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M Paris, Bibliothèque nationale de France, fr 1

H), ha rubricato tutti i testi e compilato la tavola; la mano b – «più rigida ed alquanto più angolosa»

I.1.8 M Paris, Bibliothèque nationale de France, fr 1

Descrizione

In-4°, membr., XIII sec. ex.; Napoli? Linguadoca?; ± mm 240x190, 279 cc., che formano 23 fascicoli (un quinione con l’indice e per il resto senioni regolari eccetto i fasc. XIII e XVIII con sette fogli (cfr. ZUFFEREY 1991, pp. 226-228), non numerati e con richiami posti sotto la colonna d nel margine inferiore del verso dell’ultima carta; cartulazione in cifre arabe aggiunta in età moderna nell’angolo superiore destro del recto delle prime dieci carte che ospitano la tavola antica; il corpo vero e proprio del canzoniere ha invece ricevuto una cartulazione in numeri romani maiuscoli collocati nel margine superiore del recto sopra la colonna b, con inchiostri rosso e blu alternati.

Mise en page chiara e ariosa: testi disposti su due colonne di 29 righi, con ampi margini; versi scritti

di seguito, come prosa, separati dal punto metrico; strofe graficamente indipendenti: cominciano sempre a capo e sono nettamente separate da un rigo lasciato in bianco.

Littera textualis di un’unica mano, tondeggiante, con scarso contrasto tra pieni e filetti, dal tratto

leggero e con sviluppo verticale delle lettere.

Apparato decorativo gerarchicamente strutturato in quattro tipologie: vignette miniate di forma quadrangolare, delimitate da una cornice e dissociate dall’iniziale di componimento, occupano tutta la larghezza della colonna, corrispondono in altezza a dieci unità di rigatura e accolgono la raffigurazione dei trovatori maggiori; lettere ornate in apertura dei singoli corpora, in un riquadro a fondo dorato alto come quattro linee di scrittura e largo circa due terzi della colonna, presentano

antenne che costeggiano il margine sinistro della stessa, rifinite con pomi dorati, foglie trilobate e intrecci vegetali: nel margine inferiore della carta, in corrispondenza delle lettere ornate, sono stati inseriti disegni che ritraggono animali anche fantastici, ibridi mostruosi, grilli gotici, grottesche e scene di caccia; lettere filigranate che fungono da capilettera per tutte le pièces successive alla prima di ogni sezione d’autore: a corpo blu corrispondono fioriture in rosso e viceversa; letterine dipinte in apertura delle strofe, alternatamente rosse e blu.

Il bagaglio testuale è organizzato in sezioni di genere, come nei prodotti della tradizione ε: i 465 componimenti sono suddivisi in un primo grande blocco di canzoni (cc. 1-206, con 349 testi), uno di sirventesi (cc. 207-247, con 84 testi), uno di discordi anonimi (cc. 249-251, con 5 testi) e l’ultimo di tenzoni (cc. 252-268, con 27 unità). Entro ciascuna partizione di genere si susseguono sezioni d’autore in base a un criterio non immediatamente perspicuo (non è percepito da LAMUR 1986) ed emerso dall’esame della struttura fascicolare condotto da ASPERTI 1989, p. 138 e precisato da ZUFFEREY 1991, pp. 222-229: l’alternanza di poeti maggiori e minori dipende dal disegno del compilatore di far esordire i corpora dei trovatori di maggior prestigio con l’inizio di un nuovo fascicolo o comunque del recto di un foglio e di riempire successivamente il resto con le sezioni dei minori e dei minimi, secondo una tendenza riscontrabile in N, Q, in certa misura anche in B, e ipotizzata per il perduto canzoniere di Miquel de la Tor (cfr. ZUFFEREY 1987, p. 160). La distinzione tra i poeti più e meno prestigiosi è affidata anche alle rubriche e all’ornamentazione: solo i primi hanno diritto alla formula estesa, vergata in rosso, del tipo Chansos / Sirventes qe fes… e a una decorazione completa di tutti gli elementi, vignetta miniata inclusa; ai secondi spetta invece una rubrica abbreviata coincidente col nome (talvolta preceduta dalla particella onorifica en e sempre, nella seconda partizione, dal compendio s.s per siruentes) e non godono di raffigurazioni in vignetta.

