T 3 è latore di un solo testo di Figueira, attribuito ad Ademar lo Negre La canzone di crociata si colloca a cavallo di due fascicoli, i numeri XXIII (cc 177-184)
B, forse condizionato dal fetz se precedente e dal se fetz successivo, concepisce il verbo caber del quarto periodo come riflessivo e reca qe·is saubes
cabir; il testo della vida termina con il verbo abaissar: l’omissione dell’ultima
proposizione coordinata dipende quasi sicuramente dal cosiddetto condizionamento spaziale, a meno che non si voglia ipotizzare la volontaria espunzione di una clausola che il copista non aveva compreso; nel quinto periodo B presenta infine il verbo vezer al tempo perfetto (s’el vic) e i successivi all’imperfetto. Consideriamo un istante la pertinenza delle letture dei tre testimoni per quanto concerne proprio il periodo conclusivo.
I s’el vezia bon home de cort […] il n’era tristz e dolenz et ades se penava
B s’il vic venir bon homen de cort […] el en era tristz e dolens et ades se percassava
K s’el vezia bon ome de cort […] tristz e dolenz en fo et ades se penet Dal raffronto si nota che anche K mostra un’oscillazione nei tempi verbali per le voci di quest’ultima frase ma con atteggiamento inverso, poiché adotta il perfetto
331 Cfr. NOTO 1998, pp. 64-69. 332 FOLENA 1990, p. 104-105.
nella parte finale e pone all’imperfetto solo il primo verbo. I li reca tutti all’indicativo imperfetto, coerentemente con l’uso di si congiunzione temporale (‘tutte le volte che’) e non condizionale e, soprattutto, con l’intento di generalizzare il dettato della cobla che costituì la fonte principale della seconda metà della biografia (I). Tale intento si deve a un intervento del responsabile di I o risale al biografo? Ammesso che l’autore della vida abbia inteso suggellare il ritratto già poco lusinghiero del trovatore con l’immagine macchiettistica dell’intrattenitore da taverna che si cruccia alla sola vista di poeti tenuti in più alta considerazione di lui, come si spiega il perfetto vic che si legge in B? E come interpretare i due perfetti che chiudono la prosa in K?
Poiché per narrare gli aneddoti che tradizionalmente informano le prose biografiche si sceglie di preferenza il tempo perfetto, mi sono chiesta se in origine la vida di Figueira non presentasse tutta la seconda parte al passato remoto e non si configurasse nel complesso come una sorta di vida-razo, alla stregua delle biografie di Arnaut Daniel,333 Guilhem de la Tor,334 Bertolome Zorzi335 e Guilhem de Cabestanh.336 È lecito, cioè, pensare ad una versione originale del tipo «E s’el vic bon home de cort venir lai on el estava, tristz e dolenz en fo e ades se penet de lui abaissar» e immaginare che il biografo abbia concepito una ragione per la cobla
unicum di H, occultando di fatto solo il nome dell’hom de cort cui Figueira avrebbe
dimostrato invidia e risentimento? Anche tenendo conto dell’estrema fluidità modale delle lingue romanze nella loro fase antica, osta a questa possibilità interpretativa proprio la presenza della congiunzione si all’inizio dell’ultimo periodo, equivalente di ‘quando’ ma spendibile come tale solo se il verbo assume
333 Cfr. BOUTIÈRE –SCHUTZ 1964, p. 59: la notizia presenta solo perfetti, anche nella sua seconda parte, dove è raccontato l’episodio dell’innamoramento per l’«auta domna de Gascoingna […] mas non fo cregut que la domna li fezes plaiser en dreit d’amor; per qu’el dis: Eu son Arnautz qu’amas l’aura | e chatz la lebre ab lo bou | e nadi contra suberna…».
334 Cfr. Ibid., p. 236: la morte dell’amata porta il poeta alla pazzia e il racconto delle azioni dissennate e dei tentativi di riportarla in vita sono condotti con tono velatamente sarcastico. In questo caso, però, l’episodio specifico è introdotto dalla formula «Et avenc si que» + verbo al perfetto, diversamente dal nostro caso.
335 Cfr. Ibid., p. 576: come per GlTor, il racconto di avvenimenti puntuali viene introdotto per due volte dall’espressione «Et avenc se que» / «Et e[n]devenc se que» + perfetto, nella vida secondo la versione del canzoniere A. In IK la formula, presente una sola volta, marca ancor più precisamente che si sta per leggere di un fatto ‘puntiforme’: «Et si avenc una sazon que» (p. 579).
