• Non ci sono risultati.

L Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat lat

H), ha rubricato tutti i testi e compilato la tavola; la mano b – «più rigida ed alquanto più angolosa»

I.1.7 L Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat lat

Descrizione

In-8°, membr., prima metà del XIV sec., italiano settentrionale; ± mm 153x94, 148 cc.; acefalo, lacunoso e mutilo L si compone di 15 fascicoli non numerati e irregolari (fasc. I: senione; II-III: quinioni; lacuna di due fascicoli; IV: senione; V-VIII quinioni; IX: in origine un quaternione oggi ternione; X: quinione; XI: quinione + bifoglio esterno aggiunto; XII-XIII: quinioni; XIV: quaternione; XV: quinione mutilo dell’ultima carta; le cc. 14, 21, 114, 119, 134, 137 sono prive di riscontro) e solo parzialmente dotati di richiami. Cartulazione da 1 a 148 collocata nell’angolo superiore destro del recto di ogni carta, apposta in età umanistica dopo la caduta dei fogli. Il codice tramanda complessivamente 150 testi di cui 10 unica e tre in doppia trascrizione: il contenuto è variegato e sono rappresentati testi lirici, testi lirici non strofici e testi non lirici con mises en page differenziate in base al genere. Alle cc. 1r-2v il poemetto allegorico mutilo intitolato Chastel

d’Amors, unicum di L, è disposto a tutta pagina su 30 unità di rigatura in media, con versi trascritti

come prosa separati da punto metrico o da una breve linea obliqua e ben individuabili grazie ai capoversi maiuscoli. Le strofe, invece, iniziano a capo. Per i componimenti lirici, anche dialogati, si segue la stessa impaginazione (solamente il verso incipitario di ogni componimento ha indipendenza grafica; dopo averlo trascritto, il copista prosegue a capo e lascia così spazio per l’aggiunta delle rubriche attributive): si tratta di 138 tra canzoni, sirventesi e tenzoni; 46 testi sono adespoti mentre il resto è attribuito a mezzo di rubriche a un totale di 43 trovatori. Gli altri testi afferenti a generi lirici non strofici (tre domnejaire, tre salutz, una complainta, un conjat) o non lirici (l’ensenhamen En aquel temps com era jais di Raimon Vidal, frammentario, cc. 71r-80v e brani del

Roman de Jaufre, cc. 84r-99v, entrambi acefali, dunque non numerati) sono invece copiati verso per

pezzo disposto su due colonne. Tutti i componimenti sono numerati a mezzo di numeri romani maiuscoli delimitati da due punti a mezza altezza e racchiusi in un cartiglio, posto nel margine superiore o esterno del foglio, all’altezza dell’incipit. Tale numerazione è contemporanea alla copia dei testi ma di mano del correttore; le lacune si sono dunque verosimilmente prodotte tra XV e XVI secolo se la numerazione dei componimenti non ne tiene conto e Fulvio Orsini che lo acquistò nel 1583 già segnalava le mutilazioni. Il Chastel d’amors reca il numero XVI; dalla pièce numero LX di c. 32v si passa alla LXXXXIII di c. 33r; l’ultima canzone (BdT 366.27) è segnata come CLXXXXI: sono dunque andati perduti almeno 47 componimenti.

Il genere lirico predominante è naturalmente la canzone con un centinaio di testi: non si notano criteri particolari di ordinamento delle liriche e i testi di uno stesso poeta possono tornare in diversi punti della raccolta. Fanno eccezione le cc. 14r-32v corrispondenti al II e al III fascicolo che raccoglie una «piccola sezione lirica» (SOLLA 2015, p. 83) di 28 componimenti divisi in sezioni d’autore che si susseguono in ordine decrescente. Nel complesso risultano rappresentati soprattutto trovatori attivi tra lo scorcio del XII e i primi decenni del XIII secolo nelle corti dell’Italia settentrionale (Raimbaut de Vaqueiras, Aimeric de Peguilhan, Albertet de Sisteron, Falquet de Romans, Gauceran de Saint Leidier, Guilhem de la Tor, Uc de Saint Circ); due i trovatori italiani (Peire de la Mula e Rambertino Buvalelli); pochi i poeti delle prime generazioni e nessuno di quelli attivi oltre la metà del XIII secolo.