M non tramanda vidas né razos.

La tavola antica riflette la divisione del corpus per generi: alle cc. 1r-7r sono indicizzate tutte le canzoni e da 7v a 9r i sirventesi; i discordi sono registrati sulle ultime cinque righe di c. 9r e le tenzoni a c. 9v, rispettivamente introdotti dalle rubriche Descort e Tensos. Anche l’incipitario mostra una mise en page chiara e regolare, a tutta pagina, per 34 unità di rigatura: i componimenti si susseguono nell’ordine esatto che occupano nel manoscritto e sono trascritti sotto la rubrica in rosso col nome del trovatore, anche in questo caso estesa o ridotta a seconda del trattamento ricevuto nel corpo del canzoniere; con grande precisione ogni gruppo di incipit è separato dal successivo a mezzo di un rigo vergine; ciascun verso esordiale è inoltre preceduto dall’abbreviazione FOL. in lettere maiuscole, alternatamente rosse e blu, e seguito dal numero della carta, in cifre romane maiuscole, anche qui rosse e blu alternate sia tra loro sia rispetto all’abbreviazione FOL. Legatura in marocchino rosso con le armi di papa Pio VI.

Alla fine del XV secolo, M si trovava a Napoli, di proprietà dell’erudito catalano Benet Garret, il Cariteo (Barcellona 1450 ca. – Napoli 1514 ca.): uomo di cultura e d’accademia, istallatosi a Napoli intorno ai diciotto anni, il Garret prese parte alla vita politica dell’appendice italiana del regno d’Aragona, fino a rivestire il ruolo di primo ministro di Ferdinando II. Sullo scorcio del XV secolo fu esiliato una volta nel 1495, in occorrenza della calata di Carlo VIII, e una seconda volta tra 1501 e 1503 quando riparò a Roma. Lì conobbe Angelo Colocci e lo iniziò agli studi provenzali mostrandogli una traduzione da cui condotta delle liriche di Folchetto di Marsiglia. Alla morte del poeta, la vedova vendette il canzoniere al cardinale che vi lavorò alacremente, collazionandolo con

N e N2 e ne riempì i larghi margini con numerosissime annotazioni, confidando «al suo prezioso

manoscritto tutti i pensieri che la lettura di esso gli andava ispirando, senza preconcetti, senza falsi timori, come se egli dovesse portarsi il suo cod. con sé nella tomba» (DEBENEDETTI 1911, p. 60; cfr. DE NOLHAC 1887, pp. 318-321; DE LOLLIS 1889b; DEBENEDETTI 1904; DEBENEDETTI 1911, pp. 60- 64 e 87-89; GUTIÉRREZ GARCÍA – PÉREZ BARCALA 1999; PÉREZ BARCALA 2000; FERNÁNDEZ CAMPO 2008, PÉREZ BARCALA 2008; PÉREZ BARCALA 2011a; PÉREZ BARCALA 2011b). Questi fece richiesta alla vedova, per tramite di Pietro Summonte, della suddetta traduzione di Folchetto. Dalla celeberrima risposta del Summonte (cfr. DEBENEDETTI 1911, pp. 257-258), si evince che il Garret possedeva M almeno sin dall’epoca del primo esilio: non ritrovando tra le carte del defunto la prova di traduzione, il mittente dichiara di aver incaricato suo nipote Bartolomeo Casassages di approntarne un’altra, perché «per essere di natura Catalano, versato in Franza et exercitato pur assai sì in legere, como in scrivere cose thoscane, tene non poca dextrezza in interpretare lo idioma et la poesia limosina» (Ibid., p. 258). La traduzione del Casassagia è conservata nel Vat. Lat. 4796 (cfr. BLANCO VALDÉS –DOMÍNGUEZ FERRO 1994; BREA 1998; CORRAL DÍAZ – FERNÁNDEZ CAMPO 2000). Oltre alle glosse colocciane, si leggono su M molte altre annotazioni di «un secondo postillatore (ital. sec. XV ex.)» che CARERI 1993, da cui si cita (p. 748), ha identificato proprio col