336 Cfr. Ibid., pp. 530-531 (versione di Fb, I e K) e pp. 531-533 (A, B e N2): il celebre racconto del
aspetto frequentativo.337 In questa direzione porta inoltre proprio la vaga e indeterminata dicitura home de cort: il carattere aneddotico predominante nel genere razo fa invece generalmente indugiare gli autori sui rapporti amorosi e familiari, su inimicizie e screzi tra i protagonisti, nominandoli esplicitamente a più riprese.
Ritengo che la lettura di I sia complessivamente più corretta: in linea di principio, l’imperfetto serve infatti a indicare attività ripetute o abituali e la scelta dipende proprio dall’impressione che il biografo intendeva trasmettere, immaginando che l’atteggiamento esplicitato una sola volta da Guilhem Figueira, nel contesto fittizio di uno scambio di coblas satiriche, fosse per lui una regola di vita. A tal proposito si rammenti quanto osservato da Elizabeth Wilson Poe circa l’uso dei tempi verbali nelle vidas. Una delle tre situazioni in cui l’imperfetto sembra essere scelto con maggiore regolarità si attaglia al nostro caso, caratterizzando quelle azioni che capitano frequentemente ma non continuativamente. Come esempio viene scelto proprio il passo conclusivo della biografia di Figueira, in cui l’imperfetto è adottato «at the close of a passage containing eight consecutive preterite forms».338
Il vic di B si spiega come un errore d’interpretazione dell’attacco della frase finale, che nell’originale metteva i copisti di fronte a uno scarto temporale insolito per il panorama delle vidas: tutta la prima parte della biografia è appunto scandita da otto voci verbali in successione al tempo perfetto che potrebbero aver disorientato lo scriba. Meno probabile, anche se non lo si esclude in assoluto, che il sil/sel dell’antigrafo sia stato inteso da chi copiava come pronome dimostrativo e non come congiunzione.
I perfetti di K si spiegano in modo analogo come un riarrangiamento individuale a seguito di un fraintendimento generale del passo, piuttosto che con la remota e non
337 Cfr. COLELLA 2013, p. 385: trattando delle proposizioni condizionali nota che «Nelle frasi al passato riguardo a fatti che si sono effettivamente realizzati, si tratta spesso di azioni ripetute nel tempo: pertanto l’interpretazione può essere in un certo senso considerata temporale»; in particolare l’autore torna sulle condizionali temporali a p. 392: «Anche in questi casi si attribuisce un’interpretazione fattuale al costrutto, che descrive una situazione ripetuta nel tempo, abituale e imperfettiva; pertanto il se va inteso con il valore di “ogni volta che” e si lega a verbi all’indicativo presente e imperfetto».
338 POE 1984, pp. 31-32.Cfr. inoltreBIANCO –DIGREGORIO 2013, p. 289: «l’imperfetto esprime un’azione che termina prima di quella della principale, ma che è reiterata o è durativa nel passato. […] l’imperfetto biografico, forma particolare di imperfetto narrativo, ancora oggi vitale, è usato in temporali di posterità “nella descrizione di fatti riguardanti la vita di un certo individuo” (Bertinetto 1986, pp. 388-89)».
verificabile ipotesi che il copista conoscesse il testo I, che è ipotesto della vida. Si tenga presente che lo scriba sta copiando la prosa in esame in maniera poco sorvegliata sin dall’inizio e, per distrazione, commette degli errori cui pone parzialmente rimedio inter scribendum. Una prima svista si nota nel primo periodo dove K reca satres con omissione della vibrante o del relativo titulus; nel terzo scrive invece canterar corretto espungendo -er- tramite puntini sottoscritti; nel quinto periodo infine omette il pronome soggetto el/il sia nella frase «venir lai on
el estava» che nella successiva «il n’era tristz e dolens»: è probabile che dopo la
prima dimenticanza l’amanuense, già distratto e disorientato dal contenuto inusuale della prosa, possa in un primo momento aver inteso estava come copula di tristz e
dolenz (si vedano espressioni affini come «Et yeu m’estava cossiros | e per amor .i.
pauc embroncz» dell’ensenhamen al giullare di Raimon Vidal;339 «estava cossiros
| d’amor que·m destrenhia» dell’ensenhamen alla donzella di Amanieu de Sescas;340 o ancora «ez un iorn qu’el estava alegre e pagat», nel poema sulla guerra di Navarra di Guilhem Anelier)341 e abbia così tralasciato di trascrivere il n’era. Immediatamente accortosi dell’omissione della copula, è costretto a spostarla dopo la parte nominale, ponendola contestualmente al tempo perfetto sia per influenza della prima parte della prosa sia, soprattutto, per evitare una poco elegante posposizione del verbo all’imperfetto: «lai on estava, tristz e dolenz en era» non doveva suonare troppo appropriato. Il successivo se penet si spiega di conseguenza.342
Il processo autocorrettorio, applicato alla copia di segmenti testuali in un primo momento male interpretati, trova conferma nell’esame delle abitudini interpuntive di K precedentemente descritte: l’unica eccezione al sistematico impiego della maiuscola dopo punto fermo si rintraccia dopo quello posto tra estava e tristz.
