiero138, un testo fondamentale del-

le riflessione psicologica sul cinema in Italia, risalente però al 1935, quindi al di là del periodo considerato nel presente lavoro. Nel suo intervento, tra i primi ad attestare nel nostro paese un tentativo di raccordo tra Freud e il cinema, Montani sostiene che l’efficacia dell’in- fluenza psichica del cinema aumenterà esponenzialmente «quanto più [esso] si accosterà al procedere del pensiero incosciente scomparen-

tenze dell’anima…», «Bianco e Nero», 556, settembre-dicembre 2006, pp. 46-48.

137 Mireille Berton, Freud et l’intuition cinégraphique: psychanalyse, cinéma et

épistémologie, cit., p. 64.

138 Angelo Montani, Cinematografo e pensiero, «Italia Letteraria», 31, 1935, p. 4.

Montani apre il suo intervento proprio con un parallelismo tra cinema e processi del pensiero ipotizzato a partire da un esplicito rinvio alla teoria di Kapp sulla proiezione organica.

do come mezzo tecnico»139, dando l’impressione che l’immagine possa

«penetrare senza un medium fisico nel nostro cervello»140: la proiezione

psichica esteriorizzata della macchina influenzante si trasforma in un processo di introversione diretta delle immagini esterne dentro le re- gioni profonde di un inconscio finalmente freudiano. Per la riflessione psicologica sul cinema si tratta di una svolta epocale, sia pure – come si è cercato di dimostrare – non improvvisa. Ma questa è già un’altra storia.

139 Ibidem. 140 Ibidem.

Capitolo III