Casassages. Alla morte del Colocci, i suoi tesori librari passarono all’amministrazione pontificia e poi alla Vaticana nel 1557: Fulvio Orsini visionò e studiò il canzoniere, anzi afferma DE NOLHAC 1887, p. 319 che M «paraît avoir été le premier recueil de troubadours qu’il ait connu». Dopo due secoli il La Curne de Sainte Palaye ne ricavò una copia (Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, 3096) prima che Napoleone lo confiscasse nel 1798. Da allora si conserva alla Nazionale di Parigi poiché, con la Restaurazione, fu escluso dalla restituzione all’Italia in quanto utile e prezioso per la Francia. Di M si conservano due copie: g1 (Vat. Lat. 3205) fu fatta eseguire per volere del Colocci e

appartenne a Fulvio Orsini che dall’antigrafo riportò con ordine le note colocciane (cfr. DE NOLHAC 1887, p. 320; FERRARI 1991, pp. 318-319 e le avvertenze di PÉREZ BARCALA 2000, p. 955, n. 31);

g2, parziale, è nel ms. Bologna, Biblioteca Universitaria, Univ. 1290 ed è autografa di Bartolomeo

Casassages (cfr. CARERI 1993, pp. 746-747): si tratta della copia di M desiderata dal marchese di Montesarchio, Giovan Vincenzo Carafa, una volta avvenuto il passaggio del codice a Roma alla morte del Cariteo, di cui dà conto il Summonte nella lettera al Colocci (cfr. DEBENETTI 1911, pp. 257-258).

La localizzazione del manufatto è questione dibattuta: si ripercorrono pertanto le principali posizioni della critica. JEANROY 1916, p. 10 parla di «main italienne»; nella BdT, pp. XVII-XVIII, Pillet e Carstens non si esprimono; per BRUNEL 1935, p. 53 è «écrit au XIVe siècle en Italie». Anche per AVALLE 1961 esso è «scritto in Italia nel XIV secolo» (p. 115). Pur assegnandone il sostrato alla tradizione linguadociana, FOLENA 1990, p. 17 riconosce che il canzoniere del Colocci si può forse assegnare alla Lombardia. MENEGHETTI 1984 rilevava che le illustrazioni di M sono «pregevoli ed accurati esempi di quello stile gotico francese che si afferma sempre più nella decorazione libraria italiana – e lombarda in particolare – nel XIV secolo» (p. 349), rinviando a TOESCA 1912, pp. 151- 152 e 198-200. La studiosa riconosceva inoltre che la presenza di soli motivi vegetali nelle iniziali ornate rende l’iconografia di M e N più simile a quella dei linguadociani C e E che a quella dei veneti AIK (MENEGHETTI 1984, pp. 350-351). Nel 1987, Anne-Claude Lamur presenta una tesi di diploma presso l’École des Chartes interamente incentrata sul parigino fr. 12474: a detta di Lamur le ipotesi sull’origine italiana del manoscritto sono precisabili sulla scorta dell’ornamentazione. Poiché le vignette miniate sono state eseguite da un miniatore piccardo, «un des centres les plus attractifs pour les français dans l’Italie de la fin du XIII° siècle ou du début du XIV° siècle était le royaume de Naples, tenu par Charles d’Anjou, frère de Saint Louis, puis ses descendants. D’autre part, le style dépourvu de toute caractéristique italienne de l’artiste nous conduit à chercher une région où la manière gothique française a été assez en vogue, a suffisamment correspondu au goût général, pour n’avoir pas été du tout dénaturée: Naples correspond également à ce critère. Nous sommes donc orientés vers le sud de la péninsule» (LAMUR 1987, p. 188). Allega a ciò la variante

Robert Giscard che rintraccia in BdT 80.23 al posto della lezione Rogiers degli altri manoscritti,