339 Cfr. FIELD 1989, v. 8-9. 340 Cfr. SANSONE 1977, vv. 4-5. 341 Cfr. BERTHE et al. 1995, II, v. 883.
342 Si tratta di differenze con il canzoniere I che non intaccano la gemellarità tra i due testimoni proprio perché si spiegano come aggiustamenti in corso d’opera dopo errori commessi dallo scriba di K. Cfr. BOUTIÈRE –SCHUTZ 1964, pp. 127-138, dov’è sottolineata la «quasi insignifiance des résultats donnés par une collation rigoureuse de I et de K», con esempi delle divergenze più comuni che si configurano come piccole lacune e scorrettezze grammaticali oppure, come nel nostro caso, come «des formes verbales à des temps différents dont l’une est généralement imposée par le contexte» (p. 129), o ancora come divergenze relative a una sola parola o all’ordine delle parole nella frase; non si tratta mai di differenze sostanziali, per cui «les “jumeaux” IK […] sont trop semblables pour être séparés de leur archétype par de nombreuses copies» (p. 137).
Testo
1 Guillems Figueira si fo de Tolosa, fils d’un sartor, et el fo
sartres.2 E quan li Frances agron Tolosa, si s’en venc en Lombardia. 3 E saup ben trobar e cantar e fetz se joglars entre·ls ciutadins.
4 Non fo hom que saubes caber entre·ls barons ni entre la
bona gen; mas mout se fetz grazir als arlotz et a las putans et als ostes et als taverniers. 5 E s’el vezia bon home de cort venir lai on el estava, el n’era tristz e dolenzet ades se penava de lui abaissar e de levar los arlotz.
Traduzione
Guilhem Figueira nacque a Tolosa, figlio di un sarto, e sarto fu egli stesso. E quando i Francesi presero Tolosa, se ne venne in Italia. Imparò a comporre e a cantare bene e si fece giullare in mezzo agli abitanti delle città.
Non era tipo che sapesse stare tra i signori e la gente nobile; anzi molto si fece apprezzare dai mendicanti, le puttane, i locandieri e gli ubriaconi da taverna. E se vedeva un valente uomo di corte venire là dove si trovava, egli ne era triste e dolente e subito si dava pena di denigrarlo ed esaltare la gente di bassa lega.
Apparato
1 el] el el B sartres] satres K 2 agron] aguen IK si] el B
3 saup] sap I trobar e] om. IK cantar] cantẹṛar K joglars] ioglar IK 4 que] que·is B a las] als IK et als] om. IK
5 vezia] vic B bon…venir] venir bon homen de cort B el] om. K el…dolenz]
tristz e dolenz en fo K penava] percassava B penet K e de levar los arlotz] om.
B
1 Figueira] Figieira B Figuera IK fils] fills B 2 quan] qan B quant IK Frances] Franses IK
3 fetz] fez IK joglars] ioglars B entre·ls] entre los IK ciutadins] citaudis I citaudins K 4 caber] cabir B barons] baros I mout] mot K fetz] fez IK ostes] hostes I
Note
1. Figueira. Si pone innanzitutto il problema di quale forma dare al nome. Si
opta per non riprodurre alcuna delle due grafie della tradizione e di riproporre in questa sede quella convenzionalmente fissata dalla BdT. La forma che B adotta sia nella vida che nelle rubriche è coerente col sistema grafico di tutto il canzoniere, l’esito del latino –ARIU/–ARIA essendo reso dal copista preferibilmente con –ier/–
ieira (cfr. ZUFFEREY 1987, p. 41). Si tenga però presente che nella tavola incipitaria di B, c. 3v, i due sirventesi sono preceduti dalla rubrica Guillems Figeira. A tal proposito, cfr. Ibid: «[…] le copiste de B écrit plus volontiers –er, –eira […] mais l’absence de diphtongaison peut remonter à l’exemplaire». Incrociando questo dato con l’osservazione del comportamento del copista circa «L’occlusive [g] initiale et intervocalique» (Ibid, p. 44) resa con g davanti a tutte le vocali, comprese e e i, si può ragionevolmente supporre che l’esemplare a monte recasse la forma Figueira. Stesso discorso per le grafie dei veneziani IK: copiando da un antecedente comune, sono concordi in ogni luogo su Figuera. Sondaggi superficiali confermano nei canzonieri gemelli la preferenza della forma non dittongata per l’esito di –ARIU/ – ARIA e la grafia gu per l’occlusiva velare sonora in posizione intervocalica seguita da i, e, per cui cfr. Ibid., p. 74: l’osservazione è formulata a proposito del frammento K" (Paris, BnF, N.a.f. 23789) ma è estendibile all’intera famiglia (I K K' K").