La scrittura del copista del corpo principale è una littera textualis di piccolo modulo con elementi cancellereschi (cfr. SIGNORINI 1999, p. 852), databile entro la metà del XIV secolo, sempre ben leggibile eccezion fatta per le carte estreme: questi trascrive tutti i testi con inchiostro nero ed effettua piccole correzioni ricontrollando sull’antigrafo quanto copiato. Le rubriche, in rosso, sono inserite nel margine sinistro della facciata oppure entro gli spazi vuoti degl’ultimi righi del testo precedente. Una seconda mano italiana (cfr. SIGNORINI 1999, p. 852), di poco posteriore e sempre databile entro la metà del XIV secolo, corregge su rasura, completa, postilla e in 41 casi attribuisce i testi adespoti, adoperando un inchiostro più diluito anche per le rubriche: l’analisi degli interventi ha rilevato che questi collazionava e contaminava le diverse fonti in suo possesso, principalmente afferenti alla costellazione y; per le varianti e le correzioni non testimoniate dai canzonieri noti si è ipotizzato che avesse a disposizione una fonte oggi perduta oppure che congetturasse, come il copista di C, mettendo a frutto abilità versificatoria ed erudizione (PULSONI 1994a). Nel margine esterno delle carte, a fianco del cartiglio col numero d’ordine di ogni componimento, si legge quasi sempre la sigla ex., alternata al segno tachigrafico 9 (= con.): esse stanno rispettivamente per

exemplar o exemplata, contuli o conlata e «alludono a raffronti fatti o da fare con l’altra raccolta,

quella che è servita al correttore per gli emendamenti e le aggiunte» (PELAEZ 1921, p. 16; SIGNORINI 1999, pp. 583-584 precisa che «All’abbreviazione ex corrispondono […] testi che non presentano alcuna correzione o soltanto quella di errori meccanici di copia; al compendio per con corrispondono invece correzioni sostanziali del testo quali aggiunte o diverso ordinamento delle strofe, riempimento di spazi lasciati appositamente in bianco, correzioni su rasura, le quali, inoltre […] sono risultate evidentemente connesse con l’uso di una diversa fonte»). Il segno iq. o inq. (= inquire) è stato posto vicino a sette componimenti come promemoria per ulteriori raffronti e collazioni con altra fonte non immediatamente disponibile.

La decorazione consiste in iniziali miniate in apertura del Chastel d’Amors (c. 1r), del salutz di Arnaut de Maruelh (c. 42v) e del Thezaur di Peire de Corbian (c. 126r), affidate a un miniatore; capilettera maggiori all’inizio di ciascuna unità testuale alti circa tre linee di scrittura, in alcuni casi sormontati da uccelli stilizzati disegnati a penna, e iniziali di strofa corrispondenti a due unità di rigatura, di colore rosso e turchino alternati e filigrane invertite, eseguiti dal copista principale; pieds

de mouche, anch’essi alternatamente rossi e blu, che scandiscono i componimenti non strofici,

sempre ascrivibili al copista. Legatura composita: i piatti in marocchino marrone recano gli stemmi di papa Pio VI (anteriore) e del cardinale bibliotecario Saverio Zelada (posteriore), con ferri in oro a forma di fiore impressi agli otto angoli; il dorso, in marocchino rosso, reca invece gli stemmi di papa Pio IX e del cardinale Angelo Mai.