segno di un ricordo e di un interesse vivi per il condottiero normanno in area napoletana, che fu teatro delle sue imprese (lo proverebbero l’acquisizione da parte di Roberto d’Angiò nel 1336 dell’Histoire de Robert Guiscard e la traduzione francese di una serie di cronache latine tra cui ancora l’Histoire per il comte de Militrée la cui identificazione rimane misteriosa: cfr. KUJAWIŃSKI 2010 per la proposta di vedervi Ruggero da Sanseverino e sul milieu di quest’ultimo IMPROTA – ZINELLI 2015). Lamur reca a supporto dell’ipotesi anche la storia esterna del manoscritto: è proprio a Napoli che M fa la sua prima comparsa in epoca moderna, tra le mani del Cariteo; «rien d’ailleurs dans le chansonnier ne peut plaider en faveur d’une origine catalane» e «Cariteo n’a quitté Naples qu’une fois, pour Rome, et il était déjà en possession du manuscrit: c’est donc bien à Naples qu’il l’a acquis» (p. 189). Alla luce dell’assidua frequentazione della corte napoletana da parte di alcuni trovatori sin dall’epoca di Federico II, dell’interesse mostrato dalla lirica politica in lingua d’oc per le vicende che videro opposti Carlo d’Angiò e Manfredi e delle conoscenze di provenzale dello stesso sovrano che legò a sé alcuni trovatori e di cui si conosce almeno uno scambio di coblas, pare strano, a detta di Lamur, che non si conservi alcun manufatto di lirica trobadorica compilato nel meridione d’Italia, giacché «l’environnement était […] favorable à la diffusion des œuvres des troubadours, et il ne fait aucun doute que les rois de Naples, au moins Charles I et Charles II, et non seulement eux, mais aussi des membres de leur entourage, nourris de littérature courtoise, ont eu en leur possession des recueils de lyrique occitane» (Ibid., p. 195). La prova decisiva, per quanto ho potuto vedere mai messa in discussione dalla critica successiva, è rinvenuta in alcune caratteristiche dell’apparato decorativo e le conclusioni che Lamur ne ricava «doivent beaucoup aux compétences de Mlle M.-T. Gousset e de M. F. Avril» (Ibid., p. 191, n. 21). In un articolo uscito l’anno seguente, la studiosa ribadisce che la fattura gotica delle vignette rinvierebbe a maestri miniatori d’oltralpe, provenienti dalla Piccardia; e ricorda che effettivamente François Avril ha individuato sette codici

databili tra 1315 e 1340, riconducibili a un atelier piccardo attivo a Napoli sotto il regno di Roberto d’Angiò (cfr. AVRIL 1986). Ma è la stessa Lamur ad ammettere che «cependant, ni les vignettes, ni les initiales ornées que l’enlumineur du chansonnier M réalise au début des pièces de chaque nouveau poète […], ni la série des grotesques (animaux, hybrides, scènes de chasse ou de combat) que le même artiste a exécuté dans les marges, ne permettent réellement de rapprocher le chansonnier M des manuscrits de l’atelier mis en évidence par François Avril» (LAMUR-BAUDREU 1988, p. 190). Al contrario, le iniziali filigranate sono ritenute «suffissamment proches» da implicare un’origine comune a quelle – «plus importantes et plus soignées» – eseguite da Minardus

Theutonicus per i codici BnF, lat. 5005A e BnF, lat. 69121-5. Trattasi di un Chronicon Lemovicense e di una traduzione latina condotta da Magister Faracius dell’enciclopedia medica Kitab al-Hawi del persiano al-Razi, commissionati da Carlo I ed effettivamente eseguiti a Napoli, per mano di diversi copisti e due decoratori: Giovanni da Montecassino (per le iniziali istoriate) e Minardo Teutonico (per le lettere filigranate). Dal medesimo atelier è uscita anche una bella copia della traduzione, individuata in due volumi della Vaticana, i lat. 2398-2399, e descritta da DANEU LATTANZI 1978; il lat. 6912 è esplicitamente citato nei registri della tesoreria angioina in due documenti del 1281 e 1282, recanti i nomi dei copisti e le somme da corrispondere al miniatore pro