si fo de. L’esordio delle vidas strutturato secondo lo schema NOME DEL TROVATORE + SI FO DE + NOME DEL LUOGO D’ORIGINE è rispettato anche nel nostro caso. Per la formula cfr. SCHULTZ-GORA 1924, § 178 e § 204 e SCHUTZ 1951, p. 180. Non registrata tra gli italianismi sintattici nell’introduzione dell’edizione BOUTIÈRE –SCHUTZ 1964, pp. x-xi, l’ubiquità del sintagma si fo de nelle biografie è sottolineata da POE 2000b, p. 184, n. 29 che richiama la prefazione di Bernart Amoros come unica altra attestazione in lingua provenzale e pensa ad un «conscious effort to imitate the biographer’s style». WEHR 1992, che già aveva ricordato l’esempio dell’alverniate assieme alla rubrica di Miquel de la Tor per cui entrambi «semblent imiter le modèle de la syntaxe des biographies que contiennent leurs chansonniers» (p. 1187), per prima ha pensato a un’interferenza tra il provenzale e i dialetti veneti di terraferma e di Venezia – dove l’uso dell’espressione ‘soggetto + si + verbo’ è generale –, sotto la penna dell’autore della maggior parte delle vidas, probabilmente Uc de Saint Circ: dopo una lista di esempi, per cui cfr. Ibid., pp. 1190-1192, Wehr conclude che «En ancien vénète, sì entre sujet et verbe et dans d’autres fonctions syntaxiques est donc d’emploi général et fréquent, et doit entrer dans une description de la grammaire de ce dialecte» (p. 1192). Negli stessi contesti in cui un locutore veneto avrebbe usato SIC – nelle enumerazioni e nelle definizioni del tipo x = y – in provenzale si manca e la presenza di questo tipo di costruzione nelle biografie non può che dipendere da un’influenza straniera. L’impiego di si tra soggetto e verbo deve dunque essere interpretato come un venetismo e la sua altissima frequenza nelle frasi iniziali si spiega con la funzione cataforica e presentativa («technique de “foregrounding”», p. 1191) che la costruzione mostra di avere nelle attestazioni in antico veneto: «“X si fo…” dans les phrases initiales des vidas occitanes a pour fonction d’attirer l’attention de l’audience sur le texte qui va être présenté» (p. 1194). La conferma parrebbe giungere dal canzoniere R. Basta scorrere rapidamente le carte 1r-4r per
notare che le prose ivi raccolte non presentano mai quest’espressione nelle proposizioni esordiali: il copista, refrattario agli italianismi, potrebbe averle espunte, allo stesso modo in cui avrebbe rigettato non solo il verbo amparet/enparet dei canzonieri veneti sostituendolo con la forma apres, ma anche le forme di brigar con le corrispondenti di anar e trevar, e i sostantivi balcon e vendeta rispettivamente con fenestra e venjansa (cfr. BOUTIÈRE 1967,pp. 96-100). Si veda inoltre LATELLA 1994, p. 101, GUIDA 1996, p. 106 e GUIDA 2000, p. 93 che commenta «l’avverbio cataforico si» come «completamente estraneo all’uso linguistico occitanico e assai consueto invece nelle parlate medievali dell’Italia settentrionale – e del Veneto in particolare – ove assolveva la funzione di catalizzare e dirigere l’attenzione dell’ascoltatore o del lettore sull’informazione che immediatamente seguiva, accentuando l’aspettativa dell’enunciato e procurando una sorta di suspense». Quanto all’uso del preterito fo, cfr. POE 1984, p. 19: «the preterites […] conform to a usage which no longer obtains, that is, to denote permanent states or conditions which constitute the very essence of an object».
Fils. Per la laterale palatale in posizione implosiva, la variante grafica di IK
è preferita a B (fills); cfr. ZUFFEREY 1987, pp. 50-51.