L’origine del codice è assegnata alla Lombardia da PELAEZ 1921, p. 9 e al Veneto da FOLENA 1990, p. 14 mentre i più recenti studi (ZAMUNER 2005 soprattutto) ne collocano l’iperstrato più precisamente in una zona compresa tra Mantova e Cremona.

Il codice appartenne a Pietro Bembo e al figlio Torquato che, con l’intermediazione di Gian Vincenzo Pinelli, lo cedette a Fulvio Orsini nel 1583. In un’epistola al Pinelli il cardinale lo descriveva «senza principio et fine et manco nel mezzo in più luoghi, et in uno dove mancano XVII carte» (DEBENEDETTI 1911, p. 246) anche se lascia ancora perplessi l’annotazione sulla lacuna di

17 carte perché «In realtà non si sa in quale luogo del codice collocarla» (SOLLA 2015, p. 51); nel proprio inventario Orsini lo registrò con la rubrica «24. Rime provenzali di molti poeti, in pergamena in 8° et coperto in cartone» (DE NOLHAC 1887, p. 394).

Bibliografia

GRÜTZMACHER 1863,pp. 419-424; BARTSCH 1872,p.28;GRÖBER 1977,pp.433-442;DE NOLHAC 1887,pp. 332; DEBENEDETTI 1911, pp. 214, 218 e 245-246; JEANROY 1916, p. 9; PELAEZ 1921; ANGLADE 1924, p. 596; LÅNGFORS 1927; BdT, p. XVII; BRUNEL 1935, p. 93; CARERI 1986; ASPERTI –PULSONI 1989, p. 171, n. 24; PULSONI 1994a; LOMBARDI –CARERI 1998, pp. 185-233; SIGNORINI 1999, pp. 851-858; ASPERTI 2002a, p. 531; MARINETTI 2003; PULSONI 2004, p. 366; ZAMUNER 2005; ASPERTI 2006a; SOLLA 2011; SOLLA 2015.

[c] Do(m)na d(e) chantar haj talent (VII, anon.) 114r26 – 114v27

Nel fascicolo XII, il componimento adespoto numerato CL è la canzone VII di Guilhem Figueira. L’incipit stravagante – che coinvolge anche il secondo verso (e no ges per gaia saszo) – accomuna L e U contro il resto della tradizione che, al netto delle varianti grafiche, reca ai primi due versi Pel joy del belh comensamen |

d’estiu comensi ma chanso. In U la canzone risulta attribuita a Joan d’Albuzon e

nella BdT di Pillet e Carstens è pertanto inventariata come 265.1.

Il testo si apre con una D onciale dipinta in rosso, di altezza corrispondente a due unità di rigatura, con filigrane blu in punta di penna che formano palmette e volute, sia all’interno dell’occhiello sia in forma di prolungamenti al di sopra e al di sotto della lettera lungo il margine sinistro dello specchio di scrittura. Le iniziali delle strofe successive alla prima, di modulo più piccolo, sono alte come un’unità di rigatura ed eseguite con alternanza regolare di inchiostro rosso e blu, con fregi ridotti a linee verticali di colore speculare che affiancano eventuali tratti verticali delle lettere o tagliano a metà eventuali occhielli. Il testo è trascritto rispettando perfettamente il sistema di rigatura. L’assenza di rubrica mette in risalto l’indipendenza grafica del verso incipitario. Il fascicolo che lo ospita è il numero XII (cc. 112-121), un quinione apparentemente regolare che non presenta infrazioni alla ‘legge di Gregory’ ma in cui mancano le carte solidali proprio della c. 114 (con

talon visibile tra le 119-120) e della c. 119 (con talon tra la 114-115).52

Nel margine destro, a destra del riquadro col numero d’ordine del componimento, si legge la nota ex, vergata dalla seconda mano che testimonia di come il raffronto con l’exemplar a disposizione del correttore non abbia mostrato divergenze di

lezione o ordine delle strofe. In effetti non si nota nel testo alcun intervento a lui ascrivibile, essendo impossibile determinare quale dei due scriventi sia stato il responsabile della rasura di una parola a c. 114v4. È altresì possibile che la sigla testimoni dell’assenza del nostro testo nella fonte di controllo.