illuminandis: il codice è dunque precisamente databile tra 1279 e 1282 (sul documento cfr. BARONE 1885, p. 426; DURRIEU 1886; COULTER 1944, p. 150; AVRIL – GOUSSET 1984, pp. 151-153 e 157; STIRNEMAN – GOUSSET 1989, pp. 40-42; MURANO 2005, pp. 166-170, GURRADO 2013; sul Chronicon cfr. AVRIL – GOUSSET 1984, p. 157; sull’al-Hawi parigino cfr. DEGENHART –SCHMITT 1968, p. 242; DANEU LATTANZI 1978, pp. 149-153; AVRIL 1984, pp. 54-55; AVRIL – GOUSSET 1984, pp. 157-159; PERRICCIOLI SAGGESE 2001, p. 124). Benché frammentaria e consultabile solo in edizioni moderne, nella Ratio thesaurariorum angioina non vi sono tracce di M, così come non ne recano i cataloghi della biblioteca regia, privi di riferimenti a raccolte di lirica volgare anche durante il regno di Roberto, quando le collezioni vennero rimpinguate (cfr. COULTER 1944, pp. 141-155): una tale lacuna è «presque invraisemblable» (LAMUR 1987, p. 191). Dalla lettura seriale dei sirventesi, ASPERTI 1989, in un contribuito di poco posteriore alla ricerche di Lamur, ha notato, tra l’altro, che la sezione raduna testi di poeti provenzali o attivi in Provenza, composti quasi nella totalità nel secondo quarto del XIII secolo e politicamente connotati al punto che «il senso complessivo della raccolta […] è decisamente antifrancese» (p. 151); in AVALLE 1993, p. 95, la mise à jour bibliografica di Lino Leonardi opportunamente osserva: «il dato sarà da confrontare con

l’ipotesi di LAMUR-BAUDREU». L’analisi grafico-linguistica del canzoniere, parzialmente condotta da Lamur sul corpus di Peire Cardenal, è nuovamente affrontata da ZUFFEREY 1991, il quale individua nella scripta rari tratti catalani e altri tratti che accomunano M ai prodotti di origine linguadociana occidentale, nonché una serie di tratti provenzali che ritornano in f e T (che nella sezione cardenaliana rivela tracce quasi esclusivamente linguadociane): sullo strato linguadociano unito a un apporto settentrionale (che avvicina M al canzoniere perduto di Bernart Amoros), si sarebbe innestata una fonte propriamente provenzale, cui si deve il ricco apporto di unica della sezione dei sirventesi, la quale «a dû se constituer à la cour comitale d’Aix, d’abord sous le règne de Raimond Berenger V (1209-1245), puis autour de Charles d’Anjou, avant 1266» (p. 241). La fusione delle fonti sarebbe posteriore al 1275, data in cui Miquel de la Tor ha raccolto a Nîmes le opere di Peire Cardenal che aprono la sezione dei sirventesi. Lo studioso trova convincente l’ipotesi napoletana: «Puis la tradition ainsi constituée s’est déplacée à Naples après 1266, suivant les destinées de la maison d’Anjou» (p. 237). ASPERTI 1995, nel capitolo intitolato «Un manoscritto napoletano: il canzoniere M» (pp. 43-88), ridimensiona l’importanza attribuita alla continuità tra epoca sveva e angioina circa la presenza della lirica cortese a Napoli perché la città non fu sede stabile della corte di Federico e i rapporti tra l’imperatore e i trovatori furono tutt’altro che pacifici, perché non rintraccia relazioni tra le tradizioni confluite in M e ciò che i poeti della Scuola Siciliana conoscevano dei trovatori e infine perché storicamente la morte di Federico, la sconfitta di Corradino a Tagliacozzo e la repressione della nobiltà meridionale segnarono una netta rottura anche sul piano culturale. L’autore ribadisce lo spirito anticlericale, filotolosano e antifrancese delle sezioni di sirventesi e tenzoni, avversi alle scelte politiche di Raimondo Berengario V di Provenza e del successore Carlo d’Angiò, mentre altri, redatti dopo la battaglia di Benevento sono esplicitamente ostili all’Angioino. A più riprese è esclusa l’esistenza di un possibile rapporto di committenza o altro legame genetico tra la corte angioina e M: la silloge include sirventesi di sostenitori del conte di Provenza (ma tutti risalenti all’epoca di Raimondo Berengario), e omette testi esplicitamente laudativi della figura di Carlo (come il planh di Peire Bremon Ricas Novas, BdT 330.1a), nonché l’unico testo conosciuto che esalti l’impresa beneventana (BdT 336.1 di Raimon de Castelnou).