2. agron. Forma corretta del perfetto, dal lat. HABUERUNT. La forma aguen di IK non corrisponde ad alcuna voce della coniugazione regolare di aver.
si s’en venc. La variante di B (el s’en venc) si può spiegare come una
soppressione dell’italianismo nel modello ma data la mancanza di un terzo riscontro è impossibile stabilire cosa recasse l’archetipo in questo punto. Difficile dire se la frase, così come si presenta in IK, rechi traccia di un venetismo ancor più spinto – l’applicazione cioè di una tournure tipica dei dialetti veneti antichi, in uso anche a Venezia, ad un contesto che l’archetipo presentava nella forma che figura in B – oppure se il venetismo risalga all’archetipo stesso. Certamente era nell’antecedente
k. Si noti tuttavia che si rappresenta un esempio della funzione di SIC comune anche all’antico francese e così spiegata in WEHR 1992, p. 1186: «pour coordonner deux propositions équivalentes (accompagné ou non de e); pour reprendre le fil de la proposition principale après une incise; pour marquer le début de la proposition principale après une proposition subordonnée antéposée». Una scelta si impone e coinvolge qualcosa di più della forma da dare a una semplice congiunzione. Si scontrano qui sostanzialmente due concezioni opposte circa la fisionomia che doveva avere la raccolta messa assieme da Uc a Treviso: non certo «spolverata di italianismi» e da identificare col modello di AB (posizione sostenuta da ZUFFEREY 1987, p. 61, ma cfr. LEONARDI 1987, p. 363: se i copisti di AB – o il responsabile dell’antecedente comune – hanno scrupolosamente cancellato gli italianismi dalle
vidas, sostituendo ab a com e i perfetti in –et a quelli in –a, ciò significa che ad uno
stadio superiore della tradizione esisteva un esemplare dotato dei tratti italianeggianti) o, piuttosto, confluita in un affine dell’antigrafo di IK, in cui, allo scopo di rendere fruibile il patrimonio lirico in lingua d’oc, le vidas sono state concepite in un provenzale italianizzato che tenesse conto del lettore implicito, per cui la prosa del corpus biografico presenta elementi grafici, lessicali e morfologici tali da far pensare a un’interferenza ab origine tra lingue diverse (posizione condivisa da WEHR 1992 e POE 2000b). Allo stato attuale delle conoscenze il
problema è insolubile: cfr. LEONARDI 1987, p. 363: «La raccolta di Uc non si dimostra […] come la fonte dei soli AB, ma come punto di riferimento per molti dei manoscritti forniti di vidas». Si sceglie dunque la variante dei canzonieri veneziani: tenendo conto del comportamento delle scriptae di B e di k, sembra
facilior l’eliminazione del venetismo in B rispetto all’introduzione del secondo sic
nell’antecedente di IK, benché quest’ultima possa essere stata generata dal si immediatamente precedente. Non è da escludere una studiata ricerca di formularità, vestigio dell’originaria natura performativa delle vidas. Cfr. JENSEN 1994, § 735: «si isole une proposition, marquant un point d’arrêt dans le discours. La fonction conjonctive de si est surtout caractéristique des ouvrages en prose. […] Si sert souvent à assurer le lien entre la principale et une subordonnée qui précède», come nel nostro «e quant li Frances agron Tolosa si s’en venc en Lombardia»); e il già citato WEHR 1992, p. 1186 che ricorda la possibile collocazione del si cataforico sia tra soggetto e verbo (come nel nostro «Guillem Figueira si fo de Tolosa»), sia davanti al verbo dopo un complemento qualsiasi («E de totas aquestas razos si fetz En Bertrans aquest sirventes»).
venc. Se per il locutore moderno il verbo venir descrive un movimento da
un punto lontano a un punto vicino a colui che parla, in antico provenzale quest’ultima è l’accezione primaria ma non l’unica: cfr. SW, VIII, p. 641, 29: «Reflexif se venir “kommen”», con esempio dalla razo di BdT 421.2: «E Ricchautz se parti e venc se a sa dompna en q’el s’entendia» – cui si può aggiungere dalla stessa razo: «Et pois, qant el ne fo partiz, el se venc a la donna qe·l n’avia fait partir» (BOUTIÈRE –SCHUTZ 1964, p. 154) – ma anche «ven s’en “kommt”», col seguente esempio da BdT 80.29, vv. 3 e 5 «. . jois e pretz e deportz e gaiesa | . . s’en ve a nos» (al contrario, il precedente LR, V, p. 487 non mi pare rechi traccia di tale pluralità semantica). Questo è il motivo per cui BOUTIÈRE –SCHUTZ 1964 traducono
venc con ‘se rendit’ ovvero ‘si recò’, ‘andò’. GUIDA 2001, p. 221 sfrutta il verbo