La canzone è infatti copiata in una zona del codice che Solla nomina L2 e che inizia a c. 100 per proseguire sino alla fine del manoscritto.53 In essa figurano soprattutto canzoni che il copista principale lascia non attribuite e in cui le rubriche presenti sono tutte di mano del correttore, vergate con l’inchiostro molto diluito che caratterizza tutti i suoi interventi: su un totale di 32 nomi di trovatori integrati (in un caso si ha invece l’indicazione di genere), è impressionante l’altissimo tasso di coincidenza con le attribuzioni registrate in BdT. Il correttore sbaglia ad assegnare solo la numero CLXXXI a Guilelm de sandisder (in realtà di Gaucelm Faidit) e la numero CLXXXX a Naymeric d(e) belinoi (per Aimeric de Sarlat). Se si accostano assenza di rubrica per VII e assenza di qualsiasi altra traccia riconducibile al correttore alla facies testuale della canzone in L, così particolare che avrebbe invece potuto sollecitare qualche intervento, si profilano due possibilità: il testo di Guilhem Figueira non era presente tra le fonti di controllo messe in opera dal secondo copista oppure non è stato rintracciato a causa dell’incipit alternativo e per questo motivo è rimasto adespoto.

Solla include la canzone in un ulteriore sottogruppo di L2 che chiama L2b comprendente

33 componimenti tra i quali Tot m(en)tremis de chantar uolenters di Peirol (BdT 366.21), Do(m)na de chantar hai talent di Guilhem Figueira (BdT 217,6), Chantar

volgra mo fi cor d(e)scobrir di Folquet de Marselha (BdT 155,6), Bon chantar fai al gai te(m)ps d(e)l paschor di Albertet (BdT 16,8), Non es merauilla sieu chan di Bernart

de Ventadorn (che è la seconda attestazione presente nel codice) (BdT 70.31) e

Chantar mer daicho do(n) no volrria della Contessa de Dia (BdT 46.2). […] È una

sezione abbastanza corposa e racchiude componimenti di diversi trovatori, su 23 testi 20 sono di autori diversi. La sezione termina con il testo di Peire de Corbian: Tesaur (BdT 388,I) che induce a pensare ad un innalzamento di tono, almeno dal punto di

53 Ibid., pp. 58.

vista didattico-educativo e di riflessione costante sui fondamenti della civiltà cortese.54

Dopo L2a (cc. 100-111) coi suoi testi accomunati dallo sperimentalismo formale tipico del trobar clus, si ha dunque in L2b un ritorno al canto d’amore: grazie all’incipit ad effetto che unisce la domna, il chantar e il talen e, anzi, solo grazie al suo dettato alternativo (d’autore?), la canzone di Figueira, che declina il paradosso amoroso in chiave intellettualistica, ben si inserisce in questa specifica partizione. Si può notare inoltre una certa predilezione del compilatore per la forma metrica cui è ascrivibile anche VII che potrebbe dunque costituire un altro motivo d’inclusione. Il metro consiste in cinque coblas unissonans di otto versi, ciascuno di otto posizioni, con schema rimico abbaccdd, più una tornada di 5 versi, corrispondente a Frank 577:210. È appunto lo schema 577 uno dei più rappresentati nella breve partizione lirica organizzata per autori (con quattro esempi nella sezione di Peire Vidal, uno in Bernart de Ventadorn e uno in Falquet de Romans) ma percorre tutto il canzoniere e informa testi di Aimeric de Peguilhan (1 componimento), Aimeric de Belenoi (2), Perdigon (1), Pons de Capduelh (1), Raimon de Miraval (2, in successione), Aimeric de Sarlat (1), Gui d’Uisel (1), Blacatz (1) e appunto Guilhem Figueira.