Ciononostante anche Asperti valorizza le argomentazioni della Lamur distinguendo due momenti: una prima fase di raccolta e fusione delle fonti, avvenuta in Provenza, al termine della quale si giunse alla struttura attuale della collezione; una seconda fase, coincidente col lavoro di compilazione e decorazione del codice, da collocare nella Napoli angioina, una volta migrati verso l’Italia i materiali raccolti e riorganizzati in Provenza. La carica politica di molti sirventesi e tenzoni si sarebbe stemperata negli anni e su di essa avrebbe prevalso l’interesse per la conservazione dei componimenti; «in ogni caso […] la cultura poetica e politica che sovrintese alla raccolta dei testi che si leggono in M è nella sua sostanza inconciliabile con il sistema angioino del secondo Duecento» (pp. 87-88), soprattutto, aggiungo, se si tiene conto di testimonianze come quella del documento ricordato da LAMUR-BAUDREU 1988, p. 193, n. 24, redatto a Perugia nel 1269, in cui si stabilivano pene severe per Quicumque fecerit cantionem contra regem Karolum vel dixerit vel

cantaverit vel aliquam iniuriam contra eum dixerit. PERRICCIOLI SAGGESE 2001 segnala il caso di

M messo in luce dalle ricerche di Lamur, il quale è «attribuable à un scriptorium napolitain à cause

de l’affinité paleographique qu’il présente avec le Chronicon Lemovicense, écrit à Naples entre 1277 et 1283 par Angelo Alberti de Marchia» (p. 125). LEMAÎTRE –VIELLARD 2006 dedicano un piccolo spazio anche alle iniziali di M «bien qu’il s’agisse d’un manuscrit provenant de la France méridionale» (p. LXXVII), e il sud della Francia come luogo d’origine di M è riproposto anche nel database online Mandragore (http://mandragore.bnf.fr/); ma la posizione degli autori cambia nel successivo LEMAÎTRE – VIEILLARD 2008, pp. XIX-XX poiché paiono recepire, ancorché acriticamente, l’ipotesi napoletana segnalata nella recensione di GIANNINI 2007, p. 358 che quanto a M sottolinea come «de nombreuses études ont établi qu’il a dû être exécuté à Naples pour un personnage lié à la cour angevine». Un riepilogo della questione e delle perplessità che solleva è stato recentemente proposto in TAVANI 2010. L’unico indizio utile a risolvere il problema della datazione del manoscritto risiede in una tornada apocrifa aggiunta a BdT 335.62 che allude al passaggio da Napoli di Edoardo d’Inghilterra e del rei Filippo di Francia: il terminus ante quem per la redazione della tornada è il 25 agosto 1270, data di morte di Luigi il Santo. L’aggiunta è opera della stessa mano che ha trascritto il resto del codice. Tirando le somme dei precedenti studi, Tavani conclude che «la raccolta che conosciamo non può [...] coincidere con un codice già interamente organizzato e importato direttamente dalla Provenza né con un canzoniere interamente confezionato a Napoli: l’unica ipotesi valida è quella di una trascrizione di non eccelsa qualità, eseguita a Napoli tra il 1270 e il 1271 su materiali parzialmente assemblati vari decenni prima al di là delle Alpi, e affidata a un copista al quale è stato anche demandato il compito di unirci la sezione di discordi e introdurvi la tornada apocrifa di c. 225vb, ma che nel corso della copia non aveva – per esplicita disposizione del committente? – la possibilità di eliminare le anomalie strutturali dei modelli […] alle quali tuttavia non ha saputo evitare di aggiungervene di proprie» (pp. 16-17).

L’ipotesi napoletana resta quanto meno discutibile perché, sebbene la connotazione politica antiangioina sia sufficiente a sollevare delle perplessità, le prove addotte da Lamur non convincono appieno. Per quanto concerne la storia esterna di M, non sappiamo dove né come Benet Garret se ne sia impossessato, quindi non si può escludere a priori alcuna possibilità, compresi l’acquisizione del codice altrove, l’importazione dalla regione natale o un acquisto in loco sul mercato librario napoletano ma anche in tal caso il fatto non è decisivo. Non abbiamo altresì dati sufficienti per affermare che l’aggiunta in uno degli spazi rimasti vergini (cc. 225v-226r) di BdT 461.8a, non altrimenti attestato, per mano di un copista catalano sia avvenuta indubitabilmente a Napoli (cfr. LAMUR-BAUDREU 1988, p. 186; ZUFFEREY 1991, pp. 229-232; ASPERTI 1995, p. 44, n. 5) e per escludere che sia stata inserita piuttosto a ridosso della compilazione del canzoniere, come parrebbe confermare la veste grafica (una littera textualis di modulo più piccolo e più serrata di